Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza n. 15552 del 20 giugno 2013
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 1997 il Condominio V. convenne in giudizio i condomini T. L. e G. G., chiedendone la condanna alla rimozione della struttura in legno da loro apposta sul balcone del proprio appartamento sito nello stabile condominiale, assumendo che essa pregiudicava il decoro archietettonico dell’edificio, caratterizzato da una continuità ininterrotta di balconi ad ogni piano, tale da formare una serie di linee orizzontali parallele, ed era vietata dal regolamento condominiale.
I convenuti si opposero alla domanda, controdeducendo che tale struttura consisteva in graticci di poco spessore destinati a sostenere le piante e che il loro balcone affacciava all’interno, su un parcheggio, e non sulla strada.
Con sentenza del 2001 il Tribunale di Trani accolse la domanda, ordinò ai convenuti la rimozione della struttura e li condanno al risarcimento dei danni, che liquidò in lire 500.000.
Interposto gravame, con sentenza n. 350 del 30 marzo 2007 la Corte di appello di Bari riformò integralmente la pronuncia impugnata, rigettando le domande proposte dal Condominio.
Il giudice di secondo grado pervenne a questa conclusione affermando che l’opera eseguita dai condomini convenuti, consistente in una grata di sottili asticelle di legno a riquadri molto larghi, visibile ma di ridotte dimensioni, di fattura sobria e con funzione di sostegno delle piante, con integrava una innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120, comma 2, cod. civ., dal momento che essa non pregiudicava il decoro architettonico dell’edificio, pure caratterizzato dalla continuità ininterrotta di balconi ad ogni piano, formanti una serie di linee orizzontali parallele e marcate dagli elementi verticali in bianco, precisando sul punto che l’estetica di un palazzo può ritenersi compromessa soltanto in presenza di un’apprezzabile alterazione delle linee e delle altre strutture fondamentali del fabbricato, tale da determinare una diminuzione del suo valore; nel caso di specie, aggiunse la Corte, andava inoltre considerata, ai fini di una valutazione t complessiva dello stato dei luoghi, che il balcone degli appellanti affacciava sul cortile interno dello stabile adibito a parcheggio, ove erano presenti grate di ferro e manufatti in muratura e che altri balconi della medesima facciata erano utilizzati da altri condomini per stendere panni e collocare oggetti.
La Corte barese escluse, altresì, che l’opera realizzata rientrasse tra quelle vietate dal regolamento condominiale, sia con riferimento al divieto di infiggere ferri, chiodi e ganci sui muri interni di confine, riguardando esso soltanto i ferri di notevole dimensioni e tenuto conto che tale struttura non risultava comunque appoggiata al muro, che con riguardo al divieto di modificare l’aspetto estetico di balconi, dal momento che la disposizione regolamentare faceva riferimento alla sola apposizione di tende da sole.
Per la cassazione di questa decisione, notificata il 16 maggio 2007, ricorre il
Condominio V. con atto notificato il 13 luglio 2007, affidandosi a sette motivi.
T. L. e G. G. resistono con controricorso.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso denunzia nullità della sentenza per violazione e/o falsa degli artt. 112 e 99 cod. proc. civ., assumendo che la sentenza impugnata è incorsa nel vizio di extrapetizione in quanto, non avendo i convenuti mai contestato la legittimità e vigenza del regolamento condominiale, la Corte di appello avrebbe dovuto limitarsi, in applicazione di esso, a rigettare l’impugnazione, senza poter scendere nel merito dell’interpretazione delle singole clausole regolamentari che, in deroga alla disciplina legale, vietavano qualsiasi innovazione.
Il mezzo è infondato.
Dall’esposizione dei fatti di causa risulta che il Condominio aveva giustificato la propria domanda invocando l’applicabilità, nel caso concreto, delle disposizioni del regolamento condominiale. In tale domanda era implicita la richiesta al giudice di interpretare e valutare tali disposizioni in relazione alla fattispecie concerta. Il giudicante non avrebbe infatti potuto risolvere la questione controversa se non attraverso tale valutazione, scrutinando la concreta applicabilità delle clausole regolamentari invocate dall’attore. Sotto questo profilo deve aggiungersi che del tutto irrilevante appare la mancata contestazione dei convenuti in ordine alla legittimità, non certo all’applicabilità, delle clausole regolamentari in discorso, atteso che essa non esonerava comunque la controparte dall’allegare le ragioni della propria richiesta ed il giudice dal valutare la fondatezza delle stesse.
La ricorrenza del denunziato vizio di extrapetizione va pertanto esclusa.
Il secondo motivo di ricorso denunzia nullità della sentenza per violazione e/o falsa dell’art. 113 cod. proc. civ., assumendo che la Corte di appello, laddove ha disapplicato le clausole del regolamento condominiale, ha altresì violato il principio che impone al giudice di decidere la controversia applicando le norme giuridiche, tra le quali rientrano le disposizioni del regolamento condominiale.
Il mezzo è manifestamente infondato, essendo sufficiente al riguardo rilevare che in nessun caso le disposizioni del regolamento condominiale hanno natura di norme giuridiche, sicché la loro violazione o errata interpretazione può dar luogo ad una violazione dei criteri di interpretazione degli atti negoziali stabiliti dalla legge (art. 1362 e seguenti cod. civ.), ma non certo alla violazione del dovere del giudice di decidere la controversia secondo diritto.
Il terzo motivo di ricorso denunzia nullità della sentenza per violazione e/o falsa dell’art. 115 cod. proc. civ., lamentando che la Corte distrettuale abbia deciso la causa sulla base delle mere asserzioni di controparte, senza richiamare le prove in atti.
Il motivo va respinto, atteso che dalla semplice lettura della decisione impugnata emerge che il giudice distrettuale ha fondato e motivato il proprio convincimento sulla base delle ” fotografie in atti, prodotte da entrambe le parti, che in maniera non contestata riproducono il manufatto oggetto di causa e lo stato dei luoghi, lì rappresentano esaurientemente, senza bisogno di alcun altro elemento di prova ” (pag. 6 della sentenza).
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 4, 9 e 15, lett. I) e t), del regolamento di condominio, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ.
Il quinto motivo denunzia falsa applicazione degli artt. 4, 9 e 15, lett. I) e t), del regolamento di condominio, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ.
Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., con il ricorso per cassazione, che è una impugnazione limitata con cui si può denunziare la sola violazione di norme di diritto o vizi di motivazione della sentenza, non può essere dedotta la violazione di clausole contrattuali (con la sola eccezione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro), ma semmai la violazione o falsa applicazione dei criteri legali di interpretazione del contratto, censura che però richiede, per il principio di specificità del ricorso per cassazione, l’indicazione precisa della regola interpretativa violata e l’illustrazione delle ragioni per cui essa sarebbe stato erroneamente applicata.
Il sesto motivo denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamentando che la decisione impugnata abbia dato rilievo ad elementi di fatto, inerenti alla situazione complessiva dello stabile, in realtà irrilevanti, in quanto privi del carattere di stabilità che invece va riconosciuto all’opera realizzata dai convenuti.
La Corte distrettuale non ha poi considerato le caratteristiche architettoniche dell’edificio condominiale, costituite dalla continuità dei balconi ad ogni piano per l’intero perimetro del fabbricato, e che il manufatto realizzato dai condomini spezza l’euritmia della facciata. Si assume, infine, che non è stata data adeguata motivazione della soluzione accolta.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
In particolare, il motivo è inammissibile laddove tende a provocare da parte di questa Corte una nuova valutazione dei fatti, dovendo al riguardo ribadirsi il principio che l’indagine volta a stabilire se, in concreto, un’innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico di un determinato fabbricato è demandata al giudice di merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità (Cass. n. 10350 del 2011; Cass. n. 8731 del 1998).
Il motivo per il resto è infondato.
La Corte di appello ha motivato il proprio convincimento affermando che la struttura apposta dai condomini sul loro balcone consisteva in una grata di sottili asticelle di legno a riquadri molto larghi, visibile ma di ridotte dimensioni, di fattura sobria e con funzione di sostegno delle piante e che essa, proprio per la sua fattura e consistenza, non provocava alcun danno all’estetica dell’edificio atteso che non ne interrompeva la continuità delle linee dei balconi, che ne rappresentava proprio la principale caratteristica architettonica, tenuto anche conto che il balcone dei convenuti affacciava sul cortile interno dello stabile adibito a parcheggio, ove erano presenti grate di ferro e manufatti in muratura, e che altri balconi della medesima facciata erano utilizzati da altri condomini per stendere panni e collocare oggetti.
La motivazione così fornita è senz’altro sufficiente e logicamente adeguata, coerente tra le sue premesse in fatto e le sue conclusioni, oltre che rispondente ai criteri elaborati dalla giurisprudenza in tema di nozione di decoro archiettonico dell’edificio in sede di applicazione dell’art. 1120 cod. civ., laddove in particolare si evidenzia la necessità di condurre il relativo apprezzamento in concreto, prendendo anche in considerazione la situazione complessiva di fatto dell’edificio esistente nel momento in cui l’accertamento è compiuto (Cass. n. 4679 del 2009; Cass. n. 21835 del 2007).
Il settimo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., assumendo che, avendo la Corte di merito accolto soltanto il secondo e terzo motivo di appello, rigettando gli altri, essa non avrebbe potuto condannare il Condominio al pagamento delle intere spese di lite, ma avrebbe dovuto compensarle.
Il mezzo è infondato, avendo il giudice di appello applicato, ai fini della regolamentazione delle spese, il criterio legale della soccombenza posto dall’art. 91 cod. proc. civ; per giurisprudenza costante di questa Corte, inoltre, la valutazione da parte del giudice di merito in ordine alla sussistenza di giusti motivi ai fini della compensazione delle spese di lite rientra in una scelta discrezionale che, in quanto tale, se omessa, non è autonomamente censurabile in sede di legittimità, nemmeno sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 7607 del 2006; Cass. S.U. n. 14989 del 2005).
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio sostenute dai controricorrenti, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 2.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2013.
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