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La massima

I verbali delle commissioni mediche di primo grado e quelli della commissione medica superiore per la concessione delle pensioni a militari e a civili sono atti pubblici che fanno fede fino a querela di falso.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V

SENTENZA 11 giugno 2013, n.25570

In fatto e diritto

 

Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, dichiarata la prescrizione del delitto di falso ideologico per induzione e di alcuni degli episodi di truffa, ha confermato nel resto la sentenza emessa in data 30 novembre 2010 dal Giudice dell’Udienza preliminare del locale Tribunale, appellata da S.S.M. , dichiarato in primo grado responsabile dei delitti di falso materiale in atto pubblico fidefaciente, per la realizzazione, in concorso con ignoti, di un verbale di visita medica collegiale apparentemente redatto dalla commissione medica dell’AUSL X di Palermo per il riconoscimento delle invalidità civili; del delitto di falso ideologico per induzione in errore di pubblico ufficiale sui presupposti legittimanti l’emissione del provvedimento col quale gli era stata riconosciuta la pensione di invalidità, con assegno di accompagnamento, e del delitto di truffa aggravata per la successiva percezione, in virtù dei falsi sopra indicati, di più ratei di pensione fino al settembre 2009. Propone ricorso per cassazione l’imputato sulla base di tre motivi.

Con il primo deduce violazione di legge quanto alla ritenuta responsabilità per i reati lui ascritti. L’imputazione sub A) sarebbe del tutto generica perché il prevenuto sarebbe stato accusato di concorso nel falso con non identificati pubblici ufficiali, senza che fosse mai emerso chi potessero essere questi soggetti, agenti nell’esercizio di pubbliche funzioni, che avrebbero realizzato il verbale asseritamente falso, avvalendosi dei dati personali del S. . Lamenta anche che la falsità sia stata dedotta sulla base di riscontri documentali, senza alcun controllo sul fatto che quel verbale che concerneva il S. fosse stato oggetto di falsificazione ex novo o non piuttosto di smarrimento, poiché la distinta di trasmissione delle copie autentiche dei verbali in prefettura era autentica.

Lamenta che la Corte di merito non abbia voluto svolgere accertamenti in proposito, richiesti con l’appello ed indicati dettagliatamente in ricorso.

Deduce anche difetto di prova della falsità, tale non emergendo da alcun atto processuale, né risultando in che cosa si potesse definire falso il verbale de quo.

Quanto alla truffa, lamenta non sia stato considerato che la P.A. avrebbe dovuto, e potuto, effettuare i necessari controlli.

Né sarebbero in concreto mancate le condizioni perché il S. potesse godere dei benefici poi ottenuti.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge in merito alla ritenuta ipotesi di cui all’art. 476, c.p., invece dei quella di cui all’art. 480 c.p..

Il verbale in questione non sarebbe un atto pubblico, ma una certificazione, perché il suo contenuto sarebbe documentativo di una valutazione operata dalla Commissione medica, né potrebbe configurarsi una falsità avente per oggetto un giudizio di valore; così, il documento nel quale tale valutazione sia trasfusa non potrebbe essere riguardato sotto la fattispecie di cui all’art. 476 c.p..

Con il terzo motivo deduce erronea qualificazione del delitto sub a), per essere stata riconosciuta l’aggravante di cui al cpv. dell’art. 476 c.p., non potendosi ritenere, il verbale di visita medica in questione, atto fidefaciente ma, al contrario, atto interno del procedimento per il conseguimento della pensione d’invalidità e comunque preparatorio di una fattispecie documentale complessa. Dovendosi escludere l’aggravante contestata, per la necessaria riqualificazione dell’atto, ed anche con riguardo all’avvenuta applicazione con criterio di prevalenza delle attenuanti generiche, sostiene il ricorrente che sarebbe decorso del termine di prescrizione anche per il delitto sub A) risultando emesso l’atto in data 4 dicembre 2003; afferma quindi che il reato era prescritto, per la scadenza del termine di anni sette e mesi sei, già al momento in cui gli era stata notificata la richiesta di rinvio a giudizio, con l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare (28.10.2010).

Il ricorso non è fondato, tranne quanto si rileverà in tema di prescrizione della truffa. La Corte di merito ha evidenziato gli elementi da cui aveva tratto, come il primo giudice, la convinzione che fosse stato formato un falso verbale di visita collegiale del 4 dicembre 2003 da cui risultava la inabilità del S. .

Ha rilevato che controlli incrociati dei dati in possesso, rispettivamente, della Prefettura di Palermo e della Segreteria di Coordinamento delle Commissioni Mediche per l’accertamento dell’invalidità civile dell’AUSL n. X di Palermo avevano consentito di appurare che l’originale verbale di visita medica collegiale del S. , apparentemente redatto in quella data, non era agli atti della Segreteria di Coordinamento, mentre ne era stata trasmessa copia autentica dall’AUSL n. X alla Prefettura con apposito elenco; che il verbale in questione presentava poi anomalie indicative della sua falsità, quali la non corrispondenza con gli atti d’ufficio di data e numero di protocollo d’ingresso dell’istanza, la non corrispondenza del protocollo con gli atti informatici e la mancanza della registrazione del nominativo del S. sul verbale complessivo di seduta della Commissione Medica, laddove le circostanze evidenziate in ricorso non paiono decisive, perché tendono ad accreditare l’ipotesi che la sicura mancanza agli atti della Commissione di quel verbale fosse dovuta a non meglio indicati e non dimostrati eventi eccezionali. Ha inoltre rilevato la Corte territoriale che dalla copia trasmessa alla Prefettura risultava che il verbale in questione era stato formato su modulistica autentica, così come autentici erano risultati i timbri ivi apposti, e ne ha tratto la conclusione, del tutto logica, che la redazione dell’originale, mai più reperito, ma utilizzato per la formazione della copia autentica destinata alla Prefettura, era necessariamente avvenuta con la determinante collaborazione di pubblici funzionari dell’AUSL n. X, unici soggetti a poter avere accesso alle pratiche d’ufficio, a poter compilare un modulo autentico, con timbri autentici ed a formarne copie autentiche da allegarsi ad elenchi autentici per la trasmissione in Prefettura, unitamente a verbali di visite collegiali effettivamente eseguite dalla Commissione con riferimento ad altre persone. Altrettanto logicamente la Corte di merito ha ritenuto l’attribuibilità del falso, e della connessa truffa al prevenuto, in quanto il verbale del 4/12/2003, che attestava la sottoposizione del S. ad una visita medica in realtà mai avvenuta, portava l’indicazione delle sue esatte generalità, era stato completato con tutte le informazioni anamnestiche necessarie, dalle patologie riscontrate al giudizio della commissione, perché potesse costituire il supporto tecnico indispensabile per l’emissione del decreto n. 185646 del 16 ottobre 2004 della Prefettura di Palermo, di concessione al S. della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento.

Pare in definitiva al Collegio che il giudizio della Corte territoriale sulla falsità del verbale, sulla sua attribuibilità alla collaborazione del S. per aver fornito ai pubblici ufficiali infedeli dell’AUSL, materiali redattori del verbale, i propri dati anagrafici, e quant’altro occorrente per ottenere il concreto risultato cui mirava, e sulla conseguente falsità ideologica per induzione in errore del decreto che gli assegnava la pensione, sia stato formulato con corretta disamina e confronto delle risultanze degli atti utilizzabili ai fini della decisione, per la scelta del rito, e si sottragga alle censure del ricorrente, anche quanto a completezza dell’accertamento documentale dovuto alla scelta del rito, non manifestandosi determinanti gli accertamenti richiesti dal prevenuto, perché chiaramente più esplorativi, che decisivi.

Né può aver fondamento il rilievo che il S. potesse trovarsi in una condizione fisica che avrebbe giustificato la concessione di quei benefici, a fronte del mezzo illecito utilizzato per conseguire il risultato cui riteneva di aver diritto.

Infondate sono poi le censure sulla qualificazione giuridica del verbale oggetto di materiale falsificazione.

Secondo giurisprudenza non contrastata e condivisa dal Collegio (Sez. V, n. 5647 del 29/3/1973, Rv. 124709) i verbali delle commissioni mediche di primo grado e quelli della commissione medica superiore per la concessione delle pensioni a militari e a civili sono atti pubblici che fanno fede fino a querela di falso, in quanto alle commissioni mediche sono attribuiti per legge ed in modo esclusivo gli accertamenti sanitari relativi alle menomazioni dell’integrità fisica delle persone, accertamenti che vengono riassunti in verbali che hanno forza probante, sia nei rapporti interni della P.A. sia nei riguardi dei terzi.

Né può aver rilievo la censura del ricorrente sulla natura valutativa degli accertamenti medici, sia perché non è tale da escludere la configurabilità del falso (Sez. V, n. 15773 del 24 gennaio 2007, Rv. 2365550), sia, e soprattutto, perché nel caso si contesta la materiale falsità dell’atto formato dagli autori, ignoti quanto ai pubblici ufficiali infedeli, e noti come il S. , definitivo beneficiario dell’operazione criminosa.

Corretta quindi la qualificazione giuridica del fatto da parte della Corte territoriale, con la conseguenza che manifestamente infondata è la doglianza relativa alla mancata dichiarazione di estinzione del reato di falso aggravato per prescrizione.

Per il delitto ritenuto dai giudici del merito la legge prevede una pena massima di anni dieci di reclusione; correttamente quindi la Corte d’appello ha ritenuto che il termine di prescrizione sia quello di anni dodici e mesi sei, oltre ad eventuali sospensioni, dovendosi applicare il più favorevole regime previsto dal testo vigente dell’art. 157 c.p., atteso che, secondo il testo previgente, l’intervenuta valutazione di prevalenza delle attenuanti generiche avrebbe portato la pena massima applicabile ad anni sei, meno un giorno, di reclusione, oltre multa, superiore al limite degli anni cinque che, secondo la citata disciplina, comportava una prescrizione ordinaria di anni dieci, prorogabile a quindici per le interruzioni.

Secondo la disciplina vigente, invece, l’applicazione delle attenuanti generiche non influisce sul termine di prescrizione che quindi resta quello di anni dieci di reclusione dell’ipotesi aggravata, trattandosi di aggravante ad effetto speciale.

Peraltro il disposto dell’art. 161 c.p. prevede, in caso di interruzioni, un prolungamento del termine di prescrizione di un quarto della pena massima, e cioè, nel caso, fino ad anni dodici e mesi sei.

Non è pertanto trascorso né il termine massimo di legge di anni dodici e mesi sei, ma neppure quello decennale intermedio fra un atto interruttivo e l’altro.

Né, come pretenderebbe il ricorrente, può essere applicato il termine di anni sei di prescrizione al delitto de quo, a causa dell’operatività delle attenuanti generiche valutate prevalenti sull’aggravante, perché in tal modo si creerebbe un nuovo regime prescrizionale basato su una non consentita commistione di regimi con aspetti tratti dalla previgente norma, quanto all’incidenza delle attenuanti sul calcolo della pena massima, e dalla norma vigente secondo cui il termine di prescrizione è pari alla pena massima per il reato, con superamento dell’abrogato sistema degli scaglioni di pena.

Diversa la situazione per il delitto di truffa in relazione al quale più favorevole è il regime previsto dal testo previgente dell’art. 157 c.p., come già ritenuto dalla Corte d’appello, atteso che l’incidenza della prevalenza delle attenuanti generiche comporta la diminuzione della pena massima applicabile ad un livello inferiore ad anni cinque di reclusione, con la conseguenza che il termine di prescrizione è quello di anni cinque prorogabile, dopo le interruzioni, ad anni sette e mesi sei.

Già dichiarati prescritti dalla Corte di merito gli episodi di truffa commessi fino all’aprile 2005, rileva il Collegio che, essendo intervenuta la richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pubblico Ministero in data 8 ottobre 2010, ha operato la prescrizione quinquennale per i ratei di pensione riscossi dall’aprile 2005 all’8 ottobre 2005.

Per i fatti di truffa verificatisi dopo quella data, intervenuta l’interruzione della prescrizione ed un succedersi di atti interruttivi in tempi ravvicinati, è operativa la sola prescrizione massima di anni sette e mesi sei, sulla quale ha inciso un periodo di sospensione di mesi cinque e giorni sette, con la conseguenza che la causa di estinzione non ha interessato gli ulteriori episodi di truffa ascritti al prevenuto.

La dichiarazione di estinzione del delitto di truffa, nei termini di cui sopra, comporta una riduzione proporzionale della portata dell’aumento di pena per continuazione concernente il delitto in questione che la Corte può individuare in giorni tre di reclusione.

In tali termini la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

 

P.Q.M.

 

La Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente ai fatti di truffa commessi dall’aprile 2005 all’8 ottobre 2005 per essere i reati estinti per prescrizione e elimina la relativa pena che determina in giorni tre di reclusione; rigetta nel resto il ricorso.

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