Testo integrale
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 5 giugno 2013 n. 24554[1]
Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concretizza nella resistenza opposta al pubblico ufficiale che sta compiendo un atto del proprio ufficio, non anche gli ulteriori atti violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino al pubblico ufficiale lesioni personali: in quest’ultima ipotesi, il reato di lesioni personali è aggravato dall’essere stato commesso in danno di un pubblico ufficiale, e può concorrere con quello di cui all’articolo 337 cod. pen.
La condotta di resistenza a pubblico ufficiale non si era esaurita nel primo spintonamento diretto ad impedire ovvero ad ostacolare il compimento dell’atto del suo ufficio da parte del pubblico agente, ma anche nell’uso di una più pregnante forza fisica idonea a cagionare le non lievi lesioni personali diagnosticate.
È vero che questa Corte ha avuto modo di sostenere che l’aggravante, di cui all’art. 61 comma 1 n. 10 cod. pen., dell’aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale, non è configurabile in relazione al delitto di lesioni personali volontarie commesso in concorso con il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, poiché la medesima condotta non può essere posta a carico dell’imputato come integrativa sia del citato reato sia della circostanza aggravante, ma tale principio deve ritenersi operante nei casi in cui vi sia una piena sovrapponibilità del fatto in cui si sostanzia l’aggravante rispetto a quello che rappresenta l’elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 337 cod. pen.
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