Corte di Cassazione, civile, Sentenza|30 maggio 2024| n. 15196.
In tema di finanziamento dei soci in favore della società la postergazione opera già durante la vita della società
In tema di finanziamento dei soci in favore della società, la postergazione disposta dall’art. 2467 cod. civ, opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma; ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza dell’indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi.
Sentenza|30 maggio 2024| n. 15196. In tema di finanziamento dei soci in favore della società la postergazione opera già durante la vita della società
Data udienza 9 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Conferimenti e quote – Finanziamento dei soci a favore della società – Postergazione legale ex art. 2467 c.c. – Natura sostanziale – Inesigibilità temporanea del diritto del socio al rimborso – Situazione di crisi – Riscontro da parte dell’organo gestorio – Necessità
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere – rel.
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 32864/2019 r.g. proposto da:
FALLIMENTO (…) Srl IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore dott. Ma.Di. , rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dagli Avvocati De.Ro. ed Al.Ir., con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla Via (…).
– ricorrente –
contro
(…) Sas DI Za.Pa. & C. , con sede in S L d P (TV), alla via (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, e Za.Pa. , entrambi rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Ma.Fr., con cui elettivamente domiciliano in Roma, al (…), presso lo studio dell’Avvocato Vi.Ca.
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3412/2019 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, pubblicata il 29/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 09/04/2024 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;
udito il P.M. , in persona del Sostituto Procuratore Generale Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito, per il ricorrente, l’Avv. De.Ro., che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avv. Ma.Fr., che ha concluso chiedendo il rigetto dell’avversa impugnazione;
letta la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. depositata dalla parte ricorrente.
In tema di finanziamento dei soci in favore della società la postergazione opera già durante la vita della società
FATTI DI CAUSA
1. Il 13 aprile 2005, (…) Srl ricevette da (…) (all’epoca Spa) un finanziamento di Euro 2.000.000,00. Le due società non erano collegate, ma il socio di maggioranza, nonché amministratore, era in entrambe Za.Pa.. Il denaro fu parzialmente (Euro 500.000,00) utilizzato per restituire un precedente finanziamento dalla prima ottenuto da (…) Spa
1.1. Il 12 gennaio 2006, (…) Srl ricevette da quest’ultima un ulteriore finanziamento di Euro 2.200.000,00, subito utilizzato per rimborsare quello precedentemente concessole da (…). Successivamente, il 2 ottobre 2007, fu messa in liquidazione e, nel 2011, lo Za.Pa. ne divenne socio unico, vendendo poi, nel 2012, le quote alla madre, che fu nominata liquidatrice. Il 31 gennaio 2013, la medesima società fu dichiarata fallita.
1.2. Il Fallimento (…) Srl , pertanto, agì in giudizio, innanzi al Tribunale di Venezia, Sezione Impresa, chiedendo la condanna di (…) Sas e del socio accomandatario Za.Pa. a restituirgli la somma di Euro 2.000.000,00, invocando l’applicazione del combinato disposto degli artt. 2467, 2497 – quinquies e 2033 cod. civ. e, in subordine, la loro responsabilità per fatto illecito ex artt. 2497 e 2043 cod. civ.
1.3. Costituitisi i convenuti, che contestarono integralmente le avverse pretese, l’adito tribunale, con sentenza del 26 luglio /19 settembre 2017, n. 2044, disattese l’eccezione di incompetenza da essi formulata e rigettò le domande attoree.
1.3.1. In particolare, ravvisò la legittimazione del curatore fallimentare ad agire ex art. 2497 cod. civ. “so/o con riferimento all’azione dei creditori” ed escluse l’applicabilità dell’art. 2467 cod. civ. , poiché (…) Sas non era socia di (…) Srl ed il rimborso era avvenuto molti anni prima della dichiarazione di fallimento. Negò, inoltre, l’applicabilità dell’art. 2497 – quinquies cod. civ. , atteso che la direzione sarebbe stata svolta da persona fisica, cioè dal socio amministratore della prima, e non da una società capogruppo.
2. Pronunciando sul gravame promosso dal menzionato Fallimento contro detta decisione, l’adita Corte di appello di Venezia lo respinse con sentenza del 25 luglio/29 agosto 2019, n. 3412, resa nel contraddittorio con Za.Pa. e (…) Sas di Za.Pa. & C.
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) considerò corretto l’assunto del tribunale che aveva negato al curatore fallimentare la legittimazione ad agire, in rappresentanza della fallita, per la responsabilità del soggetto che avrebbe esercitato poteri di direzione e coordinamento e riconosciuto al medesimo curatore soltanto la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità spettante ai creditori; ii) rimarcò, comunque, che, in base all’art. 2497 cod. civ. , è il legislatore a prevedere che al curatore spetti l’esercizio dell’azione dei creditori e non anche quella dei soci, i quali mantengono la legittimazione ad agire nei confronti dell’ente che esercita la direzione anche in caso di fallimento della società eterodiretta; iii) ritenne che correttamente il tribunale aveva escluso la ripetizione della restituzione del finanziamento anomalo erogato da (…) (all’epoca Spa) a (…) Srl nell’aprile del 2005, poiché avvenuta oltre un anno prima del fallimento della società finanziata. Opinò, infatti, che la restituzione del finanziamento non costituiva un indebito oggettivo ma un atto di adempimento; iv) negò l’applicabilità dell’art. 2497 – quinquies cod. civ. a Za.Pa. , che era stato amministratore di entrambe le società e che, in forza dei poteri gestori derivatigli di tali funzioni, aveva deciso ed attuato le operazioni di finanziamento e di rimborso in oggetto; v) osservò che, non trovando applicazione, per quanto si è detto, l’art 2467 cod. civ. , era priva di rilevanza, per la decisione del giudizio, la questione dell’utilizzazione dell’art. 2497-quinquies cod. civ. in relazione a persone fisiche; vi) evidenziò, quanto al preteso esercizio, da parte dello Za.Pa. , di poteri di direzione e coordinamento della società di cui era socio di maggioranza e, quindi, dell’ipotizzata esistenza di una holding individuale, che la presenza di un socio dominante non era sufficiente per affermare l’esistenza di una holding di fatto; vii) con riguardo, infine, alla richiesta, formulata in via subordinata, di condanna di (…) Sas e di Za.Pa. al risarcimento dei danni subiti da (…) Srl , negò la sussistenza dei relativi presupposti per la mancanza di un illecito in quanto la restituzione del finanziamento aveva costituito l’adempimento di una obbligazione, sicché neppure era ipotizzabile qualsivoglia danno.
3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il Fallimento (…) Srl in liquidazione, affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380 – bis.1 cod. proc. civ.. Hanno resistito, con unico controricorso, Za.Pa. e (…) Sas di Za.Pa. & C.
3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 21 aprile/19 giugno 2023, n. 17531, ha ritenuto “che le tematiche introdotte con questo giudizio, specie con riferimento alla questione della legittimazione attiva del curatore riconosciuta unicamente per l’azione dei creditori (art. 2497 c.c.) e non anche nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dell’abusiva attività di eterodirezione nonché alla questione relativa al rimborso del finanziamento senza postergazione meritino un approfondimento ad una pubblica udienza per il rilievo nomofilattico ed in ragione dell’assenza di precedenti specifici”. Pertanto, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza, in Occasione della quale il Fallimento ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la “Violazione degli artt. 2497, 2043 c.c. e 24 Cost. per la negata legittimazione attiva della società (per essa: del curatore fallimentare) a chiedere il risarcimento del danno da abuso dei poteri di eterodirezione. Omesso esame di un fatto che ha formato oggetto della discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. “. Viene censurata l’affermazione della corte distrettuale secondo cui non sarebbe stato indicato l’interesse del curatore fallimentare ad agire, per conto della società, al fine di ottenere un risarcimento per i danni conseguenti all’abuso dei poteri di eterodirezione stante l’azione riconosciuta ai creditori. Si sostiene di aver fatto riferimento ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2497 cod. civ. , richiamando esplicitamente l’ordinanza emessa in sede cautelare dal Tribunale di Venezia che aveva respinto l’eccezione di carenza di legittimazione nonché le ordinanze emesse con riguardo al caso Ligresti ed alla vigenza attuale dell’interpretazione autentica della menzionata disposizione imposta dal d.l. n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009. Si critica, inoltre, l’assunto della medesima corte secondo cui costituirebbe una inammissibile duplicazione di risarcimento riconoscere direttamente ai soci il ristoro della perdita di valore della partecipazione sociale e, poi, anche alla società il diritto alla reintegrazione del patrimonio da cui dipende quello stesso valore delle partecipazioni la cui perdita è già stata autonomamente risarcita. Si osserva, in linea generale, che l’azione risarcitoria promossa dai soci di minoranza nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili dell’abusiva attività di eterodirezione deve ritenersi inammissibile quando la società si è già attivata eventualmente anche in sede giudiziale nei confronti della propria controllante al fine di ottenere un risarcimento conseguente a detta attività.
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1.1. Tale doglianza si rivela in parte inammissibile ed in parte infondata.
1.2. È inammissibile laddove denuncia un vizio motivazionale, atteso che:
i) l’attuale testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (come modificato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 e qui applicabile, ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 29 agosto 2019), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr. , ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass. , SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. , SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); ii) come ancora recentemente ricordato, in motivazione, da Cass. n. 2607 del 2024, “giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. , non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr. , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 6073 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011; Cass. n. 17145 del 2006; Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 1374 del 2002; Cass. n. 13359 del 1999)”.
1.3. La censura è infondata, invece, laddove insiste nell’affermare la riconoscibilità della legittimazione ad agire del curatore fallimentare, in rappresentanza della società fallita, al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati alla società medesima dall’attività di eterodirezione e coordinamento su di essa esercitata.
1.3.1. Invero, l’art. 2497 cod. civ. , – inserito nel Capo IX (come sostituito dal D.Lgs. n. 6 del 2003, con decorrenza dall’1 gennaio 2004), intitolato “Direzione e coordinamento di società”, del Titolo V, del Libro Quinto del codice civile – rubricato “Responsabilità”, così testualmente dispone (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica apportata al suo comma 3, dal D.Lgs. n. 14 del 2019): “1. Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. 2. Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio. 3. Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento. 4. Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l’azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario”. Va ricordato, inoltre che ai sensi dell’art. 19 del d.l. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, il riportato comma 1 si interpreta nel senso che “per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”.
1.4. Tanto premesso, rileva, innanzitutto, il Collegio che l’appena riportata disposizione codicistica – chiara nel suo tenore letterale – attribuisce la legittimazione all’esercizio dell’azione ivi prevista ai soci ed ai creditori della società soggetta all’altrui attività di direzione e coordinamento.
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1.4.1. Più precisamente, la norma disciplina espressamente la responsabilità, nei confronti dei soci della società eterodiretta, “per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale” e, verso i creditori sociali, “per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società”.
1.4.2. Con riguardo alla posizione del socio, la dottrina ha evidenziato che trattasi di un’ipotesi di risarcibilità del danno meramente riflesso da lui subito, in deroga, quindi, al principio di generale irrisarcibilità di tale tipo di danno.
1.4.2.1. Infatti, il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale altro non è che il riflesso del danno subito (direttamente) dalla società eterodiretta, che importa una riduzione del valore del patrimonio sociale e, dunque, una riduzione del valore delle partecipazioni dei soci.
1.4.2.2. L’azione di responsabilità riconosciuta ai soci dall’art. 2497 cod. civ. consente al socio della società soggetta ad altrui direzione e coordinamento di agire nei confronti dell’ente che tale direzione e coordinamento abbia malamente esercitato, al fine di ottenere, in proprio favore, il risarcimento di danni incidenti sostanzialmente sul patrimonio della società e, così, per conseguenza solo indiretta, su quello suo personale, avendo il legislatore richiamato il concetto di pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione sociale.
1.4.3. Quanto alla posizione dei creditori sociali, invece, perché possa essere affermata la responsabilità derivante dall’illecito esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di società, occorre che il patrimonio della società eterodiretta sia stato danneggiato. In altri termini, deve esserne stata lesa l’integrità, con conseguente annientamento o riduzione della generica garanzia patrimoniale (art. 2740 cod. civ.).
1.4.3.1. Pertanto, il pregiudizio ai creditori, ai sensi dell’art. 2497, comma 1, cod. civ. , è quello all’interesse, che loro pertiene, strumentale alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale della loro debitrice, quale presupposto per favorire il buon esito del proprio credito.
1.4.4. La norma non prevede, per contro, la legittimazione ad agire della società sottoposta all’attività di direzione e coordinamento, titolare del patrimonio direttamente danneggiato dalle condotte abusive della controllante. Essa, inoltre, attribuisce al curatore fallimentare la legittimazione all’esercizio della sola azione dei creditori sociali, non anche di quella sociale, né di quella dei soci, quest’ultimi mantenendo, come si è già riferito, la legittimazione ad agire nei confronti dell’ente che esercita la direzione anche in caso di fallimento della società eterodiretta.
1.5. La mancata previsione di detta società tra i soggetti titolari dell’azione di cui all’art. 2497 cod. civ. non appare in contrasto con l’art. 24 Cost. , atteso che, come affatto condivisibilmente opinato dalla corte lagunare, “la fattispecie tutela beni che fanno capo direttamente ai soci: la redditività ed il valore della partecipazione sociale. La tutela, invece, dell’integrità del patrimonio è riconosciuta nell’interesse dei creditori sociali e – come si è detto – il curatore è legittimato ad agire in rappresentanza della collettività. Nell’insieme, la tutela apprestata dal legislatore è completa, poiché, riconoscendosi il diritto sia dei soci sia dei creditori ad ottenere il risarcimento dal soggetto esercitante l’attività di direzione e coordinamento, non rimangono esclusi soggetti danneggiati. Rappresenterebbe, invece, una inammissibile duplicazione di risarcimento riconoscere direttamente ai soci il ristoro della perdita di valore della partecipazione sociale e poi anche alla società il diritto alla reintegrazione del patrimonio, da cui dipende quel medesimo valore delle partecipazioni la cui perdita è già stata (o può essere) autonomamente risarcita” (cfr. pag. 8-9 della sentenza impugnata).
1.5.1. Anche i lavori preparatori, del resto, depongono nel senso che il curatore è legittimato a proporre unicamente l’azione spettante ai creditori sociali. Da essi, infatti, – come opportunamente rimarcato anche dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta – si desume agevolmente la piena consapevolezza del legislatore delegato del 2003 nella propria scelta definitiva: basti pensare, da un lato, alla cancellazione del terzo comma dello schema, con conseguente soppressione della legittimazione della società eterodiretta a promuovere l’azione di responsabilità contro la società dominante, già concessa ad azionisti “esterni” e creditori della società abusata; dall’altro, alla riconduzione di tale azione (degli azionisti “esterni” e dei creditori) alla violazione di una regola di condotta stabilita dal legislatore in funzione di una tutela diretta degli interessi che ad essi fanno capo (rispettivamente, redditività e valore della partecipazione, e solvibilità della società).
1.5.2. In altri termini, il dato letterale dell’art. 2497, comma 4, cod. civ. , che espressamente si riferisce alla sola azione dei creditori sociali (la quale, effettivamente, con il fallimento o l’amministrazione straordinaria della società eterodiretta, diviene azione di massa, al pari dell’azione ex art. 2394 cod. civ.), nemmeno è superabile alla luce dei criteri interpretativi di cui all’art. 12 delle Preleggi. Esso, invero, è collocato all’interno della norma che disciplina, ai commi precedenti, la responsabilità della società che esercita illegittimamente attività di direzione e coordinamento verso la controllata per i pregiudizi arrecati sia ai soci, sia ai creditori sociali dell’ente eterodiretto, sicché l’attribuzione della legittimazione al curatore o al commissario straordinario della sola azione dei creditori, manifesta, come ritiene anche la dottrina maggioritaria, una precisa scelta del legislatore e non la si può ritenere una mera omissione.
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1.6. Neppure persuade, infine, la tesi secondo cui le critiche derivanti dalla mancata previsione della legittimazione dell’organo della procedura nella fattispecie in esame avrebbero trovato riscontro nella formulazione dell’art. 291 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14): formulazione, che, data l’omnicomprensività, potrebbe essere interpretato nel senso dell’ampliamento della legittimazione del curatore.
1.6.1. Invero, proprio la nuova normativa del CCII si presta a diverse ed opposte interpretazioni, sollecitate dalla più attenta dottrina.
1.6.1.1. Infatti, l’art. 255 di detto Codice, rubricato “Azioni di responsabilità” (“1. Il curatore, autorizzato ai sensi dell’articolo 128, comma 2, può promuovere o proseguire, anche separatamente: a) l’azione sociale di responsabilità; b) l’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 e dall’articolo 2476, sesto comma, del codice civile; c) l’azione prevista dall’articolo 2476, ottavo comma, del codice civile; d) l’azione prevista dall’articolo 2497, quarto comma, del codice civile; e) tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge”) detta le disposizioni per la legittimazione generale alle azioni di responsabilità da parte del curatore della liquidazione giudiziale, analogamente a quanto previsto dall’art. 307 CCII per il commissario della liquidazione coatta amministrativa (“L’azione di responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo dell’impresa o dell’ente in liquidazione, a norma degli articoli 2393, 2394, 2476, primo, sesto e ottavo comma, 2497 del codice civile, è esercitata dal commissario liquidatore, previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione”).
1.6.1.2. Non si rinviene, dunque, come è evidente, la previsione di una legittimazione generale ed indistinta, ma, come sottolineato dalla più accorta dottrina, un’enunciazione puntuale delle azioni di responsabilità esperibili. Invero, anche la norma di chiusura di cui alla lett. e) dell’art. 255 ha una finalità volta a circoscrivere le azioni risarcitorie spettanti alla curatela alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, così superandosi la legittimazione del curatore ad esercitare le azioni di responsabilità senza ulteriori precisazioni.
1.6.2. In definitiva, è delineata un’impostazione più rigorosa che non riconosce al curatore un generalizzato potere di rappresentanza. Con la conseguenza che le disposizioni che attribuiscano tale potere al curatore debbono considerarsi quali norme eccezionali, al di fuori delle quali la legittimazione della curatela quale organo rappresentativo della massa dei creditori deve essere esclusa.
2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la “Violazione di legge per interpretazione ed applicazione errate degli artt. 2033, 2467 e 2497 – quinquies c.c.”. Si deduce che l’art. 2033 cod. civ. deve trovare applicazione non solo laddove la causa manchi totalmente ma anche allorquando il pagamento indebito sia riferibile ad una ragione genetica nulla ed inefficace. Si sostiene che, nel caso della restituzione di finanziamento “anomalo”, non viene in essere un pagamento prima della scadenza, bensì l’assenza di un elemento sostanziale (il mancato avverarsi della condizione legale dell’assenza di sovraindebitamento o di tensione finanziaria della società) perché possa configurarsi l’attualità del debito stesso di restituzione. Si precisa, altresì, che la postergazione legale dei finanziamenti “anomali” riguarda tutti i finanziamenti del genere, non solo quelli restituiti entro l’anno anteriore al fallimento, e deve essere assistita da una normativa che la salvaguardi. Si puntualizza pure che, “In realtà, il Fallimento attore non ha esercitato l’azione prevista dal primo comma, parte seconda, dell’art. 2467 c.c. per la retroversione “automatica” di finanziamenti “anomali” rimborsati nell’anno anteriore al fallimento: ha esercitato domanda di ripetizione per un rimborso avvenuto anteriormente”.
2.1. Tale doglianza si rivela infondata.
2.2. Invero, il Fallimento ricorrente, come si è appena riferito, ha sottolineato di non aver esercitato l’azione prevista dall’art. 2467, comma 1, seconda parte, cod. civ. (per la retroversione automatica di finanziamenti anomali rimborsati nell’anno anteriore al fallimento), ma di aver promosso, in via concorrente con l’azione ex art. 2497 cod. civ. , la domanda di ripetizione ex art. 2033 cod. civ. in relazione ad un “finanziamento anomalo” rimborsato anteriormente all’anno predetto.
2.3. Giova premettere, allora, che: i) l’art. 2467, comma 1, cod. civ. nel testo, qui applicabile ratione temporis, risalente al D.Lgs. n. 6/2003, prevede che il diritto dei soci al rimborso di un finanziamento concesso alla società in una situazione di squilibrio finanziario, o in un contesto che avrebbe richiesto un aumento di capitale, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e deve essere restituito alla massa qualora effettuato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; ii) giusta l’art. 2497 – quinquies cod. civ. . le regole relative ai finanziamenti dei soci nell’ambito della società a responsabilità limitata sono richiamate nel caso di finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti (finanziamenti discendenti o orizzontali). Da tale previsione consegue, allora, che la disciplina in esame si applica ai finanziamenti effettuati non solo a favore della società a responsabilità limitata, ma anche di società di altro tipo; inoltre, le medesime regole assumono rilievo non soltanto nel caso in cui il finanziamento sia effettuato dal socio, ma anche da terzi, purché si tratti o della società che esercita attività di direzione e coordinamento nei confronti della società finanziata o da altri soggetti comunque sottoposti a tale società; iii) nel caso di specie, la corte territoriale ha accertato che (…) Sas di Za.Pa. & C. aveva concesso un finanziamento alla (…) Srl , poi fallita, senza esserne socia (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata). La stessa corte, inoltre, ha ritenuto che correttamente il tribunale aveva escluso la ripetizione della restituzione di detto finanziamento, erogato nell’aprile del 2005, poiché avvenuta oltre un anno prima del fallimento della società finanziata e considerato, altresì, che la restituzione del finanziamento non costituiva un indebito oggettivo ma un atto di adempimento.
2.4. Fermo quanto precede, opina il Collegio che, tra le differenti ricostruzioni interpretative che hanno interessato l’art. 2467 cod. civ. nel testo in precedenza indicato (quella che, privilegiando il dato letterale, qualifica l’azione attribuita al curatore come ripetizione dell’indebito e quella che, in una differente prospettiva, riconduce la regola ai principi del diritto concorsuale, configurandola alla stregua di un’azione revocatoria di carattere speciale, trattandosi di un’inefficacia ex lege del rimborso, supportata da una presunzione assoluta della scientia decotionis), è senz’altro preferibile quella che riconduce il rimedio ivi disciplinato ad una fattispecie di revocatoria speciale.
2.4.1. Ciò non soltanto perché lo stesso art. 70, comma 2, l.fall. sancisce un obbligo di restituzione da revocatoria allorché si riferisce a “colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto”, ma anche, e soprattutto, perché opinare diversamente (qualificando, cioè, il rimedio de quo come azione di ripetizione dell’indebito) risulterebbe in chiaro contrasto proprio con quanto previsto dallo stesso art. 2467 cod. civ. , laddove, al comma 1, seconda parte, limita l’obbligo di restituzione al rimborso percepito nell’anno anteriore al fallimento: previsione, questa, che si rivelerebbe assolutamente inutile se la ricostruzione del rimedio in termini di azione ex art. 2033 cod. civ. fosse fondata, giacché quest’ultima dovrebbe portare, di per sé, ad ammettere che anche i rimborsi effettuati oltre l’anno prima dall’apertura del fallimento siano oggetto di ripetizione, sulla base, appunto, della disposizione indiscriminata di cui all’articolo 2033 cod. civ.
2.4.2. In altri termini, come condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta, è proprio “la limitazione temporale dell’obbligo di restituzione al solo rimborso percepito nel periodo sospetto di un anno anteriore al fallimento, insieme con la complessiva destinazione della disciplina contenuta nell’art. 2467 alla tutela dei creditori, a far piuttosto propendere per la tesi che vede nel suddetto obbligo l’espressione di una vera e propria revocatoria fallimentare ex lege del tutto simile, quanto a meccanismo operativo (inefficacia automatica), a quella dei pagamenti di cui all’art. 65 l. fall.”.
2.5. Resta solo da ricordare, a conferma della correttezza della soluzione ermeneutica qui prescelta, che il CCII ha abrogato, all’interno dell’art. 2467 cod. civ. (e, quindi, anche dell’art. 2497 – quinquies cod. civ.), la regola di diritto concorsuale, ponendola nell’ambito dell’art. 164 CCII, rubricato “Pagamenti di crediti non scaduti e postergati”, che, ai commi 2 e 3, sancisce che “2. Sono privi di effetto rispetto ai creditori i rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore. Si applica l’art. 2467 secondo comma, codice civile. 3. La disposizione di cui al comma secondo si applica anche al rimborso dei finanziamenti effettuato a favore della società assoggettata alla liquidazione giudiziale da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti”.
In tema di finanziamento dei soci in favore della società la postergazione opera già durante la vita della società
2.5.1. Il legislatore, dunque, non colloca più la norma, chiaramente di diritto concorsuale, all’interno del codice civile, ma la inserisce nell’ambito della disciplina dell’azione revocatoria, equiparandola a quella relativa ai pagamenti di crediti non scaduti. Viene confermata, così, l’inefficacia del pagamento, rectius del rimborso dei finanziamenti, ampliandosi il periodo preso in considerazione, che decorre non più dall’apertura della procedura, ma dal deposito della domanda e, quindi, ricomprende l’anno anteriore a quest’ultimo nonché il periodo intercorrente tra il deposito della domanda e l’apertura della procedura concorsuale.
3. Il terzo motivo di ricorso prospetta la “Violazione di legge per falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 2497, 2467 e 2497 – quinquies c.c. e per disapplicazione dell’art. 1218 c.c. – Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”. Si contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il soggetto eterodirigente debba essere necessariamente una società o un ente e non una persona fisica, sicché, in assenza di tale organismo, non si potrebbe invocare l’art. 2497, comma 2, cod. civ. Si ascrive alla corte lagunare di non aver fatto corretta applicazione dei principi affermati da Cass. n. 26785 del 2016, secondo cui, nel caso di eterodirezione su base personale, i requisiti della spendita del nome e della struttura organizzativa vanno valutati con “minor rigore” perché, in tali casi, ben vi può essere una “organizzazione coincidente con quella delle tre società coordinate”. Quanto, poi, alla spendita del nome, si critica la medesima corte per avere omesso di considerare che Za.Pa. aveva esplicitamente speso il suo nome nell’operazione (…), prima di una assunzione di cariche amministrative nella newco che ne sarebbe stata protagonista.
3.1. Questa doglianza risulta complessivamente inammissibile.
3.2. Lo è, innanzitutto, laddove lamenta un vizio motivazionale, potendosi ragionevolmente richiamare, in proposito, le stesse considerazioni esposte nel precedente par. 1.2. per disattendere la medesima tipologia di vizio di cui al primo motivo.
3.3. Lo è anche, però, nella parte in cui denuncia la pretesa violazione di legge, atteso che, in realtà, la censura si rivela chiaramente volta ad ottenere l’applicazione di quanto sancito dall’art. 2467 cod. civ. sul presupposto che, nella specie, si sia al cospetto di finanziamenti effettuati, in favore della società poi fallita ((…) Srl), da chi (Za.Pa. o (…) Sas , società di cui quest’ultimo era amministratore), asseritamente, esercitava attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti (art. 2497-quinquies cod. civ.).
3.3.1. La sentenza impugnata, tuttavia (cfr. pag. 11) ha escluso che lo Za.Pa. avesse deciso ed attuato le operazioni di rimborso e finanziamento per cui è causa in forza dell’esistenza di un vincolo di sottoposizione. Secondo la corte veneziana, infatti, “Za.Pa. era amministratore di entrambe le società (oltre che socio di maggioranza), ed in forza dei poteri gestori che gli derivavano dalla funzione di amministratore (e non certo per l’esistenza di un vincolo di “sottoposizione”, quale può sussistere tra una società capogruppo e le partecipate), egli ha deciso ed attuato le operazioni di finanziamento e di rimborso di cui è causa”.
3.3.2. Trattasi, come è palese, di un accertamento di evidente natura fattuale, non ulteriormente sindacabile in questa sede. Non resta, dunque, che prenderne atto e rilevare che, rispetto ad esso, le argomentazioni del motivo appaiono, sul punto, sostanzialmente volte ad ottenerne un inammissibile riesame. Il giudizio di legittimità, invero, non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass. , SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043 e 6257 del 2024).
3.4. A tanto deve aggiungersi soltanto che è lo stesso Fallimento (…) Srl in liquidazione ad aver puntualizzato (cfr. pag. 23 del suo ricorso) di non aver esercitato l’azione prevista dall’art. 2467, comma 1, seconda parte, cod. civ. (bensì quella di ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ. , in relazione ad un rimborso avvenuto anteriormente all’anno di cui al menzionato art. 2467 cod. civ.), sicché la questione concretamente posta dal motivo, come già condivisibilmente rilevato dalla corte di appello (cfr. pag. 11 – 12 della sentenza impugnata.) – oltre che dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta – diviene assolutamente irrilevante.
4. Il quarto motivo di ricorso, infine, è così rubricato: “Violazione di legge per errata interpretazione ed applicazione degli articoli 2467, 2497, 2497 – quinquies, 2043 ovvero 1218 c.c. e 216 l.f.”. Assume il ricorrente che l’art. 2467 cod. civ. , nel prevedere la postergazione necessaria del “finanziamento anomalo”, introduce un divieto di rimborso fintantoché permanga la situazione di sovraindebitamento della società finanziata e che la violazione di tale divieto costituisce un comportamento antigiuridico che, se accompagnato dall’esercizio di poteri di direzione e coordinamento di società, costituisce abuso della società eterodiretta fonte di responsabilità ex art. 2497 cod. civ. ed anche 2497 – quinquies cod. civ. , inquadrabile come responsabilità contrattuale ex art 1218 cod. civ. o come responsabilità ex art. 2043 cod. civ.
4.1. Questa doglianza si rivela complessivamente insuscettibile di accoglimento.
4.2. Invero, la corte territoriale ha escluso la configurabilità dell’illecito sia per mancanza del profilo dell’antigiuridicità, essendosi al cospetto, a suo dire, di un adempimento di obbligazione (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata), sia, in concreto, per insussistenza di danno, trattandosi di operazione cd. a “saldo invariato” (cfr. pag. 14 della medesima sentenza).
4.3. Tanto premesso, rileva il Collegio che il verificarsi delle ipotesi di cui all’art. 2467, comma 2, cod. civ. produce effetti negoziali sul diritto del socio alla restituzione della somma finanziata, che diviene inesigibile quand’anche sia spirato il termine previsto per l’adempimento ex art. 1813 c.c.
4.3.1. Come significativamente sancito da Cass. n. 12994 del 2019 ” la postergazione disposta dall’art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico – finanziaria prevista dalla norma; ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi”.
4.3.2. Posto, allora, che la disciplina della postergazione dei finanziamenti dei soci è volta a tutelare le aspettative dei creditori terzi e della società, a fronte di richieste di rimborso relative a crediti non ancora esigibili, la violazione della regola di cui all’art. 2467 cod. civ. può dar luogo a plurime forme di tutela, tra le quali, senz’altro, – come rimarcatosi anche nella requisitoria scritta del sostituto procuratore generale – la responsabilità (per violazione di doveri tipicamente previsti dalla legge), nei confronti dei creditori (e, dunque, del fallimento), degli amministratori di una società fallita che abbiano restituito ai soci somme in violazione della norma predetta
4.3.3. Nella specie, tuttavia, il fallimento ricorrente, lungi dall’invocare la responsabilità ex art. 2394 cod. civ. e 146 l.fall. , ha inteso agire, dichiaratamente, nei confronti di Za.Pa. , ex art. 2497 cod. civ. (cfr. pag. 6 del ricorso).
4.3.4. La corte di merito, però, ha escluso l’esistenza di attività di direzione e coordinamento da parte di quest’ultimo, sicché la censura si rivela sostanzialmente diretta ad ottenere una rivisitazione di quello stesso accertamento fattuale – non ulteriormente sindacabile, invece, in questa sede – già descritto nel precedente par. 3.3.1. Non resta resta che ribadire, allora, quanto si è osservato, in proposito, nel successivo par. 3.3.2. , da intendersi qui richiamato.
4.4. Nemmeno può essere invocata, infine, la violazione delle norme di cui agli artt. 1218 o 2043 cod. civ. , perché, come ancora una volta condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria scritta, solo se l’atto illecito (nei confronti della società o dei creditori sociali) costituisce violazione di doveri diversi da quelli tipicamente previsti dalla legge o dallo statuto in funzione dell’amministrazione della società (ma questo non è il caso di specie, integrando il rimborso di un credito inesigibile una tipica violazione dell’art. 2467 cod. civ. che concorre a conformare lo statuto dell’amministratore), ed è compiuto, quindi, al di fuori ed indipendentemente dall’esistenza e dal collegamento con il rapporto di amministrazione, gli amministratori rispondono dei danni conseguentemente arrecati alla società in sede contrattuale o extracontrattuale secondo le norme ordinarie del diritto comune.
In tema di finanziamento dei soci in favore della società la postergazione opera già durante la vita della società
5. In definitiva, quindi, l’odierno ricorso promosso dal Fallimento (…) Srl in liquidazione deve essere respinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, rimarcandosi, in proposito, che il patrocinio a spese dello Stato (spettante ex lege al Fallimento che agisca munito del decreto del giudice delegato ex art. 144 del d.P.R. n. 115 del 2002. Cfr. , in motivazione, Cass. n. 27310 del 2020), non vale ad addossare all’Erario anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all’altra risultata vittoriosa (cfr. Cass. n. 25653 del 2020; Cass. n. 8388 del 2017).
5.1. Infine, deve darsi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass. , S.U. , n. 24245 del 2015; Cass. , S.U. , n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass. , SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto dal Fallimento (…) Srl in liquidazione e lo condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, liquidate in complessivi Euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
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