È nulla la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi la possibilità di trattare direttamente alcuni clienti non previamente individuati

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 maggio 2024| n. 15005.

È nulla la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi la possibilità di trattare direttamente alcuni clienti non previamente individuati

È nulla ai sensi dell’art. 1356 cod. civ., risolvendosi in una condizione meramente potestativa, tale da far venir meno l’efficacia vincolante dell’intero contratto, la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi in ogni momento la possibilità, previa comunicazione, di trattare direttamente alcuni clienti (non previamente individuati), così escludendo ogni diritto dall’agente in quanto l’applicazione di detta clausola svuoterebbe di significato il contratto, consentendo al preponente la possibilità di sottrarre all’agente un numero indefinito di clienti – anche tutti – senza riconoscergli diritto a provvigioni o tenere in alcun conto le spese sostenute e le attività svolte per organizzare una sempre più estesa rete di clienti.

 

Sentenza|29 maggio 2024| n. 15005. È nulla la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi la possibilità di trattare direttamente alcuni clienti non previamente individuati

Data udienza 23 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti – Agenzia – Contenuto – Clausola che accorda al proponente la facoltà di trattare direttamente, con esclusione dei diritti dell’agente, alcuni clienti non previamente individuati – Natura – Condizione meramente potestativa – Configurabilità – Effetti – Nullità ex art. 1356 c.c. – Sussistenza – Fondamento

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso 15428-2019 proposto da:

(…) Sas di Pa.De., rappresentata e difesa dall’avvocato CE.DE., giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(…) Spa, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato PA.CH. che la rappresenta e difende, unitamente all’avvocato CA.BR., giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 678/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/04/2018;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. FULVIO TRONCONE, che ha chiesto l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, ed il rigetto o la declaratoria di inammissibilità degli altri motivi;

lette le memorie della controricorrente;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. FULVIO TRONCONE, che ha chiesto l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, ed il rigetto o la declaratoria di inammissibilità degli altri motivi;

lette le memorie della controricorrente;

uditi l’avvocato Sa.Ca. per delega dell’avvocato Cesare dell’Oca per parte ricorrente e l’avvocato Ca.Br. per parte controricorrente;

È nulla la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi la possibilità di trattare direttamente alcuni clienti non previamente individuati

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. (…) Sas ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia la (…) Spa, deducendo di avere svolto l’attività di agente per conto della convenuta la quale aveva receduto dal contratto senza giusta causa.

Chiedeva di accertare la nullità parziale del contratto, relativamente alle clausole nn. 2 e 15 della lettera di incarico del 4 settembre 2000, con la condanna della convenuta al pagamento delle provvigioni non corrisposte, dell’indennità di maneggio del denaro, del compenso per l’attività di trasporto, nonché delle indennità di fine rapporto, oltre al risarcimento del danno; in via subordinata, nel caso in cui fosse stata affermata la nullità dell’intero contratto, chiedeva l’indennizzo per l’attività prestata in favore della convenuta, e sempre in via subordinata, di accertare che la convenuta aveva calcolato le provvigioni, non sull’importo fatturato, ma sul prezzo di listino, essendo dovute le provvigioni calcolate sul maggiore importo; chiedeva altresì la corresponsione delle provvigioni per la segnalazione di vari clienti e dei premi di esportazione non corrisposti.

In particolare, sosteneva che la clausola n. 2, che permetteva alla controparte di qualificare un cliente come cliente direzionale, sottraendo in tal modo all’agente il diritto alla provvigione, si configurava alla stregua di una clausola meramente potestativa, e quindi nulla, come del pari era nulla la clausola n. 15 che prevedeva l’onere dello star del credere, in contrasto con il disposto dell’art. 1746 c.c.

Nella resistenza della convenuta, il Tribunale adito, con la sentenza n. 812/2013 rigettava la richiesta di nullità della clausola n. 2, accertava la nullità della clausola n. 14, e condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 1.653,76, come determinata dalla CTU, a titolo di importo trattenuto in forza della clausola nulla, rigettando però ogni altra domanda dell’attrice.

Avverso tale sentenza ha proposto appello l’attrice, cui ha resistito la convenuta, e la Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 678 del 13 aprile 2018 ha rigettato il gravame. In primo luogo, reputava che fosse infondata la deduzione di nullità della sentenza in quanto la data indicata come quella di deliberazione era riferita al 2013, e non al 2012, trattandosi di un mero refuso.

In relazione al secondo motivo di appello, che investiva la nullità dell’art. 2 della lettera di incarico, la Corte distrettuale osservava che in realtà l’indicazione dei cc.dd. clienti direzionali, e cioè di quelli che erano esclusi dal rapporto di agenzia, in quanto oggetto di trattative direttamente condotte dalla preponente, era correlata alla indicazione delle specifiche categorie di clienti contenute nella medesima clausola, dovendosi quindi reputare che fosse sufficientemente specifica e consentisse di risalire alla tipologia di clientela per la quale era esclusa l’esclusiva in favore dell’agente. Per l’effetto i clienti direzionali non erano una categoria aggiuntiva e diversa rispetto a quella delle società di ristorazione ed agli enti pubblici per i quali era espressamente indicata l’esclusione dal mandato dell’agente.

Peraltro, i clienti direzionali, per i quali l’attrice reclamava il pagamento delle provvigioni, erano solo tre ed aventi la loro sede all’estero, dovendosi peraltro ritenere che il mandato non prevedesse la possibilità per la (…) di operare anche all’estero, in assenza della chiara manifestazione di volontà delle parti di estendere il mandato anche a clienti ubicati fuori dai confini nazionali.

È nulla la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi la possibilità di trattare direttamente alcuni clienti non previamente individuati

Quanto al terzo motivo, la sentenza osservava che l’attività di riscossione del denaro era remunerata attraverso una maggiorazione della provvigione dello 0,7%, non essendo stata offerta la prova che in occasione del pagamento delle provvigioni non fosse stata riconosciuta anche tale maggiorazione. Era ritenuto inammissibile ex art. 342 c.p.c. il quarto motivo di appello relativo all’indennità per attività di vettore, mentre il quinto motivo presupponeva a monte che fosse stata dichiarata l’invalidità della clausola n. 2 della lettera di incarico.

Quanto all’indennità di cd. supero, legata alla differenza tra prezzo di listino e prezzo fatturato, la sentenza di primo grado aveva ritenuto che le difese dell’appellante si fondassero su allegazioni intervenute per la prima volta allorché erano maturate le preclusioni assertive, e quindi tardivamente.

Tuttavia, non si era tenuto conto che il CTU aveva calcolato il maggiore importo dovuto sulla base della pretesa attorea.

La Corte distrettuale, oltre a confermare la valutazione di tardività dell’allegazione difensiva, osservava che il richiamo alla CTU non poteva supplire alla mancata prova dell”esistenza di un patto aggiuntivo relativo al testo originario dell’incarico conferito, che non prevedeva tale indennità commisurata al prezzo fatturato.

Quanto al sesto motivo, che investiva il mancato riconoscimento delle indennità di fine rapporto, la sentenza rilevava che effettivamente doveva reputarsi comprovato che l’agente aveva trattenuto delle somme incassate per conto della preponente, e che in base al contratto, avrebbe dovuto immediatamente riversare a quest’ultima ai sensi dell’art. 16 della lettera di incarico.

Tale circostanza non era stata specificamente contestata dall’attrice e risultava anche confermata dalla deposizione di un teste, il che legittimava il recesso per giusta causa della preponente, non potendosi invocare la compensazione con il credito da provvigioni dovute, stante l’illecita condotta della società appellante.

Dopo aver ritenuto inammissibile il settimo motivo, per la violazione dell’art. 342 c.p.c., nell’esaminare l’ottavo motivo di appello, la Corte distrettuale reputava che la domanda risarcitoria era stata correlata in citazione solo al protesto di un vaglia cambiario, ma la critica alla sentenza di primo grado si palesava del tutto generica e formulata in violazione, anche in questo caso, dell’art. 342 c.p.c.

2. la (…) Sas di Pa.De. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello affidato a sei motivi. L’intimata ha resistito con controricorso.

3. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte e la controricorrente ha depositato memorie.

4. Il primo motivo di ricorso denuncia ex art. 360 co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e recepito nel supplemento di CTU, nonché l’omessa/carenza di motivazione dell’esclusione del supplemento della CTU dal thema decidendum. Si sostiene che, quanto al rigetto del primo motivo di appello, che insisteva sulla data riportata in sentenza, e che denoterebbe come in realtà la decisione abbia prescisso dal contenuto della CTU, la sentenza sarebbe effettivamente carente quanto alla disamina del contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, i cui esiti avrebbero invece dovuto essere presi in considerazione ai fini della decisone.

Il motivo è inammissibile quanto alla deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., in quanto, anche a voler soprassedere circa la possibilità di ricondurre gli esiti della CTU (e non anche eventuali fatti dall’ausiliario riscontrati, e dei quali il motivo non offre specifica individuazione) nel novero dei fatti decisivi cui si riferisce la norma de qua, la deduzione del vizio risulta preclusa per effetto dell’applicazione dell’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., avendo la Corte d’Appello confermato quella di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a sostegno della sentenza di primo grado.

Quanto invece al preteso difetto di motivazione, il motivo si palesa manifestamente infondato, avendo la Corte d’Appello offerto una motivazione ampiamente satisfattiva del principio del cd. minimo costituzionale della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), e, per quanto rileva ai fini della censura, avendo esplicato sui vari punti interessati dalle indagini dell’ausiliario, le ragioni per le quali, sulla scorta delle previsioni della lettera d’incarico, non potesse accedersi alla richiesta dell’appellante di condividere gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio che aveva in parte recepito alcune indicazioni, che però non avevano poi trovato riscontro né nelle previsioni negoziali (si pensi all’interpretazione dell’art. 2, ovvero alla pretesa maggiore entità della provvigione per il “supero” dell’importo fatturato rispetto al prezzo di listino), né nella ricostruzione in fatto dei rapporti tra le parti (si consideri il mancato riconoscimento dell’indennità di fine rapporto, avendo i giudici di merito reputato legittimo il recesso della preponente, e quindi insussistente il diritto al pagamento delle indennità de quibus).

5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1743 c.c.

È nulla la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi la possibilità di trattare direttamente alcuni clienti non previamente individuati

Si deduce che l’interpretazione che la Corte d’Appello ha offerto dell’art. 2 della lettera di incarico, quanto all’individuazione dei cc.dd. clienti direzionali, è in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, in quanto non si avvede del fatto che con la detta clausola la preponente ha conservato la possibilità di individuare a proprio piacimento ed immotivatamente i clienti per i quali aveva la possibilità di trattare direttamente, con esclusione del diritto alla provvigione dell’agente.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

L’art. 2 della lettera di incarico del 4 settembre 2000, che pacificamente regola in forma scritta i rapporti tra le parti, dispone che “Oggetto dell’incarico è unicamente la promozione dei contratti di vendita di prodotti di cui al successivo punto 3) nella zona assegnata con esclusione delle vendite alle Società di Ristorazione Collettiva, agli Enti Pubblici e quelli considerati “Clienti Direzionali” che (…) Spa si riserva di seguire direttamente……”.

Assume parte ricorrente che la previsione relativa ai clienti direzionali sarebbe del tutto indeterminata e sostanzialmente lascerebbe alla preponente un potere del tutto arbitrario di individuare i soggetti destinati a rientrare in tale categoria, così che la clausola medesima in parte qua si configurerebbe come una condizione meramente potestativa, e quindi affetta da nullità.

Da tale premessa trae quindi la conseguenza che, avendo la preponente concluso affari anche con società non rientranti nelle prime due categorie, l’agente avrebbe maturato il diritto al pagamento del compenso delle relative provvigioni.

A sostegno del proprio assunto richiama il principio affermato da questa Corte secondo cui è nulla ai sensi dell’art. 1356 cod. civ., risolvendosi in una condizione meramente potestativa, tale da far venir meno l’efficacia vincolante dell’intero contratto, la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi in ogni momento la possibilità, previa comunicazione, di trattare direttamente alcuni clienti (non previamente individuati), così escludendo ogni diritto dall’agente in quanto l’applicazione di detta clausola svuoterebbe di significato il contratto, consentendo al preponente la possibilità di sottrarre all’agente un numero indefinito di clienti – anche tutti – senza riconoscergli diritto a provvigioni o tenere in alcun conto le spese sostenute e le attività svolte per organizzare una sempre più estesa rete di clienti (Cass. n. 4504 del 20/05/1997).

I giudici di merito, con soluzione conforme in entrambi i gradi, hanno però disatteso la deduzione difensiva della ricorrente, reputando che in realtà la clausola riportata non sarebbe del tutto indeterminata e che la sua corretta interpretazione imporrebbe di operare una stretta connessione con l’individuazione delle prime due categorie (enti pubblici e società di ristorazione collettiva), di tal che anche la categoria dei cd. clienti direzionali presupporrebbe che questi ultimi siano assimilabili sul piano ontologico alle prime due, ponendosi la specifica elencazione riferita alle prime due categorie come esplicativa delle ipotesi nelle quali è dato alla preponente procedere alla diretta trattazione degli affari.

Al fine di supportare tale conclusione, che evidentemente nasce da una esegesi della clausola negoziale, la cui correttezza non risulta specificamente attinta dal motivi di ricorso in esame, è stata richiamata la altrettanto pacifica giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte affermato che il diritto di esclusiva costituisce un elemento naturale, non già essenziale, del contratto di agenzia, sicché esso può essere validamente oggetto di deroga ad opera della volontà delle parti, deroga che può desumersi anche in via indiretta, purché in modo chiaro ed univoco, dal regolamento pattizio del rapporto, ove in concreto incompatibile con il detto diritto; pertanto dalla pattuizione con cui le parti abbiano stabilito che il preponente ha diritto di nominare più agenti nella stessa zona è consentito desumere anche l’esclusione della provvigione per l’agente per le vendite concluse dallo stesso preponente, pure nell’ipotesi in cui sia stato convenuto un regime di esclusiva limitato agli affari trattati dagli agenti con determinati clienti, nominativamente indicati (cfr. Cass. n. 6093/1991; Cass. n. 5920/2002; Cass. n. 17063/2011).

Sul piano dell’individuazione della clientela, è stato quindi affermato che (Cass. n. 21073/2007) il diritto di esclusiva previsto dall’art. 1743 cod. civ. è elemento non essenziale ma naturale del contratto di agenzia e, quindi, può essere derogato dalle parti in forza di clausola espressa ovvero di una tacita manifestazione di volontà, desumibile dal comportamento tenuto dalle stesse parti sia al momento della conclusione del contratto, sia durante la sua esecuzione (nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato esservi una volontà contrattuale nel senso derogatorio al diritto di esclusiva dell’agente sia in ragione della sussistenza, in fase di stipulazione del contratto di agenzia, di una riserva clienti in favore del proponente, sia della comprovata contemporanea presenza di più mandatari nella medesima zona in cui, durante il rapporto, aveva operato l’agente).

I giudici di merito, con soluzione conforme nei due gradi di merito, hanno perciò sostenuto che la previsione della categoria dei cc.dd. clienti direzionali non fosse affidata alla unilaterale ed insin(…)abile valutazione della preponente, ma trovasse un aggancio nella individuazione delle categorie espressamente individuate nell’art. 2, trattandosi di soggetti che dovessero avere delle caratteristiche omogenee alle prime due, sottraendosi quindi la previsione negoziale alla censura di indeterminatezza formulata dalla ricorrente, tale da attribuire alla preponente un potere assolutamente potestativo di individuazione dei soggetti per i quali non operava l’esclusiva dell’agente.

A tal fine la sentenza, senza arrestarsi al solo dato letterale, ha fatto riferimento anche all’andamento successivo del rapporto di agenzia, evidenziando come la tipologia di clientela trattata dalla (…) (bar, ristoranti, pizzerie, hotel, caffè e pasticcerie, e cioè esercizi commerciali di medie – piccole dimensioni), confermasse come l’incarico fosse rivolto essenzialmente a tali categorie di clienti, con esclusione di soggetti di maggiori dimensioni, e comunque rientranti nell’ambito di quelli delineati dall’elencazione delle prime due categorie di cui all’art. 2.

Emerge, pertanto, che l’interpretazione dell’accordo contrattuale operata dal giudice di merito, oltre che fondarsi sul testo della lettera di incarico (con una soluzione che non si connota come di per sé implausibile o priva di ogni concreta sostenibilità), appare rafforzata anche dal riferimento alla successiva condotta dei contraenti, in linea con quanto previsto dall’art. 1362, co. 2, c.c.

La censura sollevata con il motivo si fonda, quindi, su di una lettura unilaterale della previsione contrattuale, che contrasta con quella offerta dal giudice di merito (e che non risulta specificamente attinta da una critica che deduca l’erronea applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale), di guisa che anche la dedotta violazione di legge presuppone a monte che vi sia una diversa esegesi della clausola di cui all’art. 2, che deponga appunto per la conclusione secondo cui sarebbe rimessa al mero arbitrio della preponente l’individuazione della categoria del clienti direzionali, conclusione questa che però la sentenza impugnata, con motivazione non connotata da abnormità o illogicità, ha invece escluso.

6. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., quanto all’affermazione del giudice di appello secondo cui il mandato conferito alla ricorrente non si estenderebbe anche ai clienti svizzeri, deducendo in particolare che le deduzioni sviluppate dalla ricorrente sarebbero state inammissibili in quanto nuove.

In realtà, già in primo grado l’attrice aveva inteso conseguire le provvigioni per gli affari conclusi con le società la cui sede era in Svizzera, e non tiene conto del fatto che la volontà delle parti, ove correttamente interpretata, deponeva per l’intento di includere negli affari idonei a produrre provvigioni, anche quelli intervenuti con le dette società.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata nel rigettare la richiesta della ricorrente di conseguire le provvigioni maturate per gli affari conclusi dalla preponente con le società ubicate in Svizzera ha in realtà adottato una duplice ratio, ognuna delle quali di per sé idonea a sorreggere il rigetto della domanda. In particolare, ha, da un lato, affermato che le dette società rientravano nel novero dei cd. clienti direzionali, per i quali ai sensi dell’art. 2 della lettera di incarico era sottratta l’esclusiva in favore dell’agente, trattandosi di clienti per i quali era previsto che la proponente potesse trattare direttamente, senza quindi alcuna pretesa da parte dell’agente, e dall’altro, ha aggiunto che il mandato in realtà si riferiva solo a clienti operanti in Italia, non essendo previsto che la Sinatra potesse operare anche all’estero.

Trattasi però di due rationes ognuna delle quali autonomamente idonea a supportare il rigetto della domanda attorea, di modo che, una volta disattesa la questione relativa all’interpretazione della clausola n. 2 della lettera di incarico, diviene sostanzialmente irrilevante appurare se il mandato contemplasse anche la possibilità per l’agente di trattare con società estere, maturando la provvigione anche per tale attività.

A ciò deve poi aggiungersi che la sentenza impugnata, alla pag. 15, ha evidenziato che il profilo relativo alla limitazione territoriale del mandato era stata affermata già dal giudice di primo grado, che aveva optato per una lettura restrittiva dell’esclusiva, limitata “preferibilmente nella zona di Sondrio”, senza che tale conclusione fosse stata specificamente attinta dalla ricorrente con uno specifico motivo di appello, il che rendeva già di per sé inammissibile l’appello volto a sostenere il diritto al pagamento della provvigione, senza avere prima contestato la conclusione cui era pervenuto sul piano dei limiti territoriali il giudice di primo grado.

Il motivo deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

7. Il quarto motivo di ricorso denuncia ai sensi dell’art. 360, co. 3 e 5, c.p.c., la mancata applicazione dell’art. 2041 c.c., quanto al mancato riconoscimento dell’indennità di maneggio del denaro. Si evidenzia che la Corte d’Appello ha reputato che la previsione di una maggiorazione della provvigione dello 0,7% non tiene conto del fatto che gli accordi economici collettivi indicano una percentuale del 5% per detta attività, così che, tenuto conto della ridotta percentuale accordata, e nemmeno autonomamente contemplata rispetto alla provvigione dovuta per la conclusione degli affari, non appare comprensibile la ragione per la quale sia stato negato il diritto all’arricchimento senza causa. Il motivo, come già detto, è inammissibile nella parte in cui denuncia il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., essendosi al cospetto di un’ipotesi di cd. doppia conforme.

Quanto alla violazione di Legge, in disparte il difetto di specificità del motivo, che omette di riportare le previsioni negoziali relative al riconoscimento della percentuale dello 0,7% per il maneggio del denaro, nonché la specifica individuazione della norma degli accordi economici collettivi suscettibile di trovare applicazione, ad escludere la possibilità di invocare la previsione in tema di arricchimento senza causa è la clausola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c.

Infatti, l’azione di arricchimento può essere valutata, se proposta in via subordinata rispetto all’azione contrattuale articolata in via principale, soltanto qualora quest’ultima sia rigettata per un difetto del titolo posto a suo fondamento, ma non anche nel caso in cui sia stata proposta domanda ordinaria, fondata su titolo contrattuale, senza offrire prove sufficienti al suo accoglimento (Cass. S.U. n. 33954/2023; Cass. n. 14944/2022; Cass. n. 11682/2018).

Nella specie, la ricorrente ha avanzato una domanda di pagamento dell’indennità facendo valere un titolo contrattuale collegato alla specifica disciplina del rapporto intervenuto con la preponente, così che una volta rigettata tale domanda, sul presupposto che le parti avessero in realtà già convenuto una indennità per la causale addotta, sebbene in misura inferiore rispetto a quanto preteso dall’agente, risulta evidente come l’esercizio dell’azione di arricchimento risulti precluso per il difetto della condizione della sussidiarietà rispetto alla proposta domanda di natura contrattuale, una volta escluso dai giudici di merito (e senza che sul punto risulti avanzata specifica censura), che la diversa previsione della percentuale per il maneggio del denaro incorra in una causa di nullità.

8. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c., per difetto di motivazione e mancata applicazione dell’art. 115 c.p.c., quanto al mancato riconoscimento dell’indennità per il supero da calcolare sull’intera differenza tra il prezzo di listino e quello fatturato.

La Corte d’appello ha ritenuto che le deduzioni sviluppate dalla ricorrente in appello fossero inammissibili, in quanto avanzate già in primo grado ben oltre la maturazione delle preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c.

Nel mezzo di gravame si richiama il generale potere di acquisizione dei documenti da parte del CTU e la previsione di cui all’art. 194 c.p.c., che consente quindi all’ausiliario del giudice di poter acquisire documenti anche oltre il termine per le preclusioni istruttorie.

Ne consegue perciò che è erronea l’affermazione della Corte d’Appello che ha reputato inammissibili le deduzioni rese al riguardo dalla società appellante.

È nulla la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi la possibilità di trattare direttamente alcuni clienti non previamente individuati

Il motivo è inammissibile in quanto, oltre che generico, non si confronta con la ratio che è alla base del rigetto dell’analogo motivo di appello.

La ricorrente ha avanzato una richiesta di riconoscimento delle provvigioni maturate, ma da calcolare non sul prezzo di listino, bensì sul prezzo di vendita dei beni oggetto di intermediazione, così come fatturato al cliente.

Il CTU ha effettivamente calcolato tali maggiori importi, ma il giudice di appello ha reputato di non poter prendere in esame l’esito della consulenza tecnica d’ufficio, oltre che facendo riferimento alla pretesa novità delle allegazioni difensive della ricorrente, in quanto operate oltre il termine di cui all’art. 183, co. 5, c.p.c., soprattutto per la ragione per cui il conteggio operato dall’ausiliario d’ufficio non era idoneo a supplire alla carenza di prova, della quale era onerata l’agente, del fatto che tra le parti fosse intervenuto, rispetto a quanto previsto ab origine nell’accordo del 4/9/2000, un patto aggiuntivo in base al quale ragguagliare l’importo delle provvigioni al diverso valore dell’importo fatturato.

Non ignora la Corte come sull’acquisizione documentale le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 3086/2022) abbiano affermato che in materia di esame contabile, ai sensi dell’art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni – non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tuttavia il motivo difetta evidentemente di specificità nella parte in cui invoca il potere di acquisizione documentale ad opera del CTU, senza però indicare quale specifico documento sia stato acquisito dall’ausiliario (e ciò anche tenuto conto del fatto che trattandosi di una modifica al contratto di agenzia, la stessa andava rivestita a sua volta della forma scritta ancorché ad probationem).

In realtà, per quanto è dato comprendere dall’esposizione del motivo di ricorso, si invoca unicamente un conteggio operato dall’ausiliario ponendo come base di calcolo l’importo del fatturato, anziché di quanto riportato nel listino, ma tale modalità di calcolo è stata reputata inattendibile dalla Corte d’Appello che ha rimarcato come ancor prima fosse necessario fornire la prova (ed in forma scritta ex art. 1742, co. 2, c.c.), che tra le parti fosse intervenuto un accordo modificativo delle originarie pattuizioni, con il quale fosse stata modificata anche la base di calcolo delle provvigioni.

Tale specifica affermazione del giudice di merito non risulta altrettanto specificamente contestata con il motivo di ricorso, che si risolve in una generica contestazione delle affermazioni circa il carattere di novità delle allegazioni difensive della ricorrente, mancando però la puntuale indicazione degli elementi dai quali ricavare la prova della intervenuta modificazione degli originari patti negoziali, e senza quindi indicare sulla base di quale documento abbia operato in tal senso il CTU.

9. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione ex art. 360 co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’infondatezza della risoluzione del contratto di agenzia.

Si deduce che la Corte d’Appello ha erroneamente disatteso il motivo di appello con il quale si contestava la legittimità del recesso per giusta causa della preponente, senza tenere conto delle difese della ricorrente, che aveva contestato l’affermazione della controparte in ordine alla pretesa illegittimità del trattenimento della somma incassata e di pertinenza della (…).

Il motivo è inammissibile, in primo luogo, nella parte in cui in contrasto con il dettato dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.; in secondo luogo in quanto assume ricorrere una violazione di legge sulla base di una contestazione dell’accertamento in fatto operato dal giudice di appello (ed in maniera conforme al Tribunale) circa la condotta consistita nell’illegittimo trattenimento della somma di pertinenza della controparte, in violazione delle regole dettate dalla lettera di incarico, sollecitando nella sostanza un diverso accertamento dei fatti, esito questo precluso in sede di legittimità.

10. Il ricorso è pertanto rigettato e le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

11. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

È nulla la clausola del contratto di agenzia con la quale il proponente si riservi la possibilità di trattare direttamente alcuni clienti non previamente individuati

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 7.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di Legge;

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, L. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio del 23 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2024.

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Le sentenze sono di pubblico dominio.

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