Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|30 maggio 2024| n. 15234.
Il regime tavolare e la natura costitutiva del trasferimento di diritti reali che non travolge l’applicazione dei principi generali in tema di giudicato
Per i beni soggetti a regime tavolare, secondo la disciplina prevista dal r.d. n. 499 del 1929, la natura costitutiva del trasferimento di diritti reali non travolge l’applicazione dei principi generali in tema di giudicato, racchiusi nell’art. 2909 c.c., e in ogni caso non prevale rispetto a diritti derivanti da pronunce del giudice di carattere costitutivo.
Ordinanza|30 maggio 2024| n. 15234. Il regime tavolare e la natura costitutiva del trasferimento di diritti reali che non travolge l’applicazione dei principi generali in tema di giudicato
Data udienza 27 marzo 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Trascrizione – Leggi speciali – Libri speciali (sistema tavolare) beni soggetti al sistema tavolare – Carattere costitutivo del trasferimento di diritti reali – Prevalenza sui diritti accertati in via definitiva con sentenza passata in giudicato – Esclusione.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere Rel.
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19547/2022 R.G. proposto da:
De.Gi., rappresentato e difeso dall’avvocato DA.SE. (Omissis) unitamente agli avvocati GA.ER. (Omissis), DA.RO. (Omissis), con domicilio fiscale come in atti
-ricorrente –
contro
Ga.Ma., rappresentato e difeso dall’avvocato MA.AN. (Omissis), con domicilio fiscale come in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di TRENTO n. 100/2022 depositata il 17/06/2022.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 27/03/2024,
dal Consigliere relatore Cristiano Valle.
Il regime tavolare e la natura costitutiva del trasferimento di diritti reali che non travolge l’applicazione dei principi generali in tema di giudicato
Rilevato che
Ga.Ma., con ricorso ai sensi dell’art. 612 cod. proc. civ., pose in esecuzione la sentenza n. 93 del 2012 della Corte d’appello di Trento, divenuta definitiva a seguito di sentenza n. 6854 del 13/03/2017, di rigetto del ricorso della El.Gi. da parte di questa Corte, recante ordine, nel dispositivo, di arretramento dei manufatti – una scala e un terrapieno – realizzati a distanza inferiore di tre metri dalla proprietaria del fondo, El.Gi., che aveva successivamente donato il bene, dopo il passaggio in giudicato della detta sentenza d’appello, all’avvocato De.Gi., che l’aveva difeso nella causa conclusa con la sentenza di condanna all’arretramento dei manufatti;
l’avvocato De.Gi. propose, dinanzi al Tribunale di Trento, opposizione all’esecuzione, e segnatamente all’atto di precetto notificatogli il 24/10/2019, e agli atti esecutivi, dinanzi al Tribunale di Trento;
il Tribunale, ritenuta la causa di carattere documentale, dichiarava nulla l’opposizione all’esecuzione proposta ai sensi del primo comma dell’art. 615 cod. proc. civ. in quanto, così la Corte d’Appello: “l’opposizione doveva ritenersi inammissibile in quanto proposta oltre il termine finale previsto dall’art. 615 c.p.c. essendo stato notificato l’atto di citazione in opposizione in data 2 dicembre 2019 quando invece il ricorso ex art. 612 c.p.c. era stato depositato il 27 novembre 2019”, accertando, conseguentemente, il diritto di Ga.Ma. ad agire in via esecutiva in forza del precetto notificato e disponeva lo svincolo della cauzione prestata dal De.Gi. con fideiussione bancaria condannando lo stesso al pagamento delle spese di lite;
il primo giudice riteneva che l’opposizione era stata proposta quando era già pendente il giudizio di esecuzione con la conseguenza che la stessa, siccome strutturata quale opposizione a precetto, doveva essere dichiarata nulla;
avverso la detta sentenza propose impugnazione De.Gi.;
la Corte territoriale, nel ricostituito contraddittorio delle parti, ha, con sentenza n. 100 del 17/6/2022, rigettato l’impugnazione;
avverso la sentenza della Corte distrettuale propone ricorso per cassazione De.Gi., con atto affidato a tre motivi; risponde con controricorso Ga.Ma.; il Procuratore generale non ha formulato conclusioni; il ricorrente ha depositato memoria per l’adunanza camerale del 27/03/2024, alla quale la causa è stata trattenuta per la decisione;
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Considerato che:
il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ, pone censura di violazione e (o) falsa applicazione “degli artt. 615, 617 612, 113, 115, 116 cod. proc. civ., artt. 24 e 111 della Costituzione, errata interpretazione e comunque applicazione delle norme di diritto in tema di prove, e comunque errata valutazione ed applicazione delle norme di diritto in tema di opposizione all’esecuzione”, per avere la Corte d’appello dichiarato nulla l’opposizione all’esecuzione, in quanto iniziata dopo che quella aveva già avuto inizio;
il motivo è inammissibile per mancata nuova sottoposizione della questione, di cui alla citazione in opposizione al precetto, al competente giudice dell’esecuzione una volta questa iniziata, come specificamente affermato dalla Corte territoriale alle pagg. 6 e 7 della propria motivazione: con ratio decidendi che resta non incisa dalle censure; tanto esime dal rilievo che, in ogni caso, il ricorrente per cassazione non ha specificato se, dove e quando la detta questione fosse stata nuovamente posta al giudice dell’esecuzione: eppure, l’opposizione a precetto, come correttamente ritenuto dai giudice del merito, non può più essere utilmente proposta una volta che l’esecuzione, come nella specie accaduto, è iniziata – e trattandosi di esecuzione di obblighi di fare o non fare l’inizio di essa coincide con la presentazione del ricorso di cui all’art. 612 cod. proc. civ.: Cass. n. 932 del 21/04/1964 Rv. 301319-01 – , atteso che, nella specie, da Ga.Ma. era stato proposto, sin dal 27/11/2019, il ricorso di cui all’art. 612 cod. proc. civ. affinché il giudice dell’esecuzione dettasse le modalità esecutive della sentenza n. 93 del 2012 della Corte d’Appello di Trento e l’opposizione a precetto del De.Gi. era stata notificata soltanto il 2/12/2019;
il secondo motivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. pone censura di “violazione in ogni caso falsa applicazione degli artt. 2902 e 2909 c.c., 2931 cod. civ. e 612 e 613 cod. proc. civ. (con conseguente divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta dall’intimato), errata valutazione ed interpretazione delle risultanze documentali, delle norme di diritto in materia di opposizione all’esecuzione, di diritto tavolare, di trascrizione”: e verte sul richiamo nell’atto di precetto dell’art. 2902 cod. civ., da parte del Ga.Ma.;
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il motivo è infondato: la Corte d’appello ha specificamente motivato sul punto, affermando che il richiamo dell’art. 2902 nell’atto di precetto concretava un mero errore materiale e che nella specie la norma richiamata nell’atto di precetto – che, sia detto per inciso, è un atto stragiudiziale e comunque non propriamente processuale – doveva essere intesa come art. 2909 cod. civ., in tema di estensione del giudicato agli aventi causa delle parti originarie del giudizio, poiché l’art. 2902 cod. civ. attiene a tutt’altra materia, e segnatamente a quella della responsabilità patrimoniale e dei rimedi nel caso di sottrazione dei propri beni parte del debitore;
la Corte d’appello ha, invero, così, testualmente motivato: “il Tribunale, con motivazione che viene condivisa dalla Corte, ha chiarito che il Ga.Ma. intendeva chiaramente portare in esecuzione il titolo passato in giudicato sul presupposto che lo stesso fosse opponibile anche al proprietario del bene al momento della notifica dell’atto di precetto, conseguenza questa disposta dall’art. 2909 c.c. (l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa) e non dal 2902 c.c. (Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato. Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto) che disciplina una fattispecie del tutto diversa da quella richiamata in precetto. Nella buona sostanza si è trattato di un semplice errore che non può in alcun modo influire sulla validità dell’atto di precetto.”;
il secondo motivo deve, in conclusione, essere disatteso;
il terzo motivo è sull’inopponibilità del giudicato nel caso in cui il bene (immobile) sia soggetto a intavolazione ed è così proposto: “violazione in ogni caso falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116 cod. proc. civ., 2909 c.c., 475 e 477 cod. proc. civ., comunque errata valutazione ed interpretazione delle prove/risultanze istruttorie, errata valutazione ed interpretazione delle risultanze documentali, errata interpretazione comunque applicazione delle norme di diritto in tema di prove, comunque errata valutazione ed applicazione delle norme di diritto in materia
di opposizione all’esecuzione, di diritto tavolare artt. 5 e 20 del r.d. n. 499 del 29/03/1929”;
il motivo assume, in breve, che l’intavolazione esonera dal rispetto del giudicato, nel senso che l’eventuale sentenza passata in giudicato sostanziale, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ. formatosi tra le parti originarie non è opponibile e, comunque, non fa stato nei confronti dell’acquirente del bene a titolo particolare per atto tra vivi, come nella specie;
il terzo motivo è privo di un apparato argomentativo adeguato a questa fase del giudizio, atteso che si limita a ripercorrere le critiche già disattese, con ampia motivazione, corredata di richiami della giurisprudenza di legittimità, dalla Corte territoriale e non ha, come invece prospettato dal De.Gi., un preciso addentellato normativo nel combinato disposto degli artt. 5 e 20 del r.d. n. 499 del 1929 vertenti in tema di acquisto dell’immobile per usucapione e insussistenza del diritto a succedere;
il detto motivo è, inoltre, infondato: il fatto che il bene immobile sia soggetto a intavolazione secondo la disciplina di cui al r.d. n. 499 del 1929 “Disposizioni relative ai libri fondiari dei territori delle Nuove Provincie” non preclude l’applicazione dei principi generali in tema di giudicato, racchiusi nell’art. 2909 cod. civ. e, peraltro, come esattamente affermato dalla Corte d’appello, pacificamente l’avvocato De.Gi. era a conoscenza della controversia conclusasi con la sentenza n. 93 del 2012 della stessa Corte territoriale, che ingiungeva l’arretramento e la demolizione dei manufatti, in quanto in detto giudizio aveva difeso El.Gi., la precedente proprietaria, e, quindi, non poteva essere ritenuto in buona fede o versante in incolpevole stato di ignoranza come affermato in precedenza da questa Corte (si veda, sul punto Cass. n. 3605 del 25/05/1983 Rv. 428492 – 01), secondo la quale “la tutela derivante dal principio della pubblica fede, cui è informato il sistema tavolare, non può estendersi a chi ha intavolato il suo acquisto versando in mala fede, nel senso che conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’esistenza di altro diritto reale prima acquistato da altri, poiché in tal caso la conoscenza che si ha o si dovrebbe avere della situazione reale esclude che si sia acquistato “sulla fede del libro fondiario””;
in ordine all’inesistenza di un principio di prevalenza dell’intavolazione sui diritti accertati in via definitiva con sentenza passato giudicato può utilmente compulsarsi la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 6594 del 30/07/1987 Rv. 454826 – 01), laddove afferma che “l’intavolazione ha carattere costitutivo del trasferimento di diritti reali, ma non può valere ad assegnare o mantenere diritti diversi o più ampi rispetto a quanto consentito dall’obiettiva consistenza dell’immobile” e in ogni caso non prevale rispetto a diritti derivanti da pronunce del giudice di carattere costitutivo (Cass. n. 1019 del 10/04/1974 Rv. 368961 – 01);
nei confronti del De.Gi., peraltro, e diversamente da quanto da questi prospettato, non si applicava l’art. 111 cod. proc. civ., in quanto la detta sentenza era già passata in giudicato sostanziale prima che il bene immobile fosse a lui trasferito dalla El.Gi. e non risultando che egli fosse intervenuto, quale parte sostanziale, nel giudizio che aveva condotto alla sentenza n. 93 del 2012 della Corte d’appello di Trento;
quanto ora affermato vale a disattendere, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte, anche la prospettazione censoria del De.Gi. relativa all’art. 477 cod. proc. civ. (quale espressione di un orientamento stabile in tema di giudicato si veda: Cass. n. 3643 del 14/02/2013 Rv. 625219 – 01), atteso che “sentenza di condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi (nella specie, per l’accertata violazione del limite legale della proprietà stabilito dall’art. 913 cod. civ.), pronunciata nei confronti del dante causa, ha efficacia di titolo esecutivo altresì nei confronti dell’avente causa, che abbia acquistato dopo la formazione del giudicato, per atto tra vivi a titolo particolare, il fondo assoggettato all’esecuzione delle opere eliminative. Ove, tuttavia, il trasferimento del bene sia avvenuto prima dell’inizio del processo di esecuzione forzata di obblighi di fare, la legittimazione passiva all’azione esecutiva spetta esclusivamente a chi, tra l’alienante condannato e l’acquirente del diritto, abbia la materiale disponibilità della cosa, e possa, perciò, realizzare il risultato dovuto in base al titolo”;
la giurisprudenza richiamata dal ricorrente (Cass. n. 30929 del 29/11/2018 Rv. 651537 – 01) ha riferimento a ipotesi diversa, e in essa si afferma, pur non costituendo l’oggetto principale del decidere, una sostanziale legittimazione concorrente a essere soggetti dell’azione esecutiva tra dante causa e acquirente del bene immobile, fermo restando che la giurisprudenza richiamata in detta sentenza faceva riferimento a una fattispecie nella quale l’azione esecutiva era stata portata direttamente nei confronti della parte che era originariamente in giudizio, e non, come nella presente lite, nei confronti dell’acquirente del bene al quale è opponibile il giudicato;
il ricorso è, in conclusione, infondato e deve, pertanto, essere rigettato;
sulle spese di lite: occorre rilevare che il controricorso del Ga.Ma. è stato notificato il 10/10/2022, a fronte di un ricorso notificato il 10/08/2022; e, pertanto, in violazione del termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ., da computarsi a decorrere dai venti giorni successivi al termine per il deposito di ricorso, che cadeva il 30/08/2022, senza alcuna sospensione dei termini, trattandosi di controversia esclusa da essa, in quanto di opposizione esecutiva (Cass. n. 10212 del 11/04/2019 Rv. 653634 – 01): l’art. 3 della L.
n. 742 del 1969, che esclude dalla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale le cause previste dall’art. 92 del r.d. n. 12 del 1941 e nel cui novero rientrano le opposizioni all’esecuzione (anche nel caso in cui con esse si faccia questione sulla validità degli atti di acquisto dei diritti reali quale fondamento delle contestazioni: Cass. ord. n. 11111 del 10/06/2020 Rv. 658080 – 01), è applicabile anche al ricorso per cassazione, attenendo detto articolo alla natura della controversia e ad ogni sua fase processuale, con la conseguenza che l’eventuale tardività ed inammissibilità del ricorso che abbia disatteso la norma va rilevata d’ufficio;
Il regime tavolare e la natura costitutiva del trasferimento di diritti reali che non travolge l’applicazione dei principi generali in tema di giudicato
a tanto consegue che, nonostante il rigetto del ricorso, le spese di lite non possono essere riconosciute in favore del controricorrente, da ritenersi, per quanto rilevato, non ritualmente costituito;
la decisione di rigetto del ricorso comporta che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto;
il deposito della motivazione è fissato nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ.;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza civile, il giorno 27 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
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