Gli amministratori di società di capitali che non abbiano operato non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|29 maggio 2024| n. 15054.

Gli amministratori di società di capitali che non abbiano operato non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza

Gli amministratori di società di capitali (i quali non abbiano operato) non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza, tale da tramutarsi nei fatti in una responsabilità oggettiva ma rispondono delle conseguenze dannose della condotta di altri amministratori, che hanno operato, soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. Ne deriva che gli amministratori non operativi rispondono per non aver impedito fatti pregiudizievoli dei quali abbiano acquisito in positivo conoscenza ovvero dei quali debbano acquisire conoscenza, di propria iniziativa, ai sensi dell’obbligo posto dall’ultimo comma dell’articolo 2381 del Codice civile.

Ordinanza|29 maggio 2024| n. 15054. Gli amministratori di società di capitali che non abbiano operato non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza

Data udienza 12 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Società di capitali – Azione di responsabilità contro gli amministratori – Omesso controllo sulla congruità del valore stimato al momento dello scioglimento – Determinazione del danno in base alla differenza tra il patrimonio netto negativo e quello risultante dalla situazione della società al momento della richiesta di fallimento – Inammissibilità del ricorso

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. VELLA Paola -Consigliere

Dott. CROLLA Cosmo -rel. Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al nr.25101/2020 proposto da

Gi.Vi. e Ko.Ja., domiciliati Bologna via Farini 3 presso lo Studio dell’avv. An.Ri. che li rappresenta e difende giusta procura in atti

– ricorrenti –

contro

Fa.Fr. Srl in liquidazione, elettivamente domiciliato Milano Via (…), presso lo studio dell’avv. Ra.Ma. che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

-controricorrente-

nonché contro

Fr.Zi., Gi.Fr., El.An., Pi.Br., Gi.Fr., De.Pa., Gi.Br.,St.Me. e Ma.Di.;

intimati

avverso la sentenza nr.1470/2010 della Corte d’Appello di Milano depositata in data 16/6/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/3/2024 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO CROLLA.

Gli amministratori di società di capitali che non abbiano operato non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza

FATTI DI CAUSA

1 Il Fa.Fr. Srl in liquidazione convenne in giudizio gli ex amministratori della società, tra i quali gli odierni ricorrenti e i sindaci, nonché l’esperto estimatore ex art. 2645 c.c., per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti dalla fallita e dalla massa dei creditori in conseguenza dell’errata stima dell’azienda conferita in sede di costituzione della Friggi Srl e dell’illegittima prosecuzione dell’attività di impresa nonostante la sopravvenuta perdita del patrimonio e il sopravvenuto stato di insolvenza.

2 Il Tribunale di Pavia respinse la domanda; i giudici di primo grado, recependo integralmente gli accertamenti e le conclusioni del nominato CTU, affermarono che la stima di valore del conferimento dell’azienda non solo era corretta ma era sottostimata di Euro 400.000; soggiunsero che il ramo di azienda era stato in grado di generare reddito e che i segnali dello stato di insolvenza si avvertirono solo nel 2009 a distanza di circa tre anni dalla costituzione della società, per effetto della drastica contrazione del fatturato.

3 Sul gravame del Fallimento, la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 16/6/2020, per quanto qui di interesse, accertato il diritto del Fa.Fr. Srl al risarcimento complessivo pari ad Euro 952.220, ha, in riforma dell’impugnata sentenza, condannato Gi.Vi. e Ko.Ja., ritenendoli responsabili nella misura del 70%, al pagamento, in solido tra loro, in favore del Fallimento, della somma di Euro 666.550, oltre rivalutazione monetaria dalla data del fallimento ed interessi legali sulla somma progressivamente rivalutata, sempre dal fallimento.

3.1 La Corte distrettuale ha preliminarmente disatteso le eccezioni, sollevate dagli appellanti odierni ricorrenti, di inammissibilità dell’azione promossa dal Fallimento ex art. 146 L. fall., in relazione alla natura di società a responsabilità limitata appartenente alla fallita, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna limitazione derivante dal diverso tipo di società di capitali e di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni. Al riguardo la Corte precisava che, con riferimento all’azione di responsabilità sociale, in applicazione della causa sospensiva dell’art. 2941 nr. 7 c.c., il termine prescrizionale iniziava a decorrere dalla messa in liquidazione della società nel 2010 ed era stato interrotto, entro il termine quinquennale, dalla notifica dell’atto di citazione avvenuta nel maggio 2010; mentre, relativamente all’azione dei creditori sociali, i giudici di secondo grado affermavano che i convenuti eccipienti non avevano né allegato né provato la oggettiva percepibilità dello stato di insolvenza in un momento anteriore e diverso rispetto alla sentenza di fallimento.

3.2 Nel merito la Corte distrettuale, sulla scorta delle risultanze della CTU disposta nel giudizio di appello, ha compiuto i seguenti accertamenti: i) il valore del ramo di azienda conferito dall’unico socio, Friggi MF Srl, in occasione della costituzione, in data 25/9/2005, della Friggi Srl, stimato dalla relazione ex art.2645 c.c. in Euro 2.444.312,09 (di cui Euro 2.000.000 portati a capitale ed Euro 444.312 a riserva sovrapprezzo quote), era in realtà di Euro 1.100.000, per effetto delle rettifiche in negativo operate dall’ausiliario del giudice sulle valutazioni del compendio immobiliare e degli impianti, macchinari e attrezzature; ii) alla chiusura dell’esercizio 31.12.2006, il valore dell’avviamento, inizialmente iscritto a bilancio, come attribuitogli dall’esperto, in Euro 1.329.115 (e rideterminato dal CTU in Euro 1.588.000) era andato interamente perduto in quanto, non solo non si erano realizzati gli obiettivi prospettici di utili contenuti nel business plan, che a giudizio del CTU poggiavano su dati e previsioni non realistiche, ma si erano manifestati i sintomi tipici dello stato di insolvenza incompatibili con la sussistenza di un qualunque valore positivo dell’avviamento; iii) il bilancio chiuso al 31/12/2006, per come rettificato per effetto della perdita del valore di avviamento e dell’accertata minusvalenza del patrimonio mobiliare ed immobiliare, presentava un patrimonio netto negativo di Euro 609.677, con conseguente totale dissoluzione del capitale sociale ed obbligo per gli amministratori e i sindaci di rilevazione della causa di scioglimento della società e di attivazione dei rimedi (riduzione del capitale e ricapitalizzazione o messa in liquidazione) previsti dalla legge; iv) Friggi Srl aveva continuato a svolgere attività produttiva, compiendo nuove operazioni con assunzioni di obbligazioni sino al momento in cui è stata posta in liquidazione, nel 2010, aggravando lo stato di insolvenza.

3.3 La Corte, quindi, acclarata la responsabilità di amministratori e sindaci per aver compiuto atti contrari alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale ai sensi dell’art. 2486 c.c., ha determinato in Euro 1.036.116 il danno subito dalla massa dei creditori, calcolandolo nella differenza tra il patrimonio netto risultante alla data della dichiarazione di fallimento (Euro 5.088.000) e quello presente al 31/12/2006 (Euro 4.051.884). Da tale importo è stata dedotta la quota (pari ad Euro 83.900) interna del debito afferente al sindaco Pi.Br., che nel corso del giudizio di secondo grado aveva concluso una transazione con il fallimento, con rinuncia di questi alla domanda; infine agli amministratori – tra i quali i ricorrenti- privi di deleghe esecutive, per attività di gestione compiute dagli amministratori esecutivi, pur ritenuti responsabili a risarcire il danno per violazione degli obblighi di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., veniva decurtato, in considerazione della minor colpa, una percentuale del 30% del danno complessivamente determinato.

3. Gi.Vi. e Ko.Ja. hanno proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi; il Fallimento ha svolto difese con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art 380 bis.1 c.p.c.

Gli amministratori di società di capitali che non abbiano operato non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 Il primo motivo è rubricato “violazione degli artt. 146 L. fall. 2394, 2476, 2485, 2941 nr. 7, 2949 c.c., in relazione all’art. 360 nr. 3 c.p.c., violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 nr 4 c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art.360 nr. 5 c.p.c.”;

1 ricorrenti sostengono che, con riferimento all’azione di responsabilità attribuibile ai creditori sociali, l’azione era prescritta in quanto vi erano manifesti segnali di insolvenza, accertati dalla stessa Corte sulla scorta della CTU, sin dal 2006, e percepibili dall’uomo medio sulla base del fatto notorio costituito dalla crisi del settore immobiliare.

2 Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.

2.1 In primo luogo, esso veicola in modo confuso e promiscuo vizi eterogenei, in relazione all’art. 360, comma 1, nn.3, 4 e 5 c.p.c. (errores in iudicando, errores in procedendo e vizi motivazionali) in contrasto col principio di tassatività dei mezzi di ricorso per cassazione e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. 26790/2018, 11222/2018, 2954/2018, 27458/2017, 16657/2017, 19133/2016).

2.2 In secondo luogo, nel suo complesso, manifesta una evidente carenza di interesse ad impugnare, posto che la Corte d’Appello, dopo aver premesso che l’esercizio da parte del curatore fallimentare dell’azione prevista dall’art 146 L. fall. implica il cumulo dell’azione di responsabilità sociale e dell’azione dei creditori, ha affermato che l’azione sociale non si è prescritta in quanto il termine e rimasto sospeso per tutto il periodo in cui gli amministratori sono stati in carica e, quindi, sino al 2010.

2.3 Tale capo della decisione di rigetto dell’eccezione di

prescrizione non è stato attinto da idonea censura.

2.3 Infine, con riferimento all’azione di responsabilità attribuita ai creditori, la sentenza afferma che “nessuno degli appellanti ha fornito adeguata prova delle percepibilità oggettiva, in data anteriore alla dichiarazione di fallimento da parte dei creditori dell’insufficienza dell’attivo della società a pagare i debiti “.

2.4 La doglianza è sul punto aspecifica in quanto i ricorrenti non indicano in quale sede è stato introdotto il rilievo di cui al motivo, né trascrivono per estratto le difese svolte nei precedenti gradi di giudizio.

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3 Il secondo motivo denuncia “violazione degli artt. 146 L. fall., 1123, 1226, 2056, 2381, 2392 ,2394, 2476 , 2486, 2343, 2465, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Violazione degli artt. 112,115 e 116, in relazione all’art. 360 nr 4 c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art 360 n.5 c.p.c.”; al netto delle digressioni sulla disciplina della valutazione della quota conferita in natura e sui criteri di risarcimento del danno, le argomentazioni spese dai ricorrenti, che in più frangenti si confrontano non con il decisum ma con le difese della curatela, escludono ogni loro coinvolgimento nella valutazione del ramo di azienda effettuata prima che gli stessi ricoprissero l’incarico di amministratori; i ricorrenti rimarcano, altresì, che, essendo amministratori “non esecutivi” in quanto privi di specifiche deleghe da parte degli consiglieri (Giovanni e Gi.Fr.) che detenevano i poteri gestionali ed operativi, non poteva essere loro ascritto alcun profilo di colpa per la prosecuzione dell’attività sociale dopo il 31/12/2006, nonostante fosse stato perduto interamente il capitale sociale; contestano, infine, il criterio di liquidazione del danno seguito dalla Corte, affermando che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, il pregiudizio economico va accertato in concreto e in relazione ad ogni singola nuova operazione, senza che sia possibile l’utilizzazione di meccanismi presuntivi delle perdite realizzatesi.

3.1 Anche il secondo motivo è inammissibile, in primo luogo, per violazione del divieto di cumulo di mezzi di impugnazione eterogenei.

3.2 Con riferimento al giudizio di responsabilità come espresso dalla Corte circa i consiglieri De. e Ko.Ja. nel passaggio motivazionale esplicitato a pagg.71-73 della sentenza viene evidenziato che gli amministratori della società a responsabilità limitata, il cui capitale è stato costituito mediante conferimento in natura, anche se non erano tenuti a verificare la congruità del valore del conferimento al momento della costituzione, una volta che fosse stata rispettata la procedura prevista dall’art. 2465 c.c., avevano certamente l’obbligo di verificare nel corso del tempo che il capitale sociale, sul quale i terzi fanno affidamento, fosse mantenuto integro nel suo valore ed eventualmente di compiere le attività di ricapitalizzazione sino al minimo legale previste dall’art. 2482 ter c.c. Dunque, agli amministratori di Friggi Srl non viene imputato di non aver verificato la congruità del valore del conferimento d’azienda effettuato dall’unico socio Friggi NF Srl al momento della costituzione della società poi fallita, ma viene addebitato l’omesso controllo sulla congruità del valore stimato dall’esperto alla luce dei risultati del bilancio al 31/12/2006 “chiuso con una perdita di Euro 323.100, dopo che anche nel 2005 l’esercizio si era chiuso con una perdita di Euro 134.200, in contrasto con il business plan sulla base del quale l’esperto aveva effettuato la stima del valore del conferimento, che prevedeva invece per il 2005 un utile di Euro 319.000 e per il 2006 un utile per Euro 437.500 gli amministratori, a fronte di risultati cosi macroscopicamente lontani da quelli previsti e sulla cui entità era stato stimato il valore del conferimento, avrebbero certamente dovuto verificare l’effettiva congruità del valore stimato dall’esperto” (pagina 71 della sentenza).

3.3 Verificatasi la causa di scioglimento alla data 31/12/2006, la Corte ha evidenziato che anche gli amministratori privi di deleghe esecutive hanno l’obbligo di monitorare la situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società; l’art. 2485 2° comma c.c. fa carico a ciascun amministratore, anche ” non operativo”, in caso di omissione o ritardo nella dichiarazione di accertamento della causa di scioglimento da parte degli amministratori, di proporre istanza al Tribunale, affinché accerti con decreto il verificarsi della causa di scioglimento.

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Del resto, sempre secondo l’articolato percorso motivazionale seguito dalla sentenza “gli amministratori senza deleghe sono pacificamente obbligati ad agire informati, quindi nella fattispecie … erano comunque tenuti ad acquisire, operando con la normale diligenza richiesta per lo svolgimento della funzione, eventualmente dagli amministratori operativi o dal collegio sindacale qualunque informazione utile al fine di valutare se, anche dopo il 31/12/2006 la società conservava il capitale sociale, che costituisce la garanzia generica per i terzi, che entrano in contatto con quella, soprattutto con un bilancio che chiudeva per il secondo anno consecutivo con una perdita assai rilevante, quando invece i dati contenuti nel business plan prevedevano utili significativi”(pagine 72 e 73 della sentenza).

3.4 Le conclusioni del Collegio sono in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale gli amministratori di società di capitali (i quali non abbiano operato) non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza, tale da tramutarsi nei fatti in una responsabilità oggettiva ma rispondono delle conseguenze dannose della condotta di altri amministratori, che hanno operato, soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. Ne deriva che gli amministratori non operativi rispondono per non aver impedito fatti pregiudizievoli dei quali abbiano acquisito in positivo conoscenza ovvero dei quali debbano acquisire conoscenza, di propria iniziativa, ai sensi dell’obbligo posto dall’ultimo comma dell’articolo 2381 c.c. (cfr. Cass. 17441/2016)

3.5 Né la responsabilità di De. e (Omissis) può dirsi esclusa dall’intervento della sentenza del 6/5/2015 del GUP di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste emessa dal Tribunale penale di Pavia, menzionata nel ricorso, che a dire della difesa dei ricorrenti avrebbe riconosciuto con formula piena la loro completa estraneità ai fatti; in mancanza assoluta di indicazioni circa i fatti oggetto di imputazione di quel processo penale e la eventuale costituzione di parte civile della curatela per le condotte penalmente corrispondenti ai fatti di mala gestio contestate dalla curatela con la richiesta di risarcimento danni, è impedito a questo Collegio ogni accertamento in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’efficacia del giudicato penale nel presente giudizio civile secondo le regole dettate dagli artt. 75 e 652-654 c.p.p.

3.6 Con riferimento alla commisurazione del danno cagionato dagli amministratori, è noto che l’art. 2486, comma 1, c.c. dispone che, al verificarsi di una causa di scioglimento della società e fino alla sua messa in liquidazione, gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale; viene, inoltre, stabilito al secondo comma che essi sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti o omissioni in violazione di quel precetto.

3.7 Va ribadito che, nel caso di omessa adozione delle misure previste dall’art. 2447 o 2482-ter c.c., a fronte di una perdita rilevante ai sensi di tali disposizioni, il danno può derivare dal compimento, da parte degli amministratori, di atti di gestione incompatibili con i vincoli di cui all’art. 2486, comma 1, c.c., i quali, come appena ricordato, pongono la finalità di conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale; ne consegue che colui (società o terzi) che agisce in giudizio con azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell’art. 2486 c.c., ha l’onere di allegare e provare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società ed il successivo compimento di atti gestori da parte degli amministratori, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d’impresa e non abbiano una finalità liquidatoria; spetta, infatti, agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari per specifiche ragioni (Cass. 11041/2023 e 198/2022). 3.8 In ordine alla liquidazione del danno da responsabilità per mala gestio degli amministratori di società, prevista dagli artt. 2392 s. e 2476 c.c., dovendo trovare applicazione i principi generali contemplati dagli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. la giurisprudenza di questa Corte ha adottato il criterio dei cd. netti patrimoniali – inteso come confronto tra valori patrimoniali, dati dalla differenza tra il valore del patrimonio netto esistente al momento del verificarsi della causa di scioglimento e valore del patrimonio netto al momento della cessazione dalla carica o, se sussista sino a tale momento il nesso causale, sino all’apertura della procedura concorsuale

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3.9 Il ricorso a tale meccanismo è legittimo, in presenza di una gestione della società in spregio dell’obbligo di cui all’art. 2449 c.c. nel vecchio testo e dell’attuale art. 2486 c.c., potendo allora il giudice ricorrere in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili, o alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento o liquidazione giudiziale, al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali; la condizione è che tale ricorso sia congruente con le circostanze del caso concreto, e che quindi sia stato dall’attore allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state specificate le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta (così Cass. 9983/2017, 24431/2019, n. 24431, 12341/ 2020, n. 12341 e 20979/2023).

3.10 A tali principi l’impugnata sentenza si è pienamente uniformata; in particolare i giudici di secondo grado, acclarata la totale perdita di capitale sociale al 31/12/2006 e preso atto della omessa attività da parte amministratori, di riduzione e ricapitalizzazione imposte dall’art. 2484 comma 1 ter c.c. e del compimento di attività produttive, di nuove operazioni e di assunzione di obbligazioni sino alla dichiarazione di fallimento hanno proceduto, sulla sorta degli accertamenti del CTU, a determinare il danno in base alla differenza tra il patrimonio netto negativo al 31/12/2006 (Euro 4.051.884) e quello risultante dalla situazione della società al momento della richiesta di fallimento (Euro 5.088.000); sono stati tenuti in considerazione (e detratti dall’accertato danno) tutti i costi che si sarebbero presumibilmente comunque verificati, anche nel caso in cui la società fosse stata posta tempestivamente in liquidazione (così, a pag. 67 della sentenza).

Si tratta quindi di un evento dannoso causalmente imputabile

anche alle condotte di omessa vigilanza e omessa reazione da parte dei componenti non esecutivi del Consiglio di amministrazione.

3.11 I ricorrenti ancora una volta si limitano ad una generica censura del criterio di liquidazione seguito dalla Corte senza dedurre ed allegare elementi di fatto legittimanti l’uso di un diverso criterio liquidatorio più aderente alla realtà del caso concreto.

5 – Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.

6 – Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 17.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre, Iva, Cpa e rimborso forfettario nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, del 12 marzo 2024

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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