Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 maggio 2024| n. 14411.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento ed alla consistenza dell’attività, è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il “quantum debeatur”, senza incorrere nella violazione dell’articolo 112 del Cpc, essendo altresì specificato che la parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine di appartenenza del professionista, mentre ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell’ingiunzione, non ha – costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista – valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione, nel quale il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex articolo 2697 del Cc, ove vi sia contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettività ed alla consistenza delle prestazioni eseguite o all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste. Al fine, inoltre, di determinare il suddetto onere probatorio a carico del professionista e di investire il giudice del potere – dovere di verificare la fondatezza della contestazione mossa dall’opponente, non è necessario che quest’ultima abbia carattere specifico, essendo sufficiente anche una contestazione di carattere generico, ma sempre con la necessità di specificamente contestare, in presenza di una parcella, quali voci della stessa si assumano però non svolte

Ordinanza|23 maggio 2024| n. 14411. Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Data udienza 6 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: PROCEDIMENTI SPECIALI – Civili – Procedimento d’ingiunzione – Opposizione – Pagamento prestazioni professionali – Contestazione circa l’esecuzione della consistenza delle prestazioni eseguite – Prova. (Cc., articoli 1374, 2233 e 2697)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere Rel.

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30985/2021 R.G. proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso la sede dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ((…); che lo rappresenta e difende ex lege,

– ricorrente e controricorrente –

contro

TR.ST., elettivamente domiciliato in ROMA Via (…), presso lo studio dell’avvocato Ma.Tr. ((…)) che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato Mi.Vi.

((…); per procura in calce al ricorso,

– ricorrente incidentale autonomo –

nonché

sul controricorso con ricorso incidentale proposto da Fi. Spa, incorporante la Li. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, via (…), presso lo studio dell’avvocato Pa.Fr. ((…), che al rappresenta e difende per procura in calce al controricorso con ricorso incidentale,

– controricorrente e ricorrente incidentale tardiva –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n.5484/2020 depositata il 5.11.2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2023 dal Consigliere VINCENZO PICARO.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

FATTI DI CAUSA

L’avvocato Tr.St. con ricorso ex art. 28 L. 794/1942 chiedeva al Tribunale di Roma (proc. n.6004/2005 RG) l’accertamento della congruità e la conseguente liquidazione di 13 parcelle (n. 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99 e 100) per complessivi Euro 4.763,17, con applicazione dei minimi della tariffa del D.M. n. 585/1994 al netto delle detrazioni contrattuali, oltre accessori di legge ed interessi legali dal 60° giorno successivo alla ricezione delle singole note spese, e con riserva di richiedere in separata sede maggiori interessi e danni, esponendo che aveva ricevuto incarico dall’Ispettorato Generale per la liquidazione degli Enti Disciolti (IGED) del Ministero del Tesoro, al quale era poi subentrato il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per le attività di difesa svolte a favore dell’Ente Nazionale per la Cellulosa e la Carta (ENCC) e della controllata S. Spa, entrambe in liquidazione, tra le quali erano comprese le attività di patrocinio relative alle opposizioni allo stato passivo della S. Spa in liquidazione coatta amministrativa promosse da alcuni dipendenti per il riconoscimento di loro crediti di lavoro.

Esponeva l’avv. Tr.St. che con convenzione del 19.9.2000 le parti avevano stabilito un compenso in favore del ricorrente pari agli onorari massimi previsti dalla tariffa per le cause di particolare complessità, agli onorari medi per quelle importanti e complesse, ed agli onorari compresi tra il minimo ed il massimo per quelle di ordinaria complessità, salvo poi rinegoziarne la misura con la successiva convenzione del 18.3.2002, stabilendo l’applicazione degli onorari minimi, fatta eccezione per le liti conclusesi favorevolmente per l’ente, ma senza nulla prevedere per l’ipotesi, poi verificatasi il 30.5.2002, di revoca anticipata del mandato.

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Si costituiva nel procedimento n. 6004/2005 RG il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che a luglio 2005 aveva corrisposto all’avv. Tr.St. un acconto di Euro 4.028,68, e sosteneva che a gennaio 2006 era poi intervenuta tra il professionista e l’Avvocatura dello Stato una transazione, che aveva previsto il pagamento del minimo tariffario, per cui doveva ritenersi cessata la materia del contendere.

Con ordinanza del 15.5/4.7.2006 il Tribunale di Roma, poiché il procedimento ex artt. 28 e 29 L. 794/1942 trovava applicazione solo se la controversia aveva ad oggetto la determinazione della misura del compenso professionale, disponeva la prosecuzione del giudizio secondo il rito civile ordinario.

Medio tempore in altri giudizi tra le stesse parti (procedimenti ex art. 28 L.794/1952 n. 5935/2005, 5936/2005, 5937/2005 e 52005/2005 RG) relativi a diverse parcelle, ma alle medesime convenzioni ed alla stessa questione della revoca del mandato professionale, era intervenuta la sentenza del Tribunale di Roma n. 2465/2005, passata in giudicato, per altre parcelle emesse nell’ambito dello stesso rapporto. Tale sentenza aveva dichiarato l’inapplicabilità dei minimi tariffari secondo convenzione per i giudizi non conclusi a causa della revoca anticipata del mandato, ed aveva liquidato in base al D.M. n. 585/1994 Euro73.501,84 per i compensi spettanti al ricorrente, in applicazione degli onorari medi. Essa aveva da un lato riconosciuto l’esistenza di un valido contratto di patrocinio fra le parti e negato che fosse stata formalizzata dalle stesse una vera e propria transazione per le 159 parcelle emesse dall’avv. Tr.St. e per le 22 procedure di recupero giudiziale avviate, e dall’altro aveva ritenuto che la convenzione integrativa del 18.3.2002 (che prevedeva criteri di individuazione delle classi di valore della controversia e l’applicazione del minimo tariffario) non potesse trovare applicazione perché non contemplava l’ipotesi verificatasi della revoca anticipata del mandato, sicché per colmare tale lacuna della disciplina convenzionale si doveva applicare, ai compensi dell’avv. Tr.St. per gli incarichi revocatigli prima della pronuncia della sentenza relativa, la tariffa intermedia prevista dal D.M. n. 585/1994, non essendo stati prospettati dal MEF particolari motivi che giustificassero una liquidazione dei compensi in senso riduttivo, facendo riferimento al valore dei singoli contenziosi alla data della revoca del mandato del 30.5.2002.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

L’avv. Tr.St., pertanto, con atto di citazione notificato il 12.7.2006 conveniva in giudizio il Ministero dell’Economia e della Finanze, chiedendo per le 13 parcelle sopra indicate l’applicazione della tariffa intermedia prevista dal D.M. n. 585/1994, per un compenso complessivo di Euro 16.725,29, che dedotto l’acconto ricevuto, si riduceva ad Euro 12.679,11 oltre accessori, e domandando altresì gli interessi legali ed anatocistici dalla data di ricezione delle parcelle (8.3.2004) con applicazione degli interessi ex D.Lgs. n. 231/2002 per la mora del MEF (procedimento n. 51312/2006 RG del Tribunale di Roma), ed in subordine chiedeva la condanna del MEF al risarcimento dei danni morali e materiali da inadempimento, da liquidare in via equitativa con la liquidazione degli interessi moratori previsti dal D.Lgs. n. 231/2002.

Si costituiva nel procedimento n. 51312/2006 RG il MEF, che chiedeva di dichiarare nulla la citazione avversaria per mancata specificazione dei fatti costitutivi della pretesa, desumibili solo dagli atti depositati, o in subordine di sospendere ex art. 295 c.p.c. il giudizio in attesa della definizione del giudizio di appello pendente tra le stesse parti avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11489/2005 relativa ad altre parcelle, e di rigettare le domande dell’avv. Tr.St., facendo presente che le 13 parcelle rientravano tra quelle di importo inferiore ad Euro 5.000,00 per le quali era intervenuto l’accordo transattivo del luglio 2005, con pagamento dell’importo pattuito di Euro 4.763,17, che le domande proposte il 12.7.2006 dal professionista erano inammissibili in quanto contrastanti con quelle avanzate in relazione al minimo tariffario nel procedimento n. 6004/2005 RG, nel quale l’avv. Tr.St. non aveva espresso alcuna riserva per agire separatamente per maggiori compensi, e che non potevano essere liquidati interessi anatocistici, o ex D.Lgs. n. 231/2002.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Disposta la riunione del procedimento n. 51312/2006 RG a quello n.6004/2005 RG, e concessi i termini ex art. 183 c.p.c., con la sentenza n.263/2011 del 6/11.5.2011 il Tribunale di Roma, condannava il MEF al pagamento a favore dell’avv. Tr.St., per le parcelle indicate, del residuo compenso di Euro 1.119,42 oltre IVA e CPA, a condizione che fosse emessa regolare fattura, con interessi legali dall’8.3.2004 (data di ricezione delle parcelle) e con interessi anatocistici dal 20.6.2005, specificando gli importi riconosciuti per le singole parcelle, applicando la tariffa intermedia prevista dal D.M. n. 585/1994, in quanto il MEF non aveva prospettato particolari motivi che giustificassero una liquidazione dei compensi in senso riduttivo, e compensava le spese di lite.

Contro tale sentenza proponevano separati appelli l’avv. Tr.St., il MEF e la Li. Srl, subentrata con decreto dell’11.11.2009 della Ragioneria Generale dello Stato alla Fi. Spa quale liquidatore dell’ENCC, e la Corte d’Appello di Roma, riuniti i procedimenti n. 3826/2012, 3925/2012 e 3957/2012 RG, e ritenuta assorbita la questione della legittimazione all’impugnazione della Li. Srl, o del MEF, dalla decisione in base alla ragione più liquida, con la sentenza n. 5484/2020 del 26.5/5.11.2020 rigettava tutti gli appelli e compensava le spese processuali.

Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato all’avv. Tr.St. ed alla Li. Srl il 6.12.2021 il MEF, iscrivendo la causa a ruolo il 17/20.12.2021 ed affidandosi a tre motivi, ha proposto separato ricorso anche l’avv. Tr.St., notificato al MEF ed alla Li. Srl il 6.12.2021, iscrivendo la causa a ruolo in via telematica il 24/27.12.2021 ed affidandosi a sei motivi, e a quest’ultimo resiste il MEF con controricorso notificato il 17.1.2022, ed in pari data ha notificato controricorso con ricorso incidentale la Fi. Spa, affidandosi a tre motivi.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Il 7.4.2023 il Consigliere delegato Cr.Ma. depositava proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis c.p.c., ravvisando l’inammissibilità ex art. 360 bis n. 1) c.p.c. del primo motivo di ricorso del MEF per essersi la sentenza del Tribunale di Roma n.2465/2005 conformata alla giurisprudenza della Suprema Corte, come già ritenuto dalla sentenza n. 3896/2022 della Corte di Cassazione, e del secondo e terzo motivo dello stesso ricorso per avere la Suprema Corte già deciso le questioni con esse poste in senso contrario con la sentenza n. 3896/2022, e ravvisando l’inefficacia conseguenziale ex art. 334 c.p.c. del ricorso, qualificato come incidentale tardivo, dell’avv. Tr.St..

Avverso tale proposta, comunicata il 18.4.2023, si è opposto l’avv. Tr.St. con istanza di decisione del suo legale, munito di procura speciale, il 25.5.2023, con conseguente fissazione dell’udienza in camera di consiglio del 6.12.2023.

Hanno depositato memorie ex art. 380 bis. 1 c.p.c. l’avv. Tr.St. e la Li. Srl.

La causa è stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 6.12.2023.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre rilevare che sia l’avv. Tr.St. che il MEF hanno proceduto lo stesso giorno, ossia il 6.12.2021, a notificare ricorso alla Suprema Corte alle altre parti e ad iscrivere a ruolo tempestivamente le relative cause (per il MEF l’iscrizione cartacea é avvenuta il 17/20.12.2021 e per l’avv. Tr.St. rileva la data della richiesta digitale di iscrizione a ruolo del 24.12.2021 e non quella di effettiva iscrizione a ruolo della causa da parte della cancelleria della Corte, avvenuta il 27.12.2021, comunque 20° giorno successivo alla notifica tenendo conto che il 26.12.2021 era giorno festivo, non potendosi fare ricadere sulla parte la responsabilità per il ritardo nel perfezionamento dell’iscrizione da parte di terzi), per cui il MEF va considerato come ricorrente principale ed il Tr.St. come ricorrente incidentale autonomo (vedi in tal senso Cass. 23.11.2021 n. 36057; Cass. n. 5695/2015), e non come ricorrente incidentale tardivo, mentre la Fi. Spa (già Li. Srl), liquidatore ex lege della ENCC, non avendo rispettato il termine annuale d’impugnazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 5484/2020 del 5.11.2020 previsto dall’art. 327 c.p.c., che scadeva il 6.12.2021, pur avendo notificato il controricorso con ricorso incidentale entro 40 giorni dalle ricevute notifiche dei ricorsi delle altre parti (6.12.2021) ed esattattamente il 17.1.2022, e quindi tempestivamente posto che il 15.1.2022 era un sabato ed il 16.1.2022 una domenica, va considerato come ricorrente incidentale tardivo (vedi in tal senso ex multis Cass. 3.1.2023 n.36; Cass. 22.6.2021 n. 17707; Cass. 26.3.2015 n.6077; Cass. 26.1.2010 n. 1528; Cass. 20.2.2004, n. 3419).

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Partendo dall’esame del ricorso principale del MEF, anteriormente iscritto a ruolo, col primo motivo lo stesso lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 2909 cod. civ. e 324 c.p.c..

Si duole il MEF, come già prospettato col terzo motivo di appello, che la sentenza del Tribunale di primo grado, confermata in secondo grado, avrebbe ritenuto ricavabile dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 2465/2005 il giudicato in ordine alla nullità dell’art. 1/b e 1/c dell’integrazione della convenzione del 18.3.2002 (relativi ai criteri di individuazione delle classi di valore della controversia ed all’applicazione del minimo tariffario) per violazione di norme imperative sui minimi tariffari della convenzione in quanto quella questione costituiva punto fondamentale comune a tutte le controversie relative alle attività defensionali svolte dall’avv. Tr.St. su incarico dell’IGED, nonostante la diversità del petitum e della causa petendi esistente tra il giudizio di primo grado e quello conclusosi con la sentenza n. 2465/205 del Tribunale di Roma, passata in giudicato, riferentisi a distinte prestazioni professionali espletate in differenti cause.

Il primo motivo di ricorso del MEF è inammissibile, perché come già rilevato nell’ordinanza n. 14083/2019 della Corte di Cassazione, relativa ad altre attività difensive prestate sempre dall’avv. Tr.St. a favore dell’IGED sulla base delle stesse convenzioni e con la stessa problematica della revoca dell’incarico, la sentenza n. 2465/2005 del Tribunale di Roma non ha esplicitamente affermato la contrarietà dell’art. 1/b e 1/c dell’integrazione della convenzione del 18.3.2002 a norme imperative (tale da legittimare il meccanismo di sostituzione legale previsto dall’art. 1339 c.c.), rilevando piuttosto la sussistenza di una lacuna nel regolamento negoziale (per l’ipotesi verificatasi di revoca anticipata del mandato), che ha ritenuto superabile mediante l’integrazione degli accordi con le previsioni della tariffa, in applicazione degli artt. 1374 e 2233 cod. civ., senza alcuna statuizione vincolante sull’applicabilità dei valori tariffari medi, che semplicemente è derivata dal fatto che a fronte della richiesta in tal senso dell’avv. Tr.St., sia pure a seguito di modifica delle originarie richieste dei minimi tariffari, il MEF non ha mosso rilievi specifici che giustificassero per le singole cause e per le singole voci l’applicazione dei minimi tariffari, come detto non desumibile dalla disciplina convenzionale.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Col secondo motivo il MEF lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 (rectius 2697) cod. civ. e degli articoli 115, 167, 342 e 343 c.p.c..

Si duole il MEF che la Corte d’Appello di Roma abbia rigettato il suo quarto motivo di appello sul presupposto che non potessero essere accolte le censure quanto alla liquidazione degli onorari e delle spese in favore dell’avv. Tr.St., stante l’assenza di una specifica contestazione in primo grado delle singole prestazioni per le quali era stato richiesto il compenso, così come individuate nelle parcelle prodotte.

Si deduce, in senso contrario, che in materia di onorari professionali una contestazione, anche di carattere generico, impone al professionista di dover provare la fondatezza della propria pretesa.

Avendo il Ministero invocato la necessità di fare applicazione dei termini contrattuali previsti nella convenzione, già tale deduzione avrebbe imposto all’attore di documentare l’effettivo svolgimento di tutta l’attivita per la quale chiedeva i compensi, senza potersi pretendere che vi fosse anche una specifica contestazione delle singole voci della parcella.

Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1) c.p.c., in quanto non sono stati offerti elementi per modificare l’orientamento già espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 3896/2022 dell’8.2.2022.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Come già in quell’ordinanza affermato, deve escludersi che nella specie la sentenza gravata non abbia dato puntuale attuazione al principio di diritto espresso dalla sentenza n. 14699/2010 delle sezioni unite della Corte di Cassazione, secondo il quale la parcella dell’avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità, in quanto l’iscrizione all’albo del professionista è una garanzia della sua personalità e pertanto, le “poste” o “voci” in essa elencate, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non possono essere disconosciute dal giudice.

Va in primo luogo ricordato che, come di recente ribadito sempre da questa Corte (Cass. n. 712/2018), il giudice non è vincolato al parere di congruità del Consiglio dell’Ordine, dal quale può discostarsi indicando, sia pure sommariamente, le voci per le quali ritiene il compenso non dovuto oppure dovuto in misura ridotta, e ciò in quanto nel giudizio volto a procedere alla determinazione del compenso spettante al professionista (anche se scaturente da un’opposizione a decreto ingiuntivo) non è più sufficiente la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale (art. 636 c.p.c.) e spetta al professionista, nella sua qualità di attore, fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella (in termini Cass. n. 18777/2005).

Va poi richiamato anche il principio secondo cui nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento ed alla consistenza dell’attività (come, nella specie, di inesistenza del mandato), è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il “quantum debeatur”, senza incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 230/2016), essendo altresì specificato che la parcella corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine di appartenenza del professionista, mentre ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell’ingiunzione, non ha – costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista – valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione, nel quale il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettività ed alla consistenza delle prestazioni eseguite o all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste (Cass. n.10150/2003). Al fine, inoltre, di determinare il suddetto onere probatorio a carico del professionista e di investire il giudice del potere – dovere di verificare la fondatezza della contestazione mossa dall’opponente, non è necessario che quest’ultima abbia carattere specifico, essendo sufficiente anche una contestazione di carattere generico (così Cass. n. 14556/2004), ma sempre con la necessità di specificamente contestare, in presenza di una parcella, quali voci della stessa si assumano però non svolte.

Alla luce della stessa deduzione del ricorrente, l’originaria contestazione del MEF non investiva le singole voci delle parcelle, che come detto sono assistite da una presunzione di veridicità, quanto invece l’individuazione del corretto parametro di calcolo dei compensi, assumendosi da parte dell’amministrazione la necessità di calcolare i compensi in base ai minimi tariffari anche per quegli incarichi per i quali era intervenuta la revoca prima della definizione del giudizio sulla base della regolamentazione convenzionale.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Anzi è proprio il tenore delle difese svolte in appello dal Ministero, come riportate in ricorso, a confortare il convincimento che la contestazione non investisse le singole prestazioni rese da parte dell’avv. Tr.St., ma solo i criteri utilizzati per la determinazione del compenso, di modo che la contestazione solo in appello di profili diversi da quelli invece oggetto di quella originaria in primo grado, si palesa inammissibile, essendosi altresì sottolineato come anche in appello la doglianza fosse del tutto generica e non riferita alle singole prestazioni asseritamente rese dalla controparte.

Col terzo motivo il MEF lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., dell’art. 41 del D.L. 30.12.2008 n. 207, convertito con modificazioni dalla L. 27.2.2009 n. 14, nonché dell’art. 11 delle preleggi.

Deduce il Ministero che in appello, con la comparsa di risposta, si era richiesto di accertare che lo Stato, e per esso il MEF, fosse tenuto a rispondere verso l’attore nei limiti dell’attivo della liquidazione dell’ENCC. Si trattava di una mera deduzione difensiva volta a far valere la limitazione di responsabilità dello Stato derivante del D.L. n. 207 del 2008, art. 41 comma 16 octies, convertito con L. n. 14 del 2009, ma i giudici di appello hanno disatteso la stessa ritenendo che si trattasse di questione che non poteva essere sollevata per la prima volta in appello in difetto di allegazione nel giudizio di primo grado, e comunque di una deduzione meramente ipotetica in quanto nessun riferimento specifico era stato fatto all’entità dell’attivo patrimoniale ricavato dalla liquidazione, in tal modo non applicando correttamente l’art. 345 c.p.c..

Assume il ricorrente che tutti i rapporti intercorsi con l’avv. Tr.St., a far data dalla stessa convenzione del 2000, vedevano come controparte la liquidazione del soppresso ente e delle società controllate, per cui il Ministero poteva essere chiamato a rispondere dei debiti contratti nella liquidazione nei limiti previsti dalla legge, anche per effetto dei vari interventi normativi, che hanno per l’appunto previsto una limitazione di responsabilità.

Orbene, tenuto conto che la limitazione invocata è stata frutto di un intervento legislativo compiuto solo in data successiva all’introduzione del giudizio di primo grado, il MEF sostiene che non poteva pretendersi che l’allegazione avvenisse già dinanzi al Tribunale, dovendosi invece dare seguito alla sua richiesta, formulata in secondo grado, di applicare una disciplina direttamente posta dal legislatore.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1) c.p.c., in quanto non sono stati offerti elementi per modificare l’orientamento già espresso da questa Corte con l’ordinanza n. 3896/2022 dell’8.2.2022.

Occorre brevemente riepilogare le vicende relative alla soppressione e liquidazione dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta.

La L. 4 dicembre 1956, n. 1404, e successive modificazioni, dispose la soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale. In forza di tale legge all’ente in liquidazione si sostituì un apposito organo statale, il quale agiva come branca dell’amministrazione dello Stato con propria soggettività istituzionale e non come organo dell’ente soppresso (arg. da Cass. sez. lav, 23.6.1983, n. 4321; Cass. sez. Lav. 3.3.1984, n. 1511; Cass. sez. lav, 30.3.1984, n.2142).

Dell’ente in questione, posto in liquidazione con il D.L. n. 513 del 1994, conv. in L. n. 595 del 1994, ne è stata poi disposta la soppressione con il successivo D.L. n. 240 del 1995, conv. in L. n.337 del 1995.

Con il decreto del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica del 4 maggio 2000 (in Gazz. Uff., 15 maggio, n. 111), è stato avocato all’Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti il compito di procedere alle residue operazioni liquidatorie dell’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta (liquidazione unificata E.N.C.C. e società controllate), e tale Ispettorato ha appunto concluso con l’avv. Tr.St. le due convenzioni del 2000 e del 2002.

Con il D.L. n. 63 del 2002, art. 9, conv. in L. n. 112 del 2002, al comma 1 bis, lett. c) è stato previsto che: “ferma restando la titolarità, in capo al Ministero dell’economia e delle finanze, dei rapporti giuridici attivi e passivi, la gestione della liquidazione nonché del contenzioso può essere da questo affidata ad una società, direttamente o indirettamente controllata dallo Stato, scelta in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato. La società può avvalersi anche dell’assistenza, della rappresentanza e della difesa in giudizio dell’Avvocatura dello Stato alle stesse condizioni e con le stesse modalità con le quali se ne avvalgono, ai sensi della normativa vigente, le Amministrazioni dello Stato. è, altresì, facoltà della società di procedere alla revoca dei mandati già conferiti. La società esercita ogni potere finora attribuito all’Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Sulla base di criteri di efficacia ed economicità e al fine di eliminare il contenzioso pendente, evitando l’instaurazione di nuove cause, la società può compiere qualsiasi atto di diritto privato, ivi incluse transazioni relative a rapporti concernenti differenti procedure di liquidazione, cessioni di aziende, cessioni di crediti in blocco pro soluto e rinunce a domande giudiziali. Sulle transazioni la società può chiedere il parere all’Avvocatura dello Stato. La società può anche rinunciare a crediti al di fuori delle ipotesi previste della citata L. n. 1404 del 1956, art. 9, comma 3. In base ad una apposita convenzione, sono disciplinati i rapporti con il Ministero dell’economia e delle finanze e, in particolare, il compenso spettante alla società, i profili contabili del rapporto, nonché le modalità di rendicontazione e di controllo”.

Tale società con D.M. 27 settembre 2004, è stata individuata nella Fi. Spa (essendosi poi provveduto alla soppressione del citato Ispettorato Generale per la liquidazione degli enti disciolti, con la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 89).

Con D.M. Economia e delle Finanze 20 giugno 2007 (in Gazz. Uff., 21 luglio, n. 168), a far data dal 1 dicembre 2007 sono state avocate al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed affidate alla Fi. Spa, le residue operazioni liquidatorie dell’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta, aggiungendosi al comma 4 dell’articolo unico di tale decreto che lo Stato, ai sensi della L. 15 giugno 2002, n. 112, art. 9, comma 1-ter, rispondeva, comunque, delle passività nei limiti dell’attivo della liquidazione dell’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

È poi intervenuto, il D.L. n. 207 del 2008, art. 41, comma 16 octies convertito nella L. n. 14 del 2009, che con una specifica previsione dettata per la liquidazione dell’ENCC, ha previsto che “Allo scopo di accelerare e razionalizzare la prosecuzione delle liquidazioni dell’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta (E.N.C.C.), della LAM.FOR. Srl e del Consorzio del Canale Milano Cremona Po, la società Fi. o società da essa interamente controllata ne assume le funzioni di liquidatore. Per queste liquidazioni lo Stato, ai sensi del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, art. 9, comma 1-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 giugno 2002, n. 112, risponde delle passività nei limiti dell’attivo della singola liquidazione. Al termine delle operazioni di liquidazione, il saldo finale, se positivo, viene versato al bilancio dello Stato. Il Ministero dell’economia e delle finanze, con apposito decreto, determina il compenso spettante alla società liquidatrice, a valere sulle risorse della liquidazione”.

Infine, con D.M. 11 novembre 2009, la società cui sono state attribuite le funzioni di liquidatore è stata individuata nella Li. Srl.

Così riassunte le vicende di cui alla gestione liquidatoria del soppresso ENCC, assume il ricorrente che aveva chiesto al giudice di appello di darsi atto, in vista della condanna in favore dell’attore, della limitazione di responsabilità nei limiti dell’attivo della liquidazione, così come previsto dalla legge, ma che tale richiesta sia stata ritenuta inammissibile per essere stata dedotta per la prima volta in appello, in difetto di allegazione nel giudizio di primo grado.

Reputa il Collegio che dal punto di vista della corretta applicazione della legge processuale la doglianza sia effettivamente giustificata.

Infatti, come già ritenuto dalla sentenza n. 10531/2013 delle sezioni unite della Corte di Cassazione, in relazione alla limitazione di responsabilità derivante dall’accettazione con beneficio di inventario, anche siffatta richiesta di determinare il limite della responsabilità del debitore integra al più un’eccezione in senso lato, in quanto il legislatore non ne ha espressamente esclusa la rilevabilità d’ufficio e tale condizione non corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo, ma rileva quale fatto da solo sufficiente ad impedire la confusione del patrimonio dell’ente soppresso con quello dell’Amministrazione cui sia stato conferito il compito di procedere alla definizione dei rapporti pregressi, compito alla stessa già conferito ai sensi del D.L. n. 63 del 2002, art. 9.

Ne consegue che, ove tale limitazione di responsabilita discenda direttamente dalla legge, il beneficio è liberamente invocabile dalla parte anche in assenza di pregressa specifica allegazione, nel giudizio d’appello, ed è rilevabile d’ufficio dal Giudice.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Si palesa quindi erroneo il rilievo di inammissibilità quale questione nuova formulato al riguardo dalla Corte d’Appello di Roma, che però ha aggiunto fondatamente che non essendo stato specificato, né documentato dal MEF, l’ammontare dell’attivo della liquidazione, la doglianza in questione è rimasta puramente ipotetica, con statuizione non attinta dal ricorso.

Peraltro la pretesa di limitare la responsabilità del MEF per le obbligazioni oggetto di causa in misura corrispondente all’attivo della liquidazione è priva di fondamento nel merito.

Infatti, dal quadro legislativo esposto, è evidente che il MEF è rimasto nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi dell’ente disciolto, ha affidato la gestione della liquidazione ad una società controllata dallo Stato e risponde delle passività nei limiti dell’attivo della liquidazione, ove si tratti di debiti già contratti dal medesimo Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta.

Quanto alla responsabilità nei limiti dell’attivo, fondata sull’art. 41, comma 16 octies del D.L. n. 207 del 2008, convertito nella L.n.14 del 2009, e sull’art. 9, comma 1-ter del D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 giugno 2002, n.112, essa vale ai fini della successione dello Stato nelle posizioni debitorie già facenti capo al soppresso Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta, successione che la legge vuole limitata ai soli beni che residuino alla procedura di liquidazione, con la conseguenza che il MEF assume soltanto nei limiti dell’attivo la responsabilità patrimoniale per le obbligazioni contratte dall’ente estinto, già risultanti all’atto della liquidazione.

Il mutamento del soggetto passivo delle obbligazioni pregresse contratte dall’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta, disposto per legge, e la previsione che lo Stato ne risponda nei limiti dell’attivo della liquidazione, rimangono così comunque giustificati dal ragionevole rischio di insufficienza del patrimonio dell’ente disciolto a soddisfare i creditori, attraverso la realizzazione del principio di concorsualità. La descritta disciplina normativa non può, invece, interpretarsi nel senso che essa estenda, ai debiti già contratti direttamente da organi statali, una limitazione di responsabilità che renda incerta per i creditori la piena realizzazione dei loro diritti, avendo questi stipulato col Ministero nel convincimento di essere esclusi dalla procedura liquidatoria facente capo all’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta.

Non vi è perciò motivo per il MEF di invocare tale limite di responsabilità con riferimento a rapporti giuridici obbligatori che non facevano capo all’ente soppresso, quali quelli derivanti dalle convenzioni di patrocinio stipulate nel 2000 e nel 2002 tra l’avvocato Tr.St. e l’Ispettorato generale per gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti disciolti (ufficio quest’ultimo compreso dapprima nel Ministero del Tesoro e poi nel Ministero dell’economia e delle finanze, quale struttura della Ragioneria generale dello Stato, poi trasformato a seguito del D.L. n. 63 del 2002, e delle leggi, L. n. 311 del 2004, L. n. 266 del 2005 e L. n.296 del 2006, col subentro della società Fi. Spa, ed infine soppresso con la legge finanziaria per il 2007).

Al fine di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre aver riguardo al rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

Sussiste quindi, la legittimazione sostanziale e processuale del MEF per le posizioni debitorie, ed i correlati oneri economici, relativi a compensi per prestazioni professionali, facenti capo non all’ente soppresso ma direttamente alla gestione liquidatoria e contratti nell’ambito di attività espletata in qualità di organo dell’amministrazione statale, mediante struttura costituita dallo stesso Ministero, ma senza che sia dato invocare il limite di responsabilità corrispondente all’attivo della liquidazione.

Col primo motivo del ricorso incidentale autonomo l’avv. Tr.St., dopo avere affastellato confusamente nell’esposizione i fatti di questo giudizio con gli sviluppi di altri giudizi tra le stesse parti, richiamati per invocare in modo approssimativo ed incompleto presunti giudicati esterni, lamenta la carenza di legittimazione della Fi. Spa in forza del giudicato che sarebbe insorto con la pronuncia dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 14183/2019, che avrebbe riconosciuto la legittimazione esclusiva del MEF per la convenzione di patrocinio conclusa con l’avv. Gr. il 19.9.2000 e per la sua integrazione del 18.3.2002, richiamando gli articoli 2909 cod. civ. e gli articoli 324 e 329 c.p.c. e contemporaneamente gli articoli 75, 81, 115, 116, 183, 189, 268 e 359 c.p.c., senza spiegare il rilievo di tali richiami e senza individuare il vizio ex art. 360 c.p.c. lamentato.

Anche a volere ritenere che nella sostanza l’avv. Tr.St. abbia voluto invocare la violazione del giudicato esterno circa il difetto di legittimazione della Fi. Spa, tale motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza (vedi in tal senso Cass. 23.6.2017 n. 15737; Cass. 11.2.2015 n. 2617; Cass. 31.7.2012 n. 13658; Cass. 31.7.2012 n. 13658; Cass. 13.12.2006 n. 26627), in quanto non riproduce il testo dell’ordinanza n. 14183/2019 della Corte di Cassazione riportandone solo uno stralcio incompleto non riferibile all’invocato difetto di legittimazione con allegazione solo di una massima, che a sua volta non è affatto relativa al difetto di legittimazione passiva della Fi. Spa, e non indica quando e se tale ordinanza sia stata prodotta per far valere il giudicato esterno nel procedimento definito in secondo grado dalla sentenza della Corte d’Appello impugnata, risalente alla successiva data del 5.11.2020.

Col secondo e col terzo motivo l’avv. Tr.St. ripropone la medesima confusa doglianza di difetto di legittimazione della Fi. Spa, questa volta sulla base dell’ordinanza n. 3613/2020 della Corte d’Appello di Roma e delle sentenze della Corte d’Appello di Roma n. 7605/2017, n. 4288/2017, n.16084/2017, n.1837/2017 e n. 4407/2011, provvedimenti giudiziali asseritamente passati in giudicato di cui non viene riportato il testo in modo compiuto e di cui non viene allegata la produzione nel giudizio di secondo grado conclusosi con la successiva sentenza impugnata, sicché anche per essi si ha inammissibilità per difetto di autosufficienza, non potendosi pretendere dalla Suprema Corte che essa vada a verificare nella congerie di provvedimenti giudiziali prodotti se ed in quali limiti si siano formati giudicati esterni incidenti sulla ricostruzione di fatto fornita dai giudici di merito ad essi riservata.

Col quarto motivo l’avv. Tr.St., ancora una volta senza alcun richiamo al vizio dell’art. 360 c.p.c. invocato, lamenta la violazione degli articoli 112, 132 n. 4, 324, 327, 329 e 359 c.p.c. e 2909 cod. civ..

Il motivo è inammissibile, in quanto letteralmente incomprensibile, dato che con la consueta tecnica del richiamo incompleto a presunti giudicati esterni, lamenta che l’ordinanza n.14083/2019 della Corte di Cassazione non sia stata acquisita in secondo grado perché tardivamente prodotta, senza spiegare come e quando la produzione sarebbe stata tentata e per quale ragione sarebbe stata negata, e senza illustrare le ragioni giuridiche a dimostrazione dell’infondatezza della ritenuta tardività della produzione, ed infine lamenta che la sentenza di primo grado, poi confermata in appello, abbia ritenuto gratuite alcune attività difensive svolte dall’avv. Tr.St. sulla base dell’art. 1/a dell’integrazione della convenzione del 18.3.2002, riducendo il compenso richiesto di Euro 11.577,69 in violazione degli articoli 112, 324, 327 e 329 c.p.c., 2909, 1374 e 2237 cod. civ. e dell’art. 4 comma 1° del D.M. n. 585/1994 e dell’art. 24 della L. n. 794/1942, anziché applicare ad esse il D.M. n. 585/1994, il tutto senza neppure individuare puntualmente le prestazioni alle quali vorrebbe riferirsi per ciascuna delle 13 parcelle, ancora una volta pretendendo inammissibilmente che sia la Suprema Corte a supplire alle sue carenze di censura.

Col quinto motivo l’avv. Tr.St. lamenta la violazione degli articoli 112 e 167 comma 1° c.p.c. e della L. n. 80/2005, per omessa pronuncia sull’erronea valenza della generica contestazione informante la mancata remunerazione delle prestazioni.

Si duole il Tr.St., ancora una volta senza individuare il tipo di vizio invocato ex art. 360 c.p.c., del fatto che la sentenza di primo grado, confermata da quella di secondo grado, non abbia tenuto conto del fatto che il MEF, a fronte delle sue richieste di pagamento del compenso professionale sulla base delle 13 parcelle prodotte, si sarebbe limitato a contestazioni generiche, ma non spiega le ragioni giuridiche per le quali tale motivo dovrebbe essere accolto, sicché anche questo motivo è inammissibile.

In realtà il MEF, pur non effettuando contestazioni specifiche sulle singole voci che dovessero giustificare l’applicazione per esse dei minimi tariffari, ha contestato l’applicabilità della tariffa forense del D.M. n. 585/1994 invocando l’applicazione delle tariffe della convenzione conclusa con l’avv. Tr.St. il 19.9.2000 come integrata il 18.3.2002, che prevedeva l’applicazione dei minimi tariffari, e che non é stata ritenuta applicabile in quanto non prevedeva il caso verificatosi della revoca anticipata del mandato professionale.

Col sesto motivo il Tr.St. lamenta la violazione degli articoli 343 c.p.c., 1224 comma 2°, 2697 e 2909 cod. civ. per avere l’impugnata sentenza negato il risarcimento danni da ritardato pagamento del compenso professionale dovuto, come invece stabilito dalla sentenza n. 474/2011 del Tribunale di Roma, che sarebbe stata oggetto di giudicato sul punto, malgrado la pendenza del giudizio d’impugnazione n. 25514/2019 RG davanti alla Corte di Cassazione, per la mancata proposizione di appello incidentale da parte del MEF e per la tardività dell’appello proposto dalla Ligestra Spa.

L’impugnata sentenza ha respinto il terzo motivo di appello dell’avv. Tr.St., inerente al reclamato maggior danno, evidenziando che il giudicato esterno che era stato invocato non poteva operare per la diversità dei crediti azionati, e con questa motivazione il ricorrente non si confronta, limitandosi a richiamare il giudicato della sentenza n. 474/2011 del Tribunale di Roma, riportandone solo uno stralcio e non indicando neppure se e quando la stessa sarebbe stata prodotta, per cui anche questo motivo è inammissibile.

Quanto al controricorso con ricorso incidentale tardivo della Fi. Spa contenente tre motivi, notificato alle altre parti il 17.1.2022, e quindi il 40° giorno successivo alla notifica dei ricorsi principali autonomi del MEF e dell’avv. Tr.St., ma dopo la scadenza del termine annuale d’impugnazione dell’art. 327 c.p.c. decorrente dalla pubblicazione della sentenza impugnata del 5.11.2020 (6.12.2021), lo stesso va dichiarato inefficace ex art. 334 comma 2° c.p.c., in ragione dell’inammissibilità di entrambi i ricorsi principali autonomi delle altre parti.

Le circostanze che l’istanza di decisione sia stata formulata dopo la proposta di definizione anticipata dall’avv. Tr.St., erroneamente considerato nella proposta come ricorrente incidentale tardivo soggetto alla sanzione dell’inefficacia ex art. 334 comma 2° c.p.c. anziché come ricorrente incidentale autonomo, e che nella proposta non sia stata considerata la sorte del ricorso incidentale, questo sì tardivo, della Fi. Spa, fanno sì che il giudizio non possa ritenersi definito in conformità alla proposta ex art. 380 bis comma 1° c.p.c. ed escludono quindi l’applicabilità dell’art. 96 3° e 4° comma c.p.c..

La reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione delle spese processuali.

Sussistono a carico del ricorrente incidentale autonomo, Tr.St., i presupposti processuali dell’obbligo di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto ex art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115.

Opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali e  le contestazioni all’attività

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, dichiara inammissibili il ricorso principale del Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il ricorso incidentale autonomo di Tr.St., dichiara inefficace il ricorso incidentale tardivo della Fi. Spa e dichiara compensate tra le parti le spese processuali. Visto l’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 dà atto della sussistenza a carico del ricorrente incidentale autonomo, Tr.St., dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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