L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 marzo 2024| n. 5922.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria è improntato alla regola di funzione della preponderanza dell’evidenza (o del “più probabile che non”), la quale, con riguardo al caso in cui, rispetto a uno stesso evento, si pongano un’ipotesi positiva e una complementare ipotesi negativa, impone al giudice di scegliere quella rispetto alla quale le probabilità che la condotta abbia cagionato l’evento risultino maggiori di quelle contrarie, e con riguardo, invece, al caso in cui, in ordine allo stesso evento, si pongano diverse ipotesi alternative, comporta che il giudice dapprima elimini, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili e poi analizzi le rimanenti ipotesi ritenute più probabili, selezionando, infine, quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dalle circostanze di fatto acquisite al processo, in ogni caso esercitando il proprio potere di libero apprezzamento di queste ultime tenendo conto della qualità, quantità, attendibilità e coerenza delle prove disponibili, dalla cui valutazione complessiva trarre il giudizio probabilistico. (Nella specie, relativa alle lesioni occorse ad un paziente a seguito dell’errata esecuzione dell’anestesia nell’ambito di un intervento chirurgico per ipertrofia prostatica, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che, nel rigettare la domanda sull’erroneo presupposto che competesse all’attore l’onere di provare la condotta imperita del medico, aveva omesso di formulare qualsivoglia valutazione, in punto di nesso causale, degli elementi di prova dallo stesso forniti e delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, che pure avevano individuato una relazione probabilistica tra la manovra anestesistica e i postumi neurologici ed ortopedici reliquati).

Ordinanza|5 marzo 2024| n. 5922. L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

Data udienza 12 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità medico sanitaria – Elementi costitutivi – Fatto di inadempimento – Nesso causale materiale – Regime di riparto dell’onere probatorio – Regola di funzione del nesso causale – Principio del “più probabile che non” – Violazione – Fattispecie – Errata esecuzione di anestesia spinale in intervento chirurgico per ipertrofia prostatica

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dai Magistrati

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 04239/2021 R.G.,

proposto da

Ra.Ba.; rappresentato e difeso dall’Avv. Pa. Sa. (“…”), in virtù di procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

nei confronti di

AZIENDA SANITARIA LOCALE “CITTÀ DI TORINO”, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore; rappresentata e difesa dall’Avv. Fr. Lo., in virtù di procura su foglio separato allegato al controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 732/2020 della CORTE d’APPELLO di TORINO, depositata il 21 luglio 2020;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 12 gennaio 2024 dal Consigliere Paolo Spaziani.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ., notificato il 18 giugno 2018, Ra.Ba., a seguito di accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis cod. proc. civ., convenne dinanzi al Tribunale di Torino l’Azienda Sanitaria Locale della stessa città, deducendo che:

– il giorno 8 febbraio 2011, si era sottoposto ad intervento chirurgico per ipertrofia prostatica presso il reparto di Urologia della struttura ospedaliera facente capo alla convenuta;

– in occasione di tale intervento, gli era stata praticata una anestesia spinale con bupivacaina nello spazio vertebrale L2-L3;

– la manovra di anestesia, praticata in maniera erronea e imperita da parte dell’anestesista, gli aveva provocato vivo dolore seguìto da una specie di scossa elettrica;

– nel successivo mese di marzo, accusando disturbi alla spalla destra e difficoltà respiratorie, si era dovuto recare due volte al Pronto Soccorso e si era sottoposto a diverse visite ortopediche e neurologiche sinché, in data 18 aprile 2011 (a poco più di due mesi dall’intervento), gli era stata diagnosticata la paralisi del nervo ascellare destro e dell’emidiaframma sinistro “da verosimile reliquato di anestesia”, pur in presenza di preesistente erniazione cervicale;

– a causa di tale evento lesivo, aveva patito conseguenze dannose di carattere sia patrimoniale che non patrimoniale.

Sulla base di queste deduzioni, l’attore domandò che l’Azienda Sanitaria Locale “Città di Torino” fosse condannata a risarcirgli i danni, da lui subìti in conseguenza dell’inesatta esecuzione della prestazione che formava oggetto dell’obbligazione sanitaria.

2. La domanda, accolta in parte dal Tribunale (che liquidò al danneggiato la somma capitale di Euro 29.203,15, oltre accessori e spese), è stata rigettata dalla Corte d’appello di Torino, la quale, con sentenza 21 luglio 2020, n. 732, ha accolto l’impugnazione principale dell’Azienda sanitaria, con assorbimento di quella incidentale di Ra.Ba., sulla base dei seguenti rilievi:

I – in primo luogo l’attore non aveva fornito la prova del nesso causale tra la condotta dei sanitari e il danno lamentato, dal momento che non aveva formulato alcuna richiesta di prova testimoniale diretta a dimostrare l’allegata condotta imperita dell’anestesista (in particolare, la circostanza che quest’ultimo, dopo avere introdotto l’ago nello spazio vertebrale, l’aveva estratto per riposizionarlo più in alto, confessando all’infermiera ivi presente di aver sbagliato) e l’effettività del conseguente stress algico da lui subìto, quale concausa dell’irritazione radicolare e della sofferenza neurologica;

II – in secondo luogo, la sussistenza di questi due decisivi elementi di fatto (condotta imperita del medico e conseguente effettivo dolore del paziente), costituenti “l’impalcatura del nesso eziologico”, nonché non dimostrata mediante le prove orali descrittive che Ra.Ba. aveva omesso di dedurre, non poteva essere desunta neppure in via indiziaria o presuntiva, atteso che l’espletato accertamento tecnico preventivo (ATP) ne aveva “costantemente lamentato la mancata verificazione attraverso significativi riscontri probatori o documentali” e si era “sistematicamente espresso in termini puramente ipotetici e di mera probabilità”: i) individuando la manovra di anestesia “come possibile fattore favorente l’irritazione radicolare che (avrebbe potuto) avere determinato poi la sofferenza nervosa del nervo circonflesso destro e frenico sinistro”; ii) precisando che, “da un punto di vista anestesiologico, si era trattato, se effettivamente verificato, con elevata probabilità, di una deviazione laterale nella progressione dell’ago da anestesia sub aracnoidea con contatto della punta sulle superfici articolari laterali”, ciò che avrebbe potuto evocare “vivo dolore con reazione in estensione del tronco e del collo”, di intensità tale da “non poter essere causa di un’erniazione acuta cervicale”, ma “al più, di una progressione della patologia degenerativa preesistente con flogosi locale e conseguenti disturbi neurologici più accentuati”; iii) ed evidenziando che l’ “”errata anestesia spinale”” è citata nei testi di anestesiologia come “complicanza” dipendente da “inavvertita deviazione laterale o da una rotazione della vertebra sul piano sagittale”, sicché essa non sarebbe di per sé indice di condotta clinica imperita;

III- in terzo luogo, al “difficilmente contestabile” esito dell’ATP -le cui argomentazioni avrebbero precluso un “verosimile giudizio secondo il criterio del “più probabile che non”” – doveva aggiungersi la circostanza che la cartella clinica non riportava “alcuna utile indicazione idonea a verificare quanto accaduto nel corso della manovra anestesiologica”.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte piemontese ricorre Ra.Ba., sulla base di sei motivi.

Risponde con controricorso l’Azienda Sanitaria Locale “Città di Torino”.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380-bis.1. cod. proc. civ..

Il pubblico ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo viene denunciata la “nullità della sentenza in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4) c.p.c., per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c.”.

Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta da vizi motivazionali costituzionalmente rilevanti (manifesta incoerenza e mera apparenza di motivazione) per avere – previa indebita sovrapposizione di due elementi distinti della fattispecie di responsabilità (condotta e nesso causale materiale) e della loro diversa prova – presupposto che la dimostrazione del secondo (il nesso causale materiale) potesse essere raggiunta mediante l’esperimento di una prova testimoniale, escutendo come testi lo stesso medico esecutore dell’intervento o l’infermiera presente allo stesso, e per avere conseguentemente sanzionato l’inerzia probatoria del paziente, che aveva omesso di richiedere siffatta prova.

Ra.Ba. sostiene, al riguardo, che la prova del nesso causale materiale – quale prova, non già di una mera circostanza di fatto, bensì della riconducibilità dell’evento lesivo dell’aggravamento della preesistente patologia alla condotta tenuta dal sanitario nell’eseguire la manovra anestesiologica in occasione dell’intervento chirurgico prostatico – non avrebbe mai potuto essere fornita attraverso le dichiarazioni di testimoni, le quali avrebbero potuto descrivere la condotta inadempiente del medico da lui allegata (imperita esecuzione della puntura o cattivo posizionamento sul lettino), ma non esprimere il giudizio sulla sussistenza della relazione di causalità intercorrente tra la condotta medesima e l’evento di danno.

1.2. Con il secondo motivo viene denunciata la “violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare degli artt. 2697,

1218, 1176 e 2236 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, c.1., n.3), c.p.c.”.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata, oltre che per avere indebitamente presupposto che il nesso di causalità materiale potesse essere provato mediante testimoni, anche per avere individuato l’oggetto di tale prova nella condotta di estrazione e di riposizionamento dell’ago da parte del sanitario e nello stress algico da lui avvertito.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

Sostiene, al riguardo che, in tal modo, confondendo i due distinti elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità contrattuale, la Corte territoriale avrebbe violato il relativo regime di riparto dell’onere della prova, indebitamente pretendendo dal paziente-creditore, non già la prova del nesso causale (che egli era onerato di fornire) ma quella dell’inadempimento del sanitario, che egli si era debitamente limitato ad allegare, spettando all’Azienda convenuta la dimostrazione dell’esatto adempimento della sua obbligazione.

1.3. Con il terzo motivo viene denunciata la “nullità del procedimento e della sentenza in relazione all’art. 360, c.1, n.4) c.p.c., per violazione degli artt.115 e 116 c.p.c.”.

Il ricorrente deduce che, attribuendo rilievo esaustivo alla (non richiesta e non espletata) prova costituenda testimoniale, ai fini della dimostrazione del nesso causale, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare e di porre a fondamento della sua decisione le prove precostituite documentali da lui ritualmente introdotte nel processo, ed in particolare: i tabulati delle telefonate effettuate al reparto di Urologia della struttura ospedaliera nei giorni immediatamente successivi all’intervento chirurgico per lamentare le difficoltà respiratorie e i problemi ortopedici sopravvenuti all’intervento medesimo; i referti di Pronto Soccorso rilasciatigli in occasione dei due accessi del 4 e del 17 marzo 2011 e quelli relativi ad altre visite ortopediche e neurologiche effettuate dopo l’operazione prostatica; infine, il certificato della visita medica del 18 aprile 2011, nel corso della quale gli era stata diagnosticata la paralisi del nervo ascellare destro e dell’emidiaframma sinistro.

1.4. Con il quarto motivo viene denunciata la “violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare degli artt. 2697, 1218, 1176 e 2236 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, c.1., n.3), c.p.c.”.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

Il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere violato i canoni funzionali di accertamento del nesso causale, sostituendo alla “regola del più probabile che non” una regola di certezza.

Sostiene, al riguardo, che la Corte d’appello, pur avendo preso atto che l’espletato ATP aveva ammesso la probabilità che l’evento lesivo fosse stato almeno concausato dall’allegata condotta anestesiologica imperita (la quale aveva provocato il repentino peggioramento della situazione patologica preesistente, determinando la paralisi nervosa e la cervicobrachialgia), avrebbe tuttavia indebitamente ritenuto che tale esito dell’indagine tecnica non autorizzasse il giudizio di accertamento del nesso causale secondo la predetta regola di funzione, non ostante gli ulteriori indici da cui tale giudizio avrebbe potuto essere tratto, con particolare riferimento alla vicinanza cronologica tra l’intervento chirurgico, i successivi disturbi ortopedici e respiratori e le lesioni neurologiche infine riscontrate.

1.5. Con il quinto motivo viene denunciata la “nullità della sentenza in relazione all’art. 360, c. 1, n.4) c.p.c., per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. e art. 118 disp. att.”.

Il ricorrente censura nuovamente il vizio di motivazione costituzionalmente rilevante (questa volta per irriducibile contraddittorietà intrinseca, oltre che per apparenza di motivazione), in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata; ciò, sul presupposto che essa, da un lato, aveva ritenuto che l’esito dell’ATP precludeva un verosimile giudizio secondo il criterio del “più probabile che non”, anche in considerazione della mancanza di documenti e dell’assenza di indicazioni nella cartella clinica sui fatti verificatisi in sala operatoria al momento dell’effettuazione dell’anestesia; mentre dall’altro lato – e contraddittoriamente – aveva affermato che i consulenti tecnici avevano proceduto alla stima del pregiudizio da lui subìto quale probabile conseguenza dell’attività sanitaria svolta dalla parte resistente.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

Ra.Ba. sostiene, inoltre, che la prima affermazione, oltre che porsi in irriducibile contrasto con la seconda, avrebbe postulato nuovamente una indebita sovrapposizione tra il piano della prova del nesso causale (oggetto dell’indagine peritale) e quello della condotta imperita del sanitario, il cui accertamento, invece, esorbitava da tale indagine e la cui mancata completa descrizione nella cartella clinica (la quale comunque aveva dato atto, in generale, dell’effettuazione della puntura anestesiologica, pur senza entrare nel dettaglio dell’estrazione dell’ago e del successivo riposizionamento, nonché dello stress algico avvertito dal paziente) non avrebbe potuto ridondare a suo danno.

1.6. Con il sesto motivo viene denunciato “omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione in relazione all’art.360, c.1. n.5 c.p.c.”.

Il ricorrente censura il formale richiamo della Corte territoriale alla descrizione peritale della “errata anestesia spinale” quale “complicanza”, acriticamente compiuto senza accertare se, nella fattispecie, essa complicanza fosse imprevedibile ed inevitabile e se fosse stata o meno causata dalla metodologia impiegata dal sanitario.

Sostiene, al riguardo, Ra.Ba. che, vertendosi in ipotesi di complicanza insorta nell’ambito di una prestazione di routine quale la puntura anestesiologica, sarebbe spettato alla convenuta superare la presunzione che essa era stata determinata dalla negligenza od imperizia del sanitario, sicché il giudice del merito, per escludere la responsabilità dell’ASL torinese, non si sarebbe dovuto limitare ad accertare semplicemente il manifestarsi della complicanza, ma avrebbe dovuto verificare la sua imprevedibilità ed inevitabilità in concreto, oltre che l’insussistenza del nesso di causalità tra la tecnica seguita e la sua insorgenza.

2. Esposti i motivi di ricorso per cassazione, il ricorrente, per l’ipotesi in cui questa Corte ritenga di poter decidere nel merito, ripropone altresì le ragioni poste a fondamento dell’appello incidentale (rimasto assorbito nella impugnata decisione di accoglimento dell’appello principale proposto dall’Azienda sanitaria torinese) ed invoca, quindi, una riforma in melius del quantum debeatur liquidatogli in primo grado, previa esatta applicazione delle tabelle vigenti per il danno non patrimoniale e previo esatto computo del danno patrimoniale emergente derivante dalle spese mediche e medico-legali.

3. I motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente stante l’evidente connessione – sono complessivamente fondati.

Con essi si deduce, in estrema sintesi – oltre al vizio motivazionale e a quello di omesso esame -, che la Corte d’appello, previa indebita sovrapposizione di due distinti elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità contrattuale sanitaria (da un lato, la condotta imperita del medico, concretante il fatto di inadempimento; dall’altro, il nesso causale materiale tra questa condotta e l’evento di danno subito dal paziente), per un verso, avrebbe violato le regole di riparto dell’onere probatorio, indebitamente onerando il paziente-creditore della prova dell’inadempimento della struttura sanitaria-debitrice; per altro verso, avrebbe disatteso le regole di funzione della causalità, omettendo di procedere all’accertamento del nesso causale materiale, avvalendosi degli elementi probatori precostituiti forniti dal paziente e delle risultanze dell’indagine tecnica, sulla base del criterio del “più probabile che non” e pretendendo, al riguardo, dal creditore una inammissibile prova dichiarativa, non conciliabile con la natura relazionale di tale elemento, che richiede l’espressione di un giudizio e non la mera descrizione di una situazione di fatto.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

Entrambi gli ordini di vizi sussistono ed inficiano funditus la legittimità della sentenza impugnata.

3.1. Con riguardo al primo, giova premettere che, in ordine alle fattispecie di responsabilità medica non sottoposte al nuovo regime introdotto dalla legge n. 24 del 2017 (la quale non trova applicazione ai fatti verificatisi anteriormente alla sua entrata in vigore: Cass. 08/11/2019, n. 28811; Cass. 11/11/2019, n. 28994), questa Corte, con orientamento consolidatosi sin dagli ultimi anni dello scorso millennio, ha chiarito che, nell’ipotesi in cui il paziente alleghi di aver subìto danni in conseguenza di una attività svolta dal medico (eventualmente, ma non necessariamente, sulla base di un vincolo di dipendenza con la struttura sanitaria) in esecuzione della prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio tra quest’ultima e il paziente, tanto la responsabilità della struttura quanto quella del medico vanno qualificate in termini di responsabilità contrattuale: la prima, in quanto conseguente all’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria, che il debitore (la struttura) deve adempiere personalmente (rispondendone ex art. 1218 cod. civ.) o mediante il personale sanitario (rispondendone ex art. 1228 cod. civ.); la seconda, in quanto conseguente alla violazione di un obbligo di comportamento fondato sulla buona fede e funzionale a tutelare l’affidamento sorto in capo al paziente in seguito al contatto sociale avuto con il medico, che diviene quindi direttamente responsabile, ex art. 1218 cod. civ.., della violazione di siffatto obbligo (a partire da Cass. 22/01/1999, n. 589, cfr., tra le tante: Cass. 19/04/2006, n. 9085; Cass. 14/06/2007, n. 13953; Cass. 31/03/2015, n. 6438; Cass. 22/09/2015, n. 18610).

Il criterio di riparto dell’onere della prova in siffatte fattispecie non è pertanto quello che governa la responsabilità aquiliana (nell’ambito della quale il danneggiato è onerato della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito ascritto al danneggiante) ma quello che governa la responsabilità contrattuale, in base al quale il creditore che abbia provato la fonte del suo credito ed abbia allegato che esso sia rimasto totalmente o parzialmente insoddisfatto, non è altresì onerato di dimostrare l’inadempimento o l’inesatto adempimento del debitore, spettando a quest’ultimo la prova dell’esatto adempimento (Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; tra le conformi, ex multis: Cass. 20/01/2015, n. 826; Cass. 04/01/2019, n. 98; Cass. 11/11/2021, n. 3587).

In particolare, con precipuo riferimento alle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni professionali – tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica – questa Corte ha da tempo chiarito che è onere del creditore-attore dimostrare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del professionista è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno lamentato (Cass. 07/12/2017, n.29315; Cass. 15/02/2018, n. 3704; Cass. 20/08/2018, n. 20812), mentre è onere del debitore dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza, e dunque sia oggettivamente non imputabile all’agente (ex aliis, tra le più recenti, Cass. 29/03/2022, n.10050; Cass.27/02/2023, n. 5808).

3.1.1. Nella fattispecie in esame, Ra.Ba. aveva domandato l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria per i danni derivatigli da un intervento (la manovra di anestesia spinale) che egli assumeva svolto in spregio alle leges artis, allegando che, in seguito all’erronea introduzione dell’ago nella cavità spinale, questo aveva subìto una deviazione, provocandogli dolore e non ottenendo il risultato anestetico, tanto che l’anestesista aveva dovuto estrarlo e riposizionarlo più in alto, non senza confessare il proprio errore all’infermiera che lo assisteva.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

Avuto riguardo a tale specifica allegazione, Ra.Ba. era bensì onerato di introdurre mezzi di prova, anche di natura presuntiva, al fine di accertare il nesso di causalità materiale intercorrente tra l’allegata condotta del medico e l’evento dannoso, rappresentato dal documentato aggravamento della patologia degenerativa preesistente, esitato nella paralisi del nervo ascellare destro e dell’emidiaframma sinistro, diagnosticatagli circa due mesi dopo l’intervento chirurgico, all’esito di numerose visite, effettuate anche presso strutture di Pronto Soccorso, a causa dei problemi ortopedici e respiratori insorti successivamente ad esso; il ricorrente non era, però, altresì onerato di provare la sua allegazione circa la condotta negligente ed imperita dell’anestesista, spettando invece all’Azienda convenuta, previa contestazione di tale allegazione, l’opposto onere di provare che, al contrario, la prestazione sanitaria era stata eseguita con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste nel caso concreto, oppure che l’inadempimento (ovvero l’adempimento inesatto) fosse dipeso dall’impossibilità di eseguirla esattamente per causa non imputabile.

La Corte d’appello, disattendendo completamente gli illustrati principi – e sulla base di una indebita confusione tra i due elementi del fatto di inadempimento e del nesso causale tra lo stesso e l’evento di danno – ha rigettato la domanda risarcitoria di Ra.Ba. sul rilievo che egli non aveva fornito la prova (asseritamente raggiungibile attraverso la deduzione di appositi capitoli testimoniali e l’escussione su di essi dell’infermiera presente all’intervento) dell’allegata condotta imperita del medico anestesista e dell'”effettività” dello stress algico conseguentemente subito dal paziente.

In tal modo, peraltro, la Corte territoriale, lungi dal sanzionare legittimamente l’inosservanza dell’onere probatorio del paziente di provare il nesso causale, lo ha – illegittimamente – ritenuto gravato del distinto e ulteriore onere di provare l’inadempimento della struttura sanitaria, omettendo di considerare che non spettava all’attore-appellato dimostrare l’allegato errore del medico, ma spettava alla convenuta-appellante dimostrarne l’esatto adempimento, provando, in ossequio al parametro della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, secondo comma, cod. civ., che la manovra anestesiologica era stata eseguita in modo corretto, nel pieno rispetto delle regole tecniche proprie della professione esercitata.

3.2. Oltre la violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio, sussiste altresì, come si è accennato, il secondo ordine di vizi complessivamente denunciati mediante i motivi di ricorso per cassazione, ovverosia il vizio derivante dalla violazione delle cc.dd. regole di funzione della causalità, per avere la Corte di merito indebitamente omesso di procedere all’accertamento del nesso causale materiale, avvalendosi degli elementi probatori precostituiti forniti dal paziente e delle risultanze dell’indagine tecnica, sulla base del criterio del “più probabile che non”.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

Anche in relazione a tale ordine di vizi, è opportuno muovere da una premessa di carattere generale.

Il nesso causale, pur costituendo uno degli elementi costitutivi oggettivi della fattispecie di responsabilità civile (contrattuale od extracontrattuale), non integra una mera circostanza di fatto che può formare oggetto di una proposizione descrittiva; piuttosto, costituisce un concetto relazionale (il concetto che esprime la relazione tra due eventi diretta ad identificare l’uno come conseguenza dell’altro), il quale può formare oggetto di una proposizione espressiva (un giudizio), la cui formulazione presuppone un’attività teoretico-dogmatica generale di ricostruzione in astratto del concetto sostanziale di causalità e un ragionamento inferenziale probatorio di accertamento concreto, in giudizio, della sussistenza del predetto nesso.

Mentre la prima attività si avvale delle cc.dd. regole di struttura, ancorate ai classici criteri della condizione necessaria, della causalità adeguata, dello scopo della norma e del rischio specifico (per la causalità materiale) e di quello della consequenzialità immediata e diretta (per la causalità giuridica), la seconda attività si avvale delle cc.dd. regole di funzione o probatorie, vale a dire dei criteri inferenziali per l’accertamento, in concreto, del rapporto di causalità (sia materiale che giuridico) con riguardo ad una specifica fattispecie processualmente dedotta.

È noto che, sin da epoca ormai non più recente, questa Corte, anche nel suo massimo consesso (Cass., Sez. Un.,11/01/2008, n.576; ma, tra le pronunce a sezione semplice, v., ad es., già Cass., Sez. 3, 16/10/2007, n. 21619 e, successivamente, Cass., Sez. 3, 21/07/2011, n.15991, nonché, da ultimo, Cass., Sez. 3, 02/09/2022, n. 25884), ha statuito che la regola di funzione applicabile per l’accertamento della causalità nel giudizio civile (a differenza di quella utilizzata nel giudizio penale, ove si richiede la prova “oltre ogni ragionevole dubbio”: Cass., Sez. Un. pen., 10/07-11/09/2022, n.30328) è quella della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”.

Questa regola si specifica in due criteri distinti, destinati ad operare l’uno nel caso in cui sullo stesso evento si pongano un’ipotesi positiva ed una complementare ipotesi negativa, l’altro nel caso in cui, sempre sullo stesso evento, si pongano diverse ipotesi alternative.

Nel primo caso (regola del “più probabile che non” propriamente detto), il giudice del merito formula il giudizio se una certa condotta -attiva od omissiva – possa essere considerata causa di un evento dannoso sul rilievo che le probabilità che tale evento sia la conseguenza di quella condotta risultano maggiori delle probabilità che non lo sia (cfr. ad es., la citata Cass., Sez. Un., n.576/2008, con riguardo all’accertata omissione delle attività di controllo e vigilanza spettanti al Ministero della salute in relazione all’evento lesivo dell’infezione in soggetti emotrasfusi).

Nel secondo caso (c.d. “criterio della prevalenza relativa”), il giudice formula il giudizio se la probabilità che una certa condotta sia la causa di un evento dannoso prevalga sulla probabilità che lo siano tutte le altre cause alternative o le possibili concause teoricamente esistenti (cfr., al riguardo, ad es., la citata Cass., Sez. 3, n.15991/2011).

In particolare, qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile ad una pluralità di cause, in applicazione progressiva dei due criteri, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente (v. particolarmente, al riguardo, la citata Cass., Sez. 3, n. 25884/2022).

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

In applicazione di entrambi i criteri, il giudice, nell’effettuare il ragionamento inferenziale probatorio, tiene conto, nell’esercizio del potere di libero apprezzamento, della qualità, quantità, attendibilità e coerenza delle prove disponibili (ovverosia delle prove dichiarative, documentali e presuntive dedotte dalla parte a ciò onerata, nonché delle risultanze dell’indagine tecnica eventualmente disposta ed espletata), traendo dalla complessiva valutazione di esse – oltre alla determinazione del grado di conferma necessario o sufficiente per ritenere provati gli enunciati fattuali allegati – il giudizio probabilistico sulla relazione di causalità.

3.2.1. Nella fattispecie in esame, il giudice del merito, al fine di accertare la relazione causale (o concausale, avuto riguardo alla preesistente patologia discale cervicale) tra il documentato evento dannoso neurologico e ortopedico esitato in paralisi nervosa ascellare e diaframmatica e l’allegata condotta inadempiente dell’anestesista (consistita nell’estrazione dell’ago e nel suo corretto riposizionamento dopo una prima erronea introduzione con deviazione laterale dolorosa), avrebbe dovuto formulare il giudizio probabilistico tenendo conto, oltre che dell’allegazione dell’attore (salvo che, in contrario, la convenuta avesse offerto la prova del proprio esatto adempimento), degli elementi di prova documentali da esso forniti (diretti ad evidenziare la vicinanza cronologica tra l’intervento anestesiologico e le sopravvenute problematiche ortopediche e neurologiche, riscontrate nelle successive visite mediche), nonché, soprattutto, delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, il quale – stando alla stessa sentenza impugnata (p.6) – aveva individuato la manovra di anestesia “come possibile fattore favorente l’irritazione radicolare”, da cui poi sarebbe potuta derivare “la sofferenza nervosa del nervo circonflesso destro e frenico sinistro”; ed aveva evidenziato che, se le circostanze di fatto fossero state effettivamente verificate, da un punto di vista anestesiologico sarebbe potuta venire in considerazione, “con elevata probabilità”, una “deviazione laterale nella progressione dell’ago da anestesia sub aracnoidea con contatto della punta sulle superfici articolari laterali”, capace di evocare “vivo dolore con reazione in estensione del tronco e del collo”, con intensità tale da poter ben indurre, se non una nuova erniazione, l’aggravamento della patologia preesistente, “con flogosi locale e conseguenti disturbi neurologici più accentuati”.

Lungi dal compiere la valutazione probabilistica in ordine al nesso causale sulla base di tutti questi elementi, il giudice del merito non si è neppure accinto all’operazione, limitandosi ad evidenziare – erroneamente, per quanto si è detto – l’omessa deduzione di prove dichiarative e la mancanza di prove documentali in relazione “a quanto accaduto nel corso della manovra anestesiologica”, stigmatizzando la mancata dimostrazione da parte dell’attore di una circostanza di fatto che, in quanto da lui debitamente allegata, esorbitava dal suo onere probatorio per rientrare nel contrario onere spettante alla convenuta.

Questo error in iudicando, già di rilievo, è stato poi ulteriormente aggravato dal riferimento alla carenza di annotazioni nella cartella clinica, la cui incompletezza è stata indebitamente valutata in danno del paziente, in spregio al contrario principio per cui essa, a determinate condizioni, costituisce piuttosto un elemento utilizzabile in funzione del positivo apprezzamento dell’esistenza di un valido nesso causale tra il danno da lui subìto e l’operato del medico (Cass. 21/11/2017, n. 27561; Cass. 20/11/2020, n. 26428).

3.3. Sussistono, in ragione di quanto si è osservato, anche i denunciati vizi di motivazione, la quale si pone al disotto del “minimo costituzionale”, in particolare per essere caratterizzata da contrasto irriducibile – emergente dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: Cass. Sez. Un. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090) – tra le surricordate affermazioni dirette ad evidenziare formalmente le risultanze dell’indagine peritale (le quali avevano riconosciuto la teorica incidenza probabilistica, persino in forma “elevata”, della manovra anestesiologica sull’evento lesivo) e l’affermazione successiva, inconciliabile con le prime, secondo cui l’esito dell’ATP avrebbe precluso “un verosimile giudizio secondo il criterio del “più probabile che non”” (p.7 della sentenza impugnata).

3.4. Infine, non può sottacersi che l’acritico riferimento -denunciato con l’ultimo motivo di ricorso – alle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, nella parte in cui l’ “errata anestesia spinale” viene qualificata come “complicanza” sulla base delle citazioni contenute nei testi di anestesiologia, denota, oltre alla violazione dei principi enunciati da questa Corte sulla irrilevanza della nozione medica di “complicanza” ai fini della presunzione di cui all’art.1218 cod. civ. (la quale può ritenersi superata solo ove si verifichi in concreto il carattere imprevedibile e inevitabile dell’evento così qualificato, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile: Cass.30/06/2015, n. 13328; Cass.29/11/2022, n. 35024), anche il travisamento della stessa relazione peritale, la quale si è limitata a porre in evidenza che nei testi di anestesiologia l’insorgenza della complicanza da errata anestesia spinale non è considerata, di per sé, indice di condotta clinica imperita, potendo l’errore astrattamente dipendere, oltre che da una “inavvertita deviazione laterale” della puntura, anche da “una rotazione della vertebra sul piano sagittale”.

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

4. Avuto riguardo alle plurime ragioni di illegittimità della sentenza impugnata, denunciate con gli illustrati motivi del ricorso per cassazione, questo deve essere complessivamente accolto.

La sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, la quale, attenendosi agli enunciati principi, rinnoverà la valutazione circa la sussistenza o meno della responsabilità contrattuale dell’Azienda Sanitaria Locale “Città di Torino”, posta da Ra.Ba. a fondamento dell’originaria domanda risarcitoria.

5. Il giudice del rinvio valuterà anche le ragioni poste dal ricorrente a fondamento dell’appello incidentale (rimasto assorbito dalla pronuncia di accoglimento di quello principale, ora cassata) concernenti la riforma, in melius, della statuizione di primo grado in ordine al quantum debeatur, con particolare riferimento al danno non patrimoniale e al danno patrimoniale emergente per spese mediche e medico-legali.

Ciò, in applicazione del principio, secondo cui nel procedimento di rinvio davanti al giudice di secondo grado le parti mantengono le stesse posizioni che avevano assunto nel giudizio di appello e non sono obbligate a riproporre le impugnazioni principali o incidentali già proposte, essendo il giudice del rinvio comunque tenuto a riesaminarle tutte; pertanto, la parte (riassumente o intimata) che mantenga la precedente posizione di appellata, non è tenuta a notificare nuovamente l’impugnazione incidentale che abbia proposta nel giudizio conclusosi con la sentenza cassata (Cass. 20/06/2007, n. 14306).

Il giudice del rinvio, infine, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).

L’accertamento del nesso di causalità nella responsabilità sanitaria

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma il 12 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

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