Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 28824.
Leasing immobiliare e la mancata indicazione del “tasso leasing”
In tema di leasing immobiliare, la mancata indicazione, nel contratto, del “tasso leasing” non determina la violazione dell’art. 117, comma 4, T.U.B. ove lo stesso sia determinabile per relationem, con rinvio a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obiettivamente individuabili, senza alcun margine di incertezza né di discrezionalità in capo alla società di leasing, dovendosi individuare la ratio della norma nell’esigenza di salvaguardia del cliente sul piano della trasparenza, declinata in senso economico, essendo trasparente il contratto che lascia intuire o prevedere il livello di rischio o di spesa del contratto di durata. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza che aveva ritenuto che gli elementi desumibili dal contratto di leasing, nel quale erano espresse in modo definito le modalità di rimborso del finanziamento, con la precisazione dell’ammontare dei canoni, del loro numero e della loro scadenza, nonché del prezzo di riscatto, fossero idonei a consentire una oggettiva determinabilità dei tassi applicabili al rapporto).
Ordinanza|| n. 28824.
Data udienza 10 luglio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione – In genere (nozione, caratteri, distinzioni) leasing immobiliare – Mancata indicazione del “tasso leasing” in contratto – Determinabilità per relationem dei tassi di interesse a carico dell’utilizzatrice – Limiti di ammissibilità – Fondamento – Fattispecie.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi A. – Presidente
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1579/2022 proposto da:
(OMISSIS) S.N.C. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante, (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS), che, unitamente all’avv.to (OMISSIS), la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 85/2021 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO, SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, depositata il 4/06/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/07/2023 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
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RITENUTO
che:
con sentenza resa in data 4/6/2021, la Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, decidendo sugli appelli principale e incidentale proposti, rispettivamente, da (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), da un lato, e da (OMISSIS) s.p.a., dall’altro, ha confermato la decisione di primo grado nella parte in cui ha accertato l’inadempimento della (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS) (in qualita’ di utilizzatrice) al contratto di leasing immobiliare concluso con la (OMISSIS) s.p.a., con la condanna della stessa al rilascio dell’immobile, ed ha altresi’ condannato la (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al pagamento, in favore della (OMISSIS) s.p.a. delle penali dovute secondo le previsioni contrattuali;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, per quel che ancora rileva in questa sede, ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva escluso l’applicabilita’, al rapporto in esame, del tasso sostitutivo ex articolo 117 TUB in ragione della mancata indicazione del tasso leasing nel contratto concluso tra le parti, nonche’ in ragione della pretesa indeterminatezza dei tassi d’interesse applicati, o del difetto di trasparenza nella relativa previsione, nonche’ nella parte in cui aveva affermato la validita’ e l’efficacia della clausola con la quale le parti avevano riconosciuto, in favore della societa’ concedente, il diritto di trattenere i canoni riscossi e a pretendere quelli scaduti;
cio’ posto, permessa la piena determinatezza dei tassi convenuti tra le parti, la corte territoriale ha provveduto al calcolo della penale contrattuale dovuta dalla societa’ utilizzatrice, nonche’ della penale convenzionalmente stabilita per il ritardo nella restituzione dell’immobile concesso in leasing, rilevando, a tale ultimo riguardo, il difetto di specificita’ del gravame avanzato dagli appellanti principali in relazione alla rivendicata ulteriore riduzione di tale ultima penale in misura superiore a quella gia’ apportata dal giudice di primo grado;
avverso la sentenza d’appello, (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;
la (OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria.
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CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli articoli 1526 e 1382 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte proceduto alla riduzione della penale contrattuale imposta all’utilizzatrice in violazione dei principi sul punto statuiti dalla giurisprudenza di legittimita’, avendo erroneamente conteggiato, come posta aggiuntiva a carico dell’odierna societa’ ricorrente, i canoni di affitto per uso dell’immobile, dovendo al contrario ritenersi che tali canoni fossero gia’ stati pagati attraverso la corresponsione delle rate di canone di leasing comprensive, tanto della remunerazione per il godimento del bene, quanto della quota parte di restituzione del prezzo di acquisto dell’immobile;
il motivo e’ infondato;
osserva il Collegio come, nel procedere alla riduzione della penale convenzionalmente prevista tra le parti per l’inadempimento dell’utilizzatrice, la corte territoriale si sia correttamente allineata ai principi stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U., Sentenza n. 2061 del 28/01/2021), nella parte in cui si stabilisce che, mentre deve ritenersi manifestamente eccessiva la penale che, mantenendo in capo al concedente la proprieta’ del bene, gli consente di acquisire i canoni maturati fino al momento della risoluzione (cio’ comportando un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene: v., tra le molte, Cass., 27 settembre 2011, n. 19732, nonche’ la citata Cass. n. 1581 del 2020), deve invece reputarsi coerente con la previsione contenuta dell’articolo 1526 c.c., comma 2, la penale inserita nel contratto di leasing traslativo in cui si preveda l’acquisizione dei canoni riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito (tra le altre, le citate Cass. n. 15202 del 2018 e Cass. n. 1581 del 2020, nonche’ Cass., 28 agosto 2019, n. 21762 e Cass., 8 ottobre 2019, n. 25031);
in particolare, se il contratto preveda una clausola penale manifestamente eccessiva (acquisizione dei canoni riscossi e mantenimento della proprieta’ del bene: c.d. clausola di confisca), essa, ai sensi dell’articolo 1526 c.c., comma 2, andra’ ridotta dal giudice, anche d’ufficio (ove, naturalmente, la penale stessa sia stata fatta oggetto di domanda ovvero dedotta in giudizio come eccezione – in senso stretto – nel rispetto delle preclusioni di rito: Cass., 12 settembre 2014, n. 19272), nell’esercizio del potere correttivo della volonta’ delle parti contrattuali affidatogli dalla legge, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento degli interessi contrapposti (Cass., S.U., n. 18128 del 2005, citata), dovendo nella specie operare una valutazione comparativa tra il vantaggio che la penale inserita nel contratto di leasing traslativo assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (tra le altre, Cass. n. 4969 del 2007, citata, e Cass., 21 agosto 2018, n. 20840);
al riguardo, tenuto conto delle circostanze concrete del caso oggetto della sua cognizione, occorrera’ che il giudice privilegi la soluzione innanzi evidenziata, e, quindi, ferma restando l’irripetibilita’ dei canoni gia’ riscossi, provveda ad una stima del bene ai valori di mercato al momento della restituzione dello stesso (se il bene non sia stato venduto o altrimenti allocato e, dunque, in tale evenienza costituendosi a parametro i valori rispettivamente conseguiti) e, quindi, detragga il valore stimato dalle somme dovute al concedente, con eventuale residuo da attribuire a colui che risulti creditore del saldo (conf. Sez. 1, Ordinanza n. 10249 del 30/03/2022, Rv. 664537 – 01);
nel caso di specie, la corte territoriale ha correttamente proceduto a detrarre, dal complessivo importo dovuto in favore del concedente, il valore di mercato dell’immobile calcolato alla data della risoluzione, determinando di conseguenza il residuo risultato a vantaggio del concedente;
vale al riguardo sottolineare come il paventato asserito doppio conteggio delle medesime poste contabili individuate a carico della societa’ utilizzatrice dell’immobile (al di la’ della sostanziale incomprensibilita’ del ragionamento seguito in ricorso, non adeguatamente supportato da allegazioni documentali puntuali e sufficientemente specifiche), in quanto questione concernente la critica della motivazione del provvedimento impugnato (e, dunque, attinente al merito delle questioni controversie tra le parti), deve ritenersi inammissibilmente proposto in questa sede, essendosi i ricorrenti sostanzialmente limitati a una proposta rilettura nel merito dei fatti di causa, sulla base di una prospettiva critica non consentita dinanzi al giudice di legittimita’;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 111 Cost. e articolo 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale dettato una motivazione contraddittoria in relazione al punto concernente la determinazione delle modalita’ di riduzione della penale imposta a carico della societa’ utilizzatrice;
il motivo e’ infondato;
osserva il Collegio come, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum;
infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullita’ della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiche’ intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);
nel caso di specie, i ricorrenti hanno evidenziato come la (asserita) contraddittorieta’ della motivazione contestata risultasse, non gia’ dal confronto delle proposizioni contenute nel testo impugnato (essendo del tutto irrilevante, a tal fine, quanto viceversa riportato nell’intestazione del motivo di ricorso proposto in questa sede da cui non si evidenzia alcuna contraddittorieta’), bensi’ dall’esame dei contenuti della consulenza tecnica d’ufficio e, dunque, sulla base di un elemento estraneo al testo della motivazione, di per se’ non utilizzabile quale relativo parametro di congruenza logica;
viceversa, varra’ considerare come, dal testo della sentenza impugnata, non emerga alcun contrasto interno, ne’ alcuna contraddizione o illogicita’ suscettibile di impedire la ricostruibilita’, in termini logici, dell’iter seguito dal giudice ai fini della decisione, con la conseguente piena idoneita’ del discorso giustificativo elaborato dal giudice a quo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
con il terzo motivo, proposto in via subordinata rispetto ai primi due, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale, facendo proprio il calcolo effettuato dal c.t.u., computato a titolo di indennizzo per due volte gli stessi canoni di affitto per l’uso dell’immobile, tanto nella liquidazione della penale per il ritardo nella restituzione del bene, quanto nella liquidazione della penale per l’accertato inadempimento contrattuale;
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il motivo e’ infondato;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia provveduto alla separata liquidazione della penale per l’inadempimento accertato a carico della societa’ utilizzatrice (nel pieno rispetto dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimita’, per come in precedenza richiamati), rispetto alla liquidazione della diversa penale riferita ad ogni giorno di ritardo nella restituzione del bene immobile concesso in godimento;
la circostanza che, ai fini della determinazione della penale per il ritardo, le parti abbiano originariamente considerato il canone di affitto come parametro di determinazione dell’importo dovuto a titolo di risarcimento per il ritardo, deve ritenersi del tutto autonoma e indipendente rispetto alla diversa (e gia’ avvenuta) considerazione del canone di affitto calcolato ai fini della penale per l’inadempimento relativo alle altre obbligazioni contrattuali: si tratta di calcoli separati ed aventi funzioni ben diverse, atteso che, con quest’ultima penale (quella relativa all’inadempimento del contratto), le parti hanno provveduto a liquidare forfettariamente il danno subito dalla concedente per non aver potuto conseguire quanto atteso dall’integrale e regolare esecuzione del contratto, mentre, con la prima penale (quella relativa al ritardo nella restituzione dell’immobile), le parti hanno convenzionalmente individuato (attraverso il riferimento al canone come parametro astratto) il danno subito dalla concedente per non aver tempestivamente ottenuto la restituzione dell’immobile a seguito della risoluzione del contratto;
ne deriva l’evidente incongruenza della censura in esame nella parte in cui lamenta del tutto infondatamente una pretesa duplice considerazione dei medesimi canoni ai fini della determinazione delle penali contrattuali;
con il quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 342 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inammissibile il motivo di appello concernente la richiesta riduzione della penale per il ritardo nella restituzione dell’immobile in contrasto con quanto desumibile dagli atti di causa, e senza considerare che la motivazione della domanda di riduzione ad equita’ della penale da ritardo doveva ritenersi implicita nell’atto d’appello ed in ogni caso non necessaria, avuto riguardo alla comunanza delle ragioni poste a fondamento della richiesta di riduzione di entrambe le penali contrattuali e tenuto conto del potere del giudice di merito di procedere d’ufficio alla riduzione della medesima penale;
il motivo e’ inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia ritenuto che il motivo d’appello concernente la riduzione della penale da ritardo fosse stato articolato dagli appellanti in modo inammissibilmente generico;
in forza di tale premessa, sarebbe spettato, agli odierni ricorrenti, fornire in questa sede la prova dell’eventuale erroneita’ di tale giudizio attraverso la riproduzione dell’intero atto di appello e non gia’ solo degli stralci laconicamente riportati in nota al ricorso dai quali non risulta alcuna particolare articolazione della censura;
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al riguardo, vale considerare come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex articolo 366 c.p.c., n. 6 (valido oltre che per il vizio di cui all’articolo 360, comma 1, n. 5 anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non puo’ limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operativita’ di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);
siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo e’ tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte;
e’ appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, e’ finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimita’ di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non puo’ ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilita’, in base alla previsione del successivo articolo 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione puo’ esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento e’ rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317);
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rimane in ogni caso pur sempre fermo che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – quale corollario del requisito di specificita’ dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non sia interpretato in modo eccessivamente formalistico, cosi’ da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, non potendo tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (v. Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022 (Rv. 664409 – 01);
con particolare riguardo all’ipotesi della deduzione di errores in procedendo (tali da legittimare l’esercizio, ad opera del giudice di legittimita’, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito), varra’ considerare come la stessa presupponga pur sempre l’ammissibilita’ del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, che deve essere modulato, in conformita’ alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticita’ e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attivita’ del giudice di legittimita’ e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Sez. L, Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022, Rv. 663837 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021, Rv. 662388 – 01);
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nella violazione di tali principi devono ritenersi incorsi i ricorrenti con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che gli stessi, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente giudicato inammissibile per genericita’ il motivo di appello concernente la riduzione della penale da ritardo, hanno tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione (ne’ alcuna adeguata localizzazione negli atti nel processo) circa gli atti processuali e i documenti (e il relativo contenuto) comprovanti il ricorso effettivo di detto errore, con cio’ precludendo a questa Corte la possibilita’ di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto;
e’ appena il caso di rilevare, peraltro, l’assoluta irrilevanza, da un lato, della circostanza che gli argomenti relativi alla penale per l’inadempimento del contratto sarebbero stati comuni anche alla penale per il ritardo (rilievo che i ricorrenti assumono solo in questa sede, in modo peraltro arbitrario) e, dall’altro, che il giudice di merito abbia in ogni caso il potere di ridurre la penale d’ufficio, poiche’ il giudice di primo grado aveva gia’ provveduto alla riduzione equitativa della penale per il ritardo: la circostanza che il giudice d’appello abbia ritenuto di non doverla ulteriormente ridurre deve dunque ritenersi (a prescindere dal richiamo all’inammissibilita’ del corrispondente motivo di appello degli odierni ricorrenti) espressione della discrezionalita’ propria del giudice di merito, come tale non legittimamente sindacabile in sede di legittimita’;
con il quinto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 117 TUB (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la decisiva rilevanza della mancata indicazione del tasso leasing nel contratto concluso tra le parti, nonche’ l’indeterminatezza dei tassi di interesse applicati a carico della societa’ utilizzatrice;
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il motivo e’ infondato;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia ritenuto sufficiente, ai fini del rispetto nella disposizione normativa qui richiamata dai ricorrenti, la circostanza che i dati forniti con il contratto fossero idonei a consentire un calcolo adeguatamente trasparente sui costi dell’operazione economica, essendo state espresse “in modo ben definito” le modalita’ di rimborso del finanziamento, con la precisazione, tanto dell’ammontare dei canoni da corrispondere, quanto del relativo numero e della relativa scadenza, nonche’ del prezzo di riscatto, tant’e’ che lo stesso c.t.u. ha potuto calcolare, sulla base delle disposizioni contrattuali, il tasso leasing dell’operazione per il contratto originario e le successive integrazioni;
a tal riguardo, il giudice d’appello ha correttamente fatto riferimento all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, Sentenza 13 maggio 2021 n. 12889) nella parte in cui, tra le altre argomentazioni, si e’ affermata la necessita’ di assumere il senso della funzione della trasparenza non piu’ in senso meramente “bancaristico”, orientato a introdurre il principio della concorrenza all’interno del settore bancario, ne’ in quello di mero contenimento delle scelte irrazionali, bensi’ alla stregua di un valore che merita di essere in se’ e per se’ considerato per la sua idoneita’ ad incidere sull’equilibrio delle relazioni contrattuali, tanto da imporre il sindacato ex lege del contenuto del contratto;
la declinabilita’ in senso economico del valore della trasparenza poggia sul convincimento che il contratto trasparente sia quello che lascia intuire o prevedere il livello di rischio o di spesa del contratto di durata; “trasparente e’ solo il contratto corredato di clausole la cui giustificazione economica risulti comprensibile, di tal che’ senza tale trasparenza a risultare opaco e’ il costo totale del credito, donde una rilevanza di rimbalzo della trasparenza, come si e’ detto, sull’equilibrio economico del contratto. Il viatico all’adozione di una nozione di trasparenza declinata in senso economico si e’ avuto con la sentenza della Corte di Giustizia del 21 dicembre 2016, cause riunite C-154/15, C307/15, C-308/15, ove essa ha assunto lo stesso rango di norma di ordine pubblico, la cui imperativita’ di fatto sostituisce all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibro reale, finalizzato a ristabilire l’eguaglianza tra queste ultime.
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La trasparenza economica nella portata che ne risulta e’ da considerare, secondo autorevole dottrina, l’antidoto ad una opacita’ precontrattuale che il diritto comune rinserra nel perimetro tassativi dei vizi del consenso”. Ed ancora: “La giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di occuparsi della determinabilita’ del tasso di interesse in varie occasioni, stabilendo, nella pronuncia n. 8028 del 30/03/2018, che in tema di contratto di mutuo, affinche’ una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata, ai sensi dell’articolo 1346 c.c., e’ sufficiente che la stessa – nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154 – contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purche’ obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse. A tal fine occorre che quest’ultimo sia desumibile dal contratto con l’ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalita’ in capo all’istituto mutuante, non rilevando la difficolta’ del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, ne’ la perizia richiesta per la sua esecuzione. Per Cass. 26/06/2019 n. 17110, nella vigenza del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 117, comma 4, il tasso di interesse puo’ essere determinato per relationem, con esclusione del rinvio agli usi, ma in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non devono essere determinati unilateralmente dalla societa’ di leasing. La Corte chiarisce che tale possibilita’ si desume in via indiretta dall’articolo 117 TUB – perche’ non avrebbe senso vietare il rinvio agli usi se non fosse possibile ammettere la determinazione per relationem alle altre condizioni del contratto attraverso fonti esterne, purche’ non dipendenti dalla unilaterale volonta’ della banca – oltre che dalla ratio della norma individuata nell’esigenza di salvaguardia del cliente sul piano della trasparenza e della eliminazione delle cosiddette asimmetrie informative: infatti, la prescrizione che fa obbligo di indicare nel contratto “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati’ intende porre il cliente nelle condizioni di conoscere e apprezzare con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma: ed e’ evidente, allora, che tale finalita’ possa essere perseguita, con riguardo alla determinazione dell’interesse, non solo attraverso l’indicazione numerica del tasso, ma anche col rinvio a elementi esterni obiettivamente individuabili, la cui materiale identificazione sia cioe’ suscettibile di attuarsi in modo inequivoco (cfr. anche Cass. 19/05/2010, n. 12276). La determinabilita’ per relationem del tasso di leasing escluderebbe dunque l’irrogazione della sanzione sostitutiva applicata nel caso di specie, riservata alle ipotesi nelle quali nel contratto manchi la relativa pattuizione (Cass. 26/06/2019 n. 17110; Cass. 26/06/2019, n. 16907): ipotesi cui deve essere equiparata quella in cui il tasso sia indicato nel contratto, ma esso porti ad un ammontare del costo dell’operazione variabile in funzione dei patti che regolano le modalita’ di pagamento, si’ da ritenere che il prezzo dell’operazione risulti sostanzialmente inespresso e indeterminato, oltre che non corrispondente a quello su cui si e’ formata la volonta’ dell’utilizzatore (cfr. Cass. 21/03/2011, n. 6364)” (Sez. 3, Sentenza 13 maggio 2021 n. 12889, cit.);
nel caso di specie, la corte territoriale ha ritenuto che gli elementi desumibili dal contratto di leasing fossero sufficienti a consentire un’oggettiva determinabilita’ per relationem dei tassi applicabile al rapporto in esame: e tanto basta ai fini della piena trasparenza dell’operazione in oggetto, a nulla rilevando, in questa sede di legittimita’, la soggettiva controvertibilita’ della valutazione discrezionale cosi’ espressa dal giudice di merito in termini logicamente e giuridicamente congrui;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Leasing immobiliare e la mancata indicazione del “tasso leasing”
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge, in favore della controricorrente.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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