Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 28374.
Esercizio della prelazione agraria e la concreta coltivazione del fondo adiacente a quello in vendita
Ai fini dell’esercizio della prelazione agraria ex art. 7 l. n. 817 del 1971 è necessario non solo che il proprietario del fondo confinante rivesta la qualifica di coltivatore diretto, ma anche che coltivi concretamente il fondo adiacente a quello in vendita, giacché l’intento del legislatore è l’ampliamento dell’impresa coltivatrice diretta finitima e non l’acquisto della proprietà da parte di qualsiasi coltivatore diretto; in punto di prova, peraltro, la qualità di agricoltore non può desumersi dal fascicolo aziendale, atteso che le informazioni in esso contenute hanno finalità amministrativa e fiscale e non valgono a dimostrare la coltivazione effettiva del fondo.
Ordinanza|| n. 28374. Esercizio della prelazione agraria e la concreta coltivazione del fondo adiacente a quello in vendita
Data udienza 6 giugno 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Processo civile – Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Violazione degli artt. 115 e 116 cpc – Censura – Presupposti di ammissibilità
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9618/2020 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliato presso il suo domicilio digitale Pec: (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliata presso il domicilio digitale (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1951/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 6/06/2023 dal Cons. Dott. ANNA MOSCARINI.
Esercizio della prelazione agraria e la concreta coltivazione del fondo adiacente a quello in vendita
RILEVATO
che
Il sig. (OMISSIS), proprietario di un fondo confinante con due particelle site in (OMISSIS), oggetto di compravendita tra il sig. (OMISSIS) e l’acquirente sig. (OMISSIS), allegando la propria qualita’ di coltivatore diretto del fondo confinante, in possesso dei requisiti previsti dalla L. 14 agosto 1971, n. 817, articolo 8, e dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, articolo 8, convenne quest’ultima in giudizio avanti al Tribunale di Chieti rappresentando che, nella compravendita delle particelle confinanti con il proprio, non era stata garantita la denuntiatio; chiese pertanto che fossero accertati i presupposti per l’esercizio del riscatto e conseguentemente che fosse disposto il trasferimento in sua proprieta’ delle particelle vendute;
la convenuta si costitui’ in giudizio contestando la sussistenza dei presupposti per la prelazione, in particolare la qualita’ di coltivatore diretto del (OMISSIS), chiese ed ottenne la chiamata in causa della sig. (OMISSIS), erede del venditore, per essere manlevata in caso di evizione parziale;
il Tribunale, all’esito di istruttoria, ritenuto che il (OMISSIS) non aveva dimostrato l’effettiva coltivazione diretta del fondo contiguo e confinante con quelli oggetto di compravendita, rigetto’ la domanda condannando l’attore alle spese del grado;
a seguito di appello del (OMISSIS), la Corte d’Appello de L’Aquila, con sentenza del 26/11/2019, ha rigettato l’appello condannando l’appellante alle spese del grado; per quanto ancora qui rileva la Corte del gravame ha ritenuto che il titolare del diritto di prelazione, onerato della prova dei presupposti per l’esercizio del diritto, e quindi anche della prova della coltivazione del fondo confinante con riferimento all’attualita’ e alla prospettiva futura, in ragione della ratio della disciplina di consentire al coltivatore diretto di espandere la propria attivita’ ai fondi confinanti, non aveva provato di aver svolto la propria attivita’ sul fondo confinante; quanto agli strumenti di prova la Corte ha ritenuto che il fascicolo aziendale, prodotto dall’appellante, da un lato fosse atto formato dalla stessa parte che intendeva avvalersene e dall’altro avesse la funzione non di provare chi effettivamente coltivi i terreni in esso descritti ma di permettere all’imprenditore agricolo di ottenere contributi e agevolazioni di varia specie;
avverso la sentenza il (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione sulla base di due motivi;
la (OMISSIS) resiste con controricorso;
il ricorso e’ stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c..
la controricorrente ha depositato memoria.
Esercizio della prelazione agraria e la concreta coltivazione del fondo adiacente a quello in vendita
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., articoli 112, 115 e 116 c.p.c., con riguardo all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente assume che la sentenza impugnata debba essere cassata nella parte in cui, omettendo di dichiarare l’inammissibilita’ di domande nuove (articolo 345 c.p.c.) e pronunciando oltre i limiti della domanda (articolo 112 c.p.c.) in spregio alle norme sull’acquisizione delle prove e del principio di non contestazione (articoli 115 e 116), ha ritenuto non assolto da parte del ricorrente l’onere della prova dell’effettiva coltivazione del fondo confinante con quello compravenduto, nonostante fosse stata riconosciuta la sua qualifica di coltivatore diretto con riferimento a terreni diversi rispetto al fondo confinante; ad avviso del ricorrente l’oggetto del contendere sarebbe stato limitato alla sola qualifica di coltivatore diretto e non anche al requisito dell’effettiva coltivazione del fondo confinante, di guisa che la sentenza d’appello, andando oltre il petitum ed ampliando illegittimamente la domanda, avrebbe esteso la pronuncia alla insussistenza del requisito della coltivazione del fondo confinante su cui non vi era stato alcun contraddittorio;
con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli articoli 113, 115, 116 e 132 c.p.c., nonche’ dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, omessa motivazione – il ricorrente lamenta che i giudici del merito hanno erroneamente ritenuto che il fascicolo aziendale non costituisse prova, non solo della qualita’ di coltivatore diretto, ma anche dell’effettiva coltivazione del fondo finitimo a quello oggetto di compravendita, trattandosi di documento costantemente monitorato dagli organismi nazionali e comprovante il possesso dei requisiti per accedere, in qualita’ di coltivatore diretto, all’erogazione dei fondi comunitari; la Corte d’Appello avrebbe dovuto attenersi all’inderogabile dettato normativo contenuto nell’articolo 113 c.p.c., ottemperando all’obbligo di ricercare, interpretare ed applicare d’ufficio tutte le fonti di diritto applicabili alla fattispecie ivi comprese quelle comunitarie, cosi’ correttamente qualificando il fascicolo aziendale quale strumento dotato di piena idoneita’ probatoria riguardo all’effettivita’ della coltivazione, da parte del (OMISSIS), del fondo finitimo a quello compravenduto;
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati;
con particolare riferimento al primo motivo va osservato che come si evince dall’impugnata sentenza (p. 3 e 6), la convenuta nel giudizio di primo grado aveva contestato espressamente l’assenza dei requisiti soggettivi in capo al (OMISSIS) per l’utile esercizio del diritto di prelazione e il (OMISSIS), a seguito della contestazione della convenuta che egli fosse un coltivatore diretto, si era limitato a provare tale qualita’ ma non anche aveva dimostrato di coltivare effettivamente il fondo finitimo a quello compravenduto; conseguentemente il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi hanno concluso nel senso dell’assenza di prova dei requisiti per l’utile esercizio del diritto di prelazione, non essendo sufficiente la prova della qualita’ di coltivatore diretto su un qualsivoglia fondo ma essendo necessaria la prova della effettiva coltivazione sul fondo finitimo;
ne consegue che non vi e’ alcuna violazione, da parte della Corte del gravame, ne’ dell’articolo 345 c.p.c., ne’ dell’articolo 112 c.p.c., perche’ la questione era stata trattata fin dal primo grado del giudizio, e su di essa era stato articolato il contraddittorio, sicche’ la stessa non era nuova ed il giudice non ha pronunciato ultra petita. La corte del gravame si e’, infatti, limitata a ritenere corretta la statuizione del Tribunale secondo cui l’attore avrebbe dovuto provare non solo di essere coltivatore diretto ma anche di coltivare direttamente il proprio fondo adiacente a quelli posti in vendita, avendo costituito tale profilo oggetto di specifico contraddittorio tra le parti; la Corte d’Appello, lungi dal pronunciare ultra petita ed in contrasto con i principi di acquisizione della prova, nel confermare la sentenza di primo grado, si e’ conformata al consolidato principio di diritto, cui il Collegio intende dare continuita’, secondo cui “Ai fini dell’esercizio della prelazione agraria da parte del proprietario confinante, ai sensi della L. 14 agosto 1971, n. 817, articolo 7, e’ necessario non solo che egli rivesta la qualifica di coltivatore diretto, ma anche che coltivi direttamente il fondo adiacente a quello posto in vendita, non essendo sufficiente che egli eserciti altrove l’attivita’ di agricoltore; cio’ in quanto l’intento perseguito dal legislatore e’ l’ampliamento dell’impresa coltivatrice diretta finitima e non l’acquisto della proprieta’ della terra da parte di qualsiasi coltivatore diretto. Ai fini della prova, peraltro, la qualita’ di agricoltore non puo’ desumersi da elementi formali quali gli elenchi redatti dal Servizio contributi agricoli unificati (SCAU), atteso che detta certificazione, rilasciata a fini essenzialmente assistenziali, e’ idonea soltanto a fornire elementi indiziari” (Cass., 3, n. 21621 del 16/10/2007; Cass., 3, n. 1712 del 27/1/2010);
ne’ puo’ ritenersi ammissibile la censura volta a far valere la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., perche’ tale censura non puo’ riguardare l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo l’allegazione che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., 1, n. 6774 del 1/3/2022; Cass., 6-1, n. 1229 del 17/1/2019);
con particolare riferimento al secondo motivo, con cui il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui la stessa ha escluso che il fascicolo aziendale potesse valere a costituire prova dell’effettiva coltivazione del fondo confinante, va posto in rilievo che e’ anch’esso in parte inammissibile (in quanto risultano non osservati i requisiti a pena d’inammissibilita’ prescritti all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e in parte infondato; a fronte della statuizione della corte di merito secondo cui il valore probatorio del fascicolo aziendale poteva dirsi limitato all’essere il (OMISSIS) proprietario o affittuario del terreno confinante ma non anche estendersi a provare l’effettiva coltivazione del fondo finitimo, il ricorrente non riporta dove e come il fascicolo aziendale comprovasse, invece, proprio quello specifico requisito; peraltro, come si evince dalle normative di settore puntualmente osservate dalla impugnata sentenza, la funzione del fascicolo aziendale e’ quella di far fede dei dati relativi all’azienda agricola nei confronti delle pubbliche amministrazioni per i rapporti che il titolare dell’azienda agricola instaura ed intrattiene con esse. Le informazioni contenute nel fascicolo hanno, pertanto, una finalita’ amministrativa e fiscale ma non possono assurgere a prova della coltivazione effettiva del fondo da parte del titolare ai fini del richiesto retratto;
All’inammissibilita’ e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
Esercizio della prelazione agraria e la concreta coltivazione del fondo adiacente a quello in vendita
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200 (di cui Euro 200 per esborsi) piu’ accessori di legge e spese generali al 15%, in favore della controricorrente.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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