Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 28225.
La confessione giudiziale non può sortire alcun effetto sulle altre parti anche collateralmente coinvolte nel rapporto processuale
La confessione giudiziale ha efficacia probante nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, mentre non può sortire alcun effetto sulle altre parti anche collateralmente coinvolte nel rapporto processuale.
Ordinanza|| n. 28225. La confessione giudiziale non può sortire alcun effetto sulle altre parti anche collateralmente coinvolte nel rapporto processuale
Data udienza 20 giugno 2023
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa M. – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9468/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 139/2017, depositata il 15/02/2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2023 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
La confessione giudiziale non può sortire alcun effetto sulle altre parti anche collateralmente coinvolte nel rapporto processuale
PREMESSO
CHE:
1. Nel 1997 (OMISSIS) aveva convenuto in giudizio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi del fratello (OMISSIS), e (OMISSIS), chiedendo che fossero condannati alla restituzione della somma di 50 milioni di Lire da lei concessa in prestito ai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS). Si erano costituiti gli eredi di (OMISSIS); (OMISSIS) era rimasto contumace, ma si era presentato a rispondere all’interrogatorio formale. Con sentenza del 2 marzo 2011 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Grotto riteneva non prescritto il diritto fatto valere in giudizio e provata la pretesa creditoria; condannava cosi’ gli eredi di (OMISSIS) in solido con (OMISSIS) al pagamento di Euro 25.822,84.
2. La pronuncia di primo grado era impugnata da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Con la sentenza 15 febbraio 2017, n. 139, la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato in solido (OMISSIS) e gli eredi di (OMISSIS) pro-quota al pagamento di Euro 25.822,84. La Corte d’appello ha anch’essa ritenuto che la parte attrice avesse adempiuto all’onere di provare l’esistenza del credito e che il diritto di credito non si fosse prescritto; ha accolto invece la censura che lamentava la condanna in solido degli appellanti e la mancanza di motivazione sul punto, in quanto, essendo eredi, dovevano essere condannati pro-quota e non in solido.
2. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello.
Gli intimati indicati in epigrafe non hanno proposto difese.
Memoria e’ stata depositata dai ricorrenti.
La confessione giudiziale non può sortire alcun effetto sulle altre parti anche collateralmente coinvolte nel rapporto processuale
CONSIDERATO
CHE:
I. Il ricorso e’ articolato in quattro motivi, tra loro strettamente connessi:
1. il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all’attribuzione di prova legale alla confessione giudiziale del presunto debitore solidale-litisconsorte facoltativo; violazione e falsa applicazione degli articoli 116 c.p.c. e articoli 1308, 1309, 2733 e 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’accertamento della qualita’ di litisconsorte facoltativo nel rapporto controverso di (OMISSIS)”;
2. il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all’attribuzione di prova legale alla confessione giudiziale del presunto debitore solidale-litisconsorte facoltativo e a documenti privi di valore di prova e decisorieta’; violazione e falsa applicazione degli articoli 116 e 214 c.p.c. e articoli 1396, 1308, 1309, 2733 e 2697 c.c. con riferimento all’accertamento della consegna delle somme controverse”; secondo la Corte d’appello (OMISSIS) avrebbe dimostrato di avere consegnato a entrambi i fratelli la somma di Euro 50.000, ma ha posto – come gia’ il giudice di primo grado – alla base del proprio convincimento la confessione giudiziale resa dal presunto condebitore solidale al quale non era in realta’ opponibile e cinque tagliandi di assegni erroneamente ritenuti non disconosciuti;
3. il terzo motivo fa valere “violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all’attribuzione di prova legale alla confessione giudiziale del presunto debitore solidale-litisconsorte facoltativo e a documenti privi di valore di prova e decisorieta’; violazione e falsa applicazione degli articoli 116 e 214 c.p.c. e articoli 1396, 1308, 1309, 2733 e 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’accertamento dell’esistenza del contratto di mutuo”; la Corte d’appello ha tratto la prova dell’esistenza del contratto di mutuo inter partes esclusivamente sulla base della confessione resa da (OMISSIS);
4. il quarto motivo contesta “violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all’attribuzione di prova legale alla confessione giudiziale del presunto debitore solidale-litisconsorte facoltativo e a documenti privi di valore di prova e decisorieta’; violazione e falsa applicazione degli articoli 116 e 214 c.p.c. e articoli 1396, 1308, 1309, 2733 e 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’accertamento del decorso del termine prescrizionale”; la Corte d’appello non poteva ritenere opponibile ai ricorrenti la confessione di (OMISSIS), cosi’ che mancava qualsiasi prova dell’esistenza del presunto termine dilatorio per l’adempimento, con conseguente decorso del termine prescrizionale.
I primi tre motivi, che ruotano sulla negazione della opponibilita’ al loro dante causa della confessione resa dal fratello (OMISSIS), sono fondati. Ad avviso della Corte d’appello (OMISSIS) ha “ampiamente adempiuto all’onere, su di lei gravante, di provare l’esistenza del credito per il quale agiva” in quanto ha “depositato cinque tagliandi relativi ad assegni circolari che erano in suo possesso, nei quali vi era apposta la firma di (OMISSIS)”; inoltre (OMISSIS), “in sede di interrogatorio formale, ha ammesso di avere ricevuto, in solido col fratello (OMISSIS), la somma di Lire 50 milioni, in prestito dalla sorella, obbligandosi entrambi alla restituzione della somma nel termine di due anni, dando prova che la dazione della somma fu fatta a titolo di mutuo”. Il mutuante – ha proseguito la Corte – deve provare sia l’avvenuta consegna delle somme e del titolo della consegna, il che avrebbe fatto l’attrice producendo i tagliandi suddetti, gli atti di messa in mora e domandando che si procedesse all’interrogatorio formale”. Ad avviso del giudice d’appello, pertanto, le dichiarazioni rese da (OMISSIS), di essersi obbligato insieme con il fratello a restituire la somma data in prestito dalla sorella, costituirebbe prova del titolo della consegna. In tal modo il giudice d’appello non considera che “la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non puo’ acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette” (cosi’ Cass. n. 20476/2015, cfr. pure Cass. n. 38626/2021). Dalle risposte date da (OMISSIS) in sede di interrogatorio formale, il giudice d’appello non poteva pertanto – anche a volere ricavare la prova della dazione della somma dai cinque tagliandi relativi agli assegni circolari – trarre la prova che la somma era stata data a prestito al dante causa dei ricorrenti.
L’accoglimento dei primi tre motivi comporta l’assorbimento del quarto, che contesta l’efficacia nei confronti del dante causa dei ricorrenti del termine dilatorio di due anni per la restituzione della somma, termine la cui sussistenza il giudice di merito ha tratto sempre dalla confessione di (OMISSIS).
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Messina, che si atterra’ al principio di diritto sopra ricordato; il giudice di rinvio provvedera’ anche in relazione alle spese del presente giudizio.
La confessione giudiziale non può sortire alcun effetto sulle altre parti anche collateralmente coinvolte nel rapporto processuale
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi, assorbito il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione.
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