Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 19944.

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto.

Ordinanza|| n. 19944. Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

Data udienza  8 marzo 2023

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26929-2020 proposto da:

(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, domiciliata “ex lege” in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonche’ contro

(OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 233/2020 della Corte di Appello di Perugia, depositata il 25/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 08/03/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

RILEVATO CHE:

1. La societa’ (OMISSIS) S.r.l. ricorre, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 233/20, del 25 maggio 2020, della Corte di Appello di Perugia, che – accogliendo parzialmente il gravame esperito dalla societa’ (OMISSIS) S.r.l. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”) avverso la sentenza n. 673/17, del 10 aprile 2017, del Tribunale di Perugia – ha provveduto nei termini di seguito indicati, in relazione all’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla predetta societa’ (OMISSIS).

Per l’esattezza, il giudice di appello – in parziale accoglimento dell’iniziativa assunta ex articolo 645 c.p.c. – ha circoscritto in Euro 2.947,56 la condanna comminata a carico della societa’ (OMISSIS) e in favore della societa’ (OMISSIS) S.r.l. (gia’ (OMISSIS) S.r.l.), compensando integralmente le spese di ambo i gradi di giudizio quanto al loro rapporto processuale, ponendo le stesse, invece, a carico di (OMISSIS), quanto al rapporto intercorso tra di essa e (OMISSIS).

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che la societa’ (OMISSIS) in liquidazione otteneva – nella sua qualita’ di cessionaria di un credito per fornitura merci, vantato verso (OMISSIS) dalla cedente (OMISSIS) – il suddetto decreto ingiuntivo, per l’importo di Euro 13.859,35, allegando al ricorso monitorio le fatture nn. 56, 80, 82 e 115 del 2012, emesse da essa (OMISSIS).

Proponeva opposizione l’ingiunta (OMISSIS), deducendo, in particolare, l’inesistenza del credito relativo alle forniture di cui alle fatture nn. 80, 82 e 115 del 2012, essendo state le stesse oggetto di specifica contestazione rivolta a (OMISSIS), la quale con comunicazione a mezzo fax del 27 agosto 2012 riconosceva l’erronea emissione delle fatture in questione e si impegnava ad adottare le relative note di credito.

Costituitasi in giudizio, l’opposta gestione liquidatoria della societa’ (OMISSIS), oltre a resistere all’opposizione (anche attraverso disconoscimento ex articolo 2719 c.c. della documentazione prodotta in copia fotostatica dall’opponente), chiedeva e otteneva di essere autorizzata a chiamare in causa la cedente (OMISSIS), peraltro costituitasi in giudizio tardivamente.

All’esito dell’istruttoria, nel corso della quale il giudice di prime cure rivolgeva all’opponente (OMISSIS) – senza, pero’, che la stessa vi ottemperasse – ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c. (avente ad oggetto il libro giornale, il registro Iva Acquisti o Unico, il registro dei corrispettivi e il registro delle merci dell’anno 2012), l’opposizione veniva integralmente rigettata, con conferma del decreto ingiuntivo, nonche’ condanna di (OMISSIS), oltre che alla refusione delle spese di lite sostenute sia dalla creditrice opposta che dalla terza chiamata, al pagamento di Euro 3.500,00, in favore della prima, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c.

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

Esperito gravame dalla soccombente opponente, il giudice di appello lo accoglieva parzialmente, provvedendo nei termini gia’ sopra illustrati.

3. Avverso la sentenza della Corte umbra ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base – come detto – di sei motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) sia la nullita’ della sentenza per omessa motivazione sull’eccezione di inammissibilita’ dell’appello ex articolo 342 c.p.c., sollevata da essa (OMISSIS), sia la genericita’ dell’atto di appello formulato da (OMISSIS).

Evidenzia la ricorrente, attraverso la riproduzione delle conclusioni rassegnate nella comparsa di costituzione in appello (e in quella conclusionale), di aver formulato “due domande”, rispettivamente “inerenti una questione preliminare riguardante l’ammissibilita’ del gravame avversario, e l’altra attinente al merito”.

Orbene, il giudice di appello, lamenta la ricorrente, “tralascia totalmente la domanda preliminare omettendo qualsivoglia pronuncia sul punto”.

Ribadisce, inoltre, (OMISSIS) che dall’esame “letterale dell’atto di appello emerge chiaramente l’assenza degli elementi previsti dall’articolo 342 c.p.c.”, giacche’ nello stesso l’appellante “si limitava, del tutto genericamente, a sollevare la falsa applicazione del principio dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 c.c., deducendo contestazioni generiche e prive del necessario riferimento alle specifiche motivazioni della sentenza che si intendeva appellare”.

3.2. Il secondo motivo denuncia – sempre ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nullita’ della sentenza per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla considerazione del valore probatorio della documentazione prodotta in atti” da parte di essa (OMISSIS), nonche’ violazione dell’articolo 116 c.p.c..

Si duole la ricorrente della “omessa valutazione della documentazione prodotta”, ovvero, in particolare, della “corrispondenza attestante la consegna della merce”.

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

Si censura, difatti, la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che “la documentazione prodotta dal richiedente il decreto ingiuntivo (fatture e buoni di consegna non sottoscritti dall’acquirente) sebbene idonea ad ottenere il decreto ingiuntivo avrebbe dovuto essere integrata da altre prove a fronte dell’opposizione della debitrice di non aver mai ricevuto la merce”, prova ritenuta sussistente limitatamente “alla fattura n. 56 pari a Euro 2.947.56, in quanto in relazione a tale fattura l’opponente non ha espresso puntuale contestazione tanto da aver concluso in via subordinata per la riduzione del credito della societa’ istante a tale somma”.

Cosi’ argomentando, tuttavia, la Corte territoriale avrebbe “omesso di riportare nella motivazione assunta a fondamento della propria decisione sopra trascritta tutte le prove addotte dalla societa’ istante”, giacche’ la sussistenza del credito ingiunto sarebbe dimostrata non dalle sole fatture (diverse dalla n. 56 del 2012), ma da altri documenti, costituiti in particolare dai “buoni di consegna” e “in special modo” dalla “corrispondenza intercorsa tra le due societa’”, attestante “chiaramente sia la realizzazione che la consegna dei materiali indicati in fattura”.

Orbene, “della mancata valutazione di tale documentazione probatoria la Corte di Appello non fornisce alcuna spiegazione”.

3.3. Il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nullita’ della sentenza per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”, ovvero “l’inottemperanza all’ordine di esibizione dei registri contabili da parte della (OMISSIS)”.

3.4. Il quarto motivo denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nullita’ della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in combinato disposto con l’articolo 1218 c.c..

La ricorrente torna a censurare il passaggio della sentenza impugnata ove si afferma che “la documentazione prodotta dal richiedente il decreto ingiuntivo (fatture e buoni di consegna non sottoscritti dall’acquirente) sebbene idonea ad ottenere il decreto ingiuntivo avrebbe dovuto essere integrata da altre prove a fronte dell’opposizione della debitrice di non aver mai ricevuto la merce” di cui alle fatture nn. 80, 82 e 115 del 2012.

Con tale affermazione la Corte perugina avrebbe “assolutamente violato il principio di cui all’articolo 2697 c.c.”, atteso che, vertendosi in materia di responsabilita’ per inadempimento ex articolo 1218 c.c., il creditore opposto – attore in senso sostanziale, nel giudizio ex articolo 645 c.p.c. – ha solo “l’onere di provare il contratto ed allegare l’inadempimento”, sicche’, “cio’ assolto, spetta al preteso debitore allegare e provare di aver esattamente adempiuto”.

Nella specie, la societa’ ingiungente – come illustrato con i motivi secondo e terzo di ricorso – “ha dimostrato il proprio credito”, mentre altrettanto non potrebbe dirsi quanto al fatto estintivo dello stesso da provarsi da parte della societa’ opponente, la quale ha eccepito “la inesistenza del credito derivante dalle fatture nn. (OMISSIS) allegando la contestazione datata 2 agosto 2012 consegnata alla (OMISSIS)”, nonche’ “copia del fax di risposta della predetta societa’ datato 27 agosto 2012 con il quale si riconosceva l’errata emissione delle fatture in questione”, documentazione, tuttavia, “prima contestata ex articolo 2719 c.c., da parte della societa’ opposta, e quindi oggetto di specifico disconoscimento da parte della (OMISSIS)”, riferito, in particolare, al predetto fax, assumendo che esso “mai era stato sottoscritto dal proprio legale rappresentante”.

3.5. Il quinto motivo denuncia – anch’esso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – nullita’ della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2719 c.c., in ragione del “disconoscimento dei documenti” suddetti e del “mancato esperimento dell’istanza di verificazione da parte della societa’ opponente”.

Si rileva come l’allora appellante avesse dedotto – con il secondo motivo di gravame – di non poter “proporre istanza di verificazione dei documenti prodotti dalle opposte in quanto non documenti originali”, nonche’ l’impossibilita’ di avvalersi dell’articolo 2719 c.c. “per sconfessare l’efficacia probatoria del fax”, posto che per esso “manca un originale del documento”.

Assume la ricorrente l’erroneita’ della sentenza impugnata, perche’ “l’onere di produzione degli originali dei documenti disconosciuti dalla societa’ istante incombeva proprio sull’opposta”, sicche’ “la mancata allegazione da parte dell’opposta degli originali dei suindicati documenti doveva essere valutata”, dalla Corte di Appello, “non certo a favore della societa’ opponente ma semmai come elemento a riprova della non veridicita’ della documentazione prodotta dall’avversario”.

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

3.6. Infine, il sesto motivo denuncia – anch’esso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – nullita’ della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c..

La ricorrente censura la sentenza impugnata perche’, dall’accoglimento – ancorche’ parziale – dell’opposizione a decreto ingiuntivo, ha fatto discendere l’esclusione della responsabilita’ per lite temeraria, mentre la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere “palesemente la natura pretestuosa dell’opposizione avversaria”.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la societa’ (OMISSIS), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.

5. E’ rimasta solo intimata la societa’ (OMISSIS) in liquidazione.

6. La trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..

RITENUTO CHE:

7. Il ricorso va rigettato.

7.1. Il primo motivo – che consta di due censure – risulta, quanto alla prima, non fondato e invece, quanto alla seconda, inammissibile.

7.1.1. Invero, la prima censura, con cui la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilita’ dell’appello ex articolo 342 c.p.c. risulta non fondata.

A prescindere, infatti, dal rilievo che il vizio di omessa pronuncia e’ configurabile solo in relazione a domande o eccezioni sostanziali, non pure a eccezioni e questioni processuali (Cass. Sez. 3, sent. 15 aprile 2019, n. 10422, Rv. 653579-01; nello stesso senso Cass. Sez. 3, sent. 11 ottobre 2018, n. 25154, Rv. 651158-01; Cass. Sez. 2, ord. 25 gennaio 2018, n. 1876, Rv. 647132-01), deve rilevarsi che, nel caso di specie, ricorre, chiaramente, l’ipotesi del rigetto implicito dell’eccezione, sollevata dall’allora appellata, di difetto di specificita’ dei motivi di gravame. Difatti, deve qui ribadirsi che il “giudice non e’ tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’articolo 132, n. 4), c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'”iter” argomentativo seguito”, onde “il vizio di omessa pronuncia”, e’ “configurabile allorche’ risulti del tutto omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto” (da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 25 giugno 2020, n. 12652, Rv. 658279-01).

Di cio’, del resto, sembra essere consapevole la stessa ricorrente, la quale – non a caso – reitera in questa sede l’eccezione di inammissibilita’, per difetto di specificita’, dei motivi di gravame, e cio’ sull'(inespresso) presupposto che essa sia stata implicitamente rigettata.

7.1.2. Peraltro, nell’articolare tale censura (la seconda, appunto, oggetto del primo motivo del presente ricorso per cassazione), essa incorre nell’inammissibilita’ di cui all’articolo 366, comma 1, n 6) cod.proc.civ..

La ricorrente, infatti, non riproduce, neppure in via di sintesi, il contenuto dei motivi del gravame avversario dei quali – gia’ in appello e, nuovamente, nella presente sede di legittimita’ – assumeva (ed assume) il difetto di specificita’.

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

Di qui, pertanto, la necessita’ di dare corso ulteriore al principio secondo cui “la deduzione” – con il ricorso per cassazione “della questione dell’inammissibilita’ dell’appello, a norma dell’articolo 342 c.p.c.”, sebbene “integrante “error in procedendo”, che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimita’, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilita’ del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificita’ di cui all’articolo 366, comma 1, n. 4) e n. 6), c.p.c., che deve essere modulato, in conformita’ alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticita’ e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attivita’ del giudice di legittimita’ e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza” (cosi’ Cass. Sez. Lav., ord. 4 febbraio 2022, n. 3612, Rv. 663837-01).

7.2. Il secondo motivo e’ inammissibile, in relazione ad ambo le censure in cui – pure esso – si articola.

7.2.1. Quanto, infatti, al dedotto vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla considerazione del valore probatorio della documentazione prodotta in atti”, esso e’ formulato fuori dei limiti in cui e’, ormai consentita, la deduzione del vizio motivazionale.

Sul punto va rammentato che, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) il sindacato di questa Corte e’ destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonche’, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781 01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01).

Il difetto di motivazione e’, dunque, ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti “meramente apparente”, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonche’, piu’ di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01), o perche’ affetta da “irriducibile contraddittorieta’” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01). Ferma in ogni caso restando la necessita’ che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali” (cosi’, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata nonche’, di recente, Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 66412001), sulla base delle quali, invece, l’odierna ricorrente – donde l’inammissibilita’ della censura dalla stessa formulata – pretenderebbe di evidenziare il denunciato difetto motivazionale.

In altri termini, “il vizio di motivazione puo’ essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo piu’ consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali – acquisiti al rilevante probatorio – ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, in motivazione).

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

7.2.2. Inammissibile e’ anche la censura di violazione dell’articolo 116 c.p.c., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la violazione di detta norma ravvisabile solo quando “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01; lo stesso, piu’ di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonche’ Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre “ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione” (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02) e di cui si e’ gia’ detto, ovvero allorche’ ricorrano profili di irriducibile contraddittorieta’ o illogicita’ manifesta ricavabili “ab intrinseco”, ovvero dal testo stesso della motivazione.

Si tratta di principi ancora di recente ribaditi da questa Corte, essendo stato chiarito, una volta di piu’, che la violazione dell’articolo 116 c.p.c. non e’ denunciabile “quale apprezzamento non prudente della prova da parte del giudice, e cioe’ quale cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove” e cio’ “posto che le prove devono essere dal giudice valutate secondo il “suo” precisa l’articolo 116 prudente apprezzamento” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 17 novembre 2021, n. 34786, Rv. 663118-01).

Difatti, se e’ vero che l’uso “nella disposizione dell’aggettivo possessivo “suo” non ha il senso del rimando ad un’arbitrarieta’ soggettiva”, perche’ si tratta pur sempre “dell’attributo di un parametro di riferimento, e cioe’ quello del “prudente” apprezzamento” (visto che, con riferimento a quello compiuto dal giudice, la “legge non parla di “suo apprezzamento”, ma di “suo prudente apprezzamento””), resta, nondimeno, inteso che e’ proprio da tale declinazione in termini soggettivi del prudente apprezzamento della prova che deriva “il fondamento della liberta’, e non sindacabilita’ in sede di legittimita’, della funzione giudiziale prevista dall’articolo 116”, con l’ulteriore conseguenza che il “controllo sul giudizio di fatto resta affidato all’impugnazione di merito che caratterizza il giudizio di appello, il quale costituisce, come e’ noto, non un sindacato sull’atto (il provvedimento giurisdizionale di primo grado), ma un giudizio direttamente sul rapporto dedotto in giudizio” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 34786 del 2021, cit.).

In conclusione, l’articolo 116 c.p.c. fonda “l’autonomia del giudizio del giudice di merito in ordine ai fatti della causa, quale corollario, nel processo civile, dei valori costituzionali di autonomia e indipendenza dell’autorita’ giudiziaria (Cost., articolo 104)” (cosi’, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 34786 del 2021, cit.).

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

7.3. Il terzo motivo e’ inammissibile.

7.3.1. Esso, infatti, pretende di ricondurre alla fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) l’omesso esame di un fatto processuale, ovvero l’inottemperanza di (OMISSIS) all’ordine di esibizione.

Tuttavia, il vizio di “omesso esame” e’ ipotizzabile quando l’omissione investa un “fatto vero e proprio” (non una “questione” o un “punto” della sentenza) e, quindi, “un fatto principale, ex articolo 2697 c.c. (cioe’ un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioe’ un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purche’ controverso e decisivo” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 65, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01), vale a dire “un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico” (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), “un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto” (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 629647-01), e “come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni” (Cass. Sez, 6-1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01).

7.4. Il quarto motivo non e’ fondato.

7.4.1. Se e’ vero, infatti, che in materia di responsabilita’ per inadempimento il creditore e’ tenuto solo a fornire la prova del titolo negoziale della sua pretesa e (semplicemente) ad allegare il fatto dell’inadempimento del debitore, siffatto principio non puo’ ritenersi violato dalla sentenza impugnata, donde la non fondatezza della censura di violazione dell’articolo 2697 c.c.

La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto che i documenti – di provenienza unilaterale dal creditore, ovvero le fatture commerciali e i buoni di consegna della merce, non sottoscritti dall’acquirente – allegati al ricorso per ingiunzione, sebbene idonei a consentire l’emissione del provvedimento monitorio, non potessero costituire prova del credito (o meglio, del suo titolo negoziale), a fronte della contestazione delle forniture operata dalla debitrice, nel successivo giudizio ex articolo 645 c.p.c..

Nel pervenire a siffatta conclusione, la sentenza qui impugnata oltre a conformarsi ad un orientamento consolidato di questa Corte (cfr., da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 6-3, ord. 11 marzo 2011, n. 5915, Rv. 617411-01) non ha disatteso la regola sulla ripartizione dell’onere probatorio, come invece lamentato dalla ricorrente, la quale insiste nel sottolineare che la debitrice ingiunta avrebbe dovuto dimostrare il fatto estintivo dell’obbligazione. La valutazione del giudice di appello, infatti, si e’ arrestata “a monte”, avendo esso ritenuto che quei documenti di provenienza unilaterale dal (supposto) creditore non fossero idonei a provare onere, appunto, gravante su chi assuma di essere creditore il titolo negoziale della sua pretesa.

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

7.5. Il quinto motivo e’, invece, inammissibile.

7.5.1. La Corte territoriale, proprio perche’ ha escluso l’esistenza di una prova idonea – nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – a dimostrare le prestazioni di fornitura merci di cui alle fatture nn. 80, 82 e 115 del 2012, non ha affrontato la questione relativa al disconoscimento della conformita’, agli originali, dei documenti (in particolare, il fax del 27 agosto 2012 a firma, asseritamente, del rappresentante della societa’ fornitrice) attestanti la non esecuzione di quelle prestazioni, e dunque, con essa, la ulteriore questione relativa sia alla omessa esibizione degli originali di quei documenti, sia, soprattutto, agli effetti destinati a scaturire da tale omissione. La sentenza impugnata, infatti, ha ritenuto – non a caso – assorbito il motivo di gravame (il terzo) che verteva su tale questione.

Ne consegue, dunque, che il presente motivo investe una questione che e’ rimasta estranea alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, donde la sua inammissibilita’. (Cass. Sez. 61, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01).

7.6. Infine, anche il sesto motivo risulta inammissibile.

7.6.1. Esso lamenta, infatti, la mancata condanna dell’opponente ex articolo 96 c.p.c. sul presupposto (escluso dal giudice di appello, del tutto logicamente, per il solo fatto di aver accolto, seppur parzialmente, l’opposizione a decreto ingiuntivo) che l’iniziativa ex articolo 645 c.p.c. fosse, invece, pretestuosa.

Il motivo non ha, dunque, autonoma rilevanza, perche’ si limita ad affermare l’erroneita’ della decisione di non comminare la ridetta condanna per lite temeraria, e cio’ sull’assunto della (asserita) pretestuosita’ dell’opposizione, donde la sua inammissibilita’, risolvendosi, in definitiva, in un “non motivo” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 57956401; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonche’, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).

8. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.

9. In ragione del rigetto del ricorso, sussiste, a carico della ricorrente, l’obbligo di versare, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

Nel giudizio di opposizione la fattura non costituisce prova dell’esistenza del credito

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna La societa’ (OMISSIS) S.r.l. a rifondere, alla societa’ (OMISSIS) S.r.l., le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.

Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti,  non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *