Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18334.
Comodato e le obbligazioni a carico del comodante e del comodatario
Il contratto di comodato prevede obbligazioni non solo a carico del comodatario, ma anche a carico del comodante, tra le quali figura quella di “lasciar godere il comodatario” della cosa oggetto del contratto medesimo. Tale obbligo non si risolve nel generico divieto del “neminem laedere”, perché il “lasciar godere” è condotta che comporta taluni obblighi di fare e di non fare che possono essere assolti solo dal comodante, e non da chiunque. Ne costituiscono esempi l’obbligo di restituire la cosa al comodatario, se questi la perda ed il comodante la riacquisti, e l’obbligo di non arrecare turbative di diritto al comodatario. Corollario del divieto di arrecare turbative di diritto al comodatario è l’obbligo di astenersi dal recedere “ante tempus”, in mancanza di bisogni urgenti ed imprevisti in conformità agli obblighi di correttezza e buona fede. In particolare, il giudizio sulla esistenza di tale bisogno imprevisto ed urgente del comodante, quando il comodato sia soggetto a termine, deve essere compiuto comparando il bisogno che il comodante intende soddisfare attraverso la richiesta di restituzione, con il pregiudizio che il comodatario dovrà sopportare per effetto di questa; comparando il rischio cui sarebbe esposto il comodante se non gli fosse restituita la cosa, con il rischio cui sarebbe esposto il comodatario se di quella fosse privato “ante tempus”; ed infine comparando le alternative possibili per ciascuna delle parti (Nel caso di specie, relativo ad un contratto di comodato di lunga durata di beni con specifica destinazione aziendale, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata per avere la corte territoriale omesso di effettuare la richiamata comparazione, non tenendo in alcun conto – né per accoglierle, né per rigettarle – le deduzioni svolte dalla società ricorrente circa l’impatto del rilascio sullo svolgimento dell’attività d’impresa, e, di conseguenza, omettendo di valutare, se, all’esito di tale giudizio comparativo, la restituzione richiesta dal controricorrente potesse ritenersi conforme a buona fede)
Ordinanza|| n. 18334. Comodato e le obbligazioni a carico del comodante e del comodatario
Data udienza 29 marzo 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Comodato – Obblighi delle parti – Dovere di buona fede – Comodato di bene inserito in una azienda commerciale – Rilascio – Fattispecie
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GIANNITTI Pasquale – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. TASSONE Stefania – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 12539/2020 proposto da:
-) (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura speciale apposta in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari 28 gennaio 2020 n. 2092;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 marzo 2023 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
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FATTI DI CAUSA
1. Il 18 ottobre 2007 (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) concessero in comodato alla societa’ (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l. (d’ora innanzi, “la (OMISSIS)”) alcuni beni immobili affinche’ fossero utilizzati nell’esercizio dell’attivita’ d’impresa da questa esercitata.
Con ricorso ex articolo 447-bis c.p.c. del 2 giugno 2017 (OMISSIS), allegando di essere receduto dal contratto di comodato ai sensi dell’articolo 1809 c.c., domando’ la restituzione di alcuni dei beni concessi in comodato, sull’assunto che fossero di sua esclusiva proprieta’.
Si costitui’ in giudizio la societa’ (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda e, in subordine, la condanna del ricorrente al pagamento di Euro 115.079 a titolo di ingiustificato arricchimento per interventi manutentivi eseguiti dalla societa’ sui beni reclamati dall’attore.
2. Il Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Apricena, rigetto’ la domanda principale con sentenza del 2 dicembre 2016, n. 3424.
Il giudice di primo grado ritenne che i beni concessi in comodato fossero oggetto di comunione tra tutti i comodanti, e che di conseguenza il ricorrente non fosse legittimato a recedere individualmente dal contratto, perche’ vi era la prova dell’opposizione al recesso degli altri comodanti.
3. (OMISSIS) propose appello, deducendo che i beni di cui chiedeva il rilascio fossero in realta’ di sua esclusiva proprieta’. In corso di causa l’appellante chiese, con ricorso ex articolo 700 c.p.c., il rilascio del compendio immobiliare.
Si costitui’ in giudizio la (OMISSIS), chiedendo il rigetto dell’impugnazione e della domanda cautelare, e riproponendo la domanda subordinata di arricchimento sine causa.
2. La Corte d’appello di Bari, dopo avere rigettato l’istanza cautelare, con sentenza 28 gennaio 2020, n. 2092 accolse l’appello, condanno’ la (OMISSIS) al rilascio dei beni e rigetto’ la domanda riconvenzionale di arricchimento ingiustificato.
La sentenza ha fondato la decisione sulla seguente ricostruzione dei fatti:
-) col contratto di comodato i vari comodanti avevano concesso in godimento alla societa’ piu’ beni immobili, alcuni di proprieta’ comune, altri di proprieta’ esclusiva del ricorrente;
-) (OMISSIS) pertanto poteva recedere individualmente dal contratto limitatamente a tali ultimi beni;
-) sussisteva il bisogno urgente e impreveduto, presupposto di legittimita’ del recesso ex articolo 1809 c.c., perche’:
a) tre anni dopo la stipula del comodato il ricorrente era stato licenziato dalla societa’ comodataria, presso cui lavorava e di cui era amministratore, trovandosi cosi’ in difficolta’ economica;
b) il ricorrente non aveva trovato una nuova occupazione stabile, ma si era limitato a delle sporadiche collaborazioni non regolarmente retribuite presso una societa’ amministrata dal suo coniuge;
c) il ricorrente aveva anche subito un peggioramento delle proprie condizioni di salute.
La Corte d’appello rigetto’ infine la domanda riconvenzionale proposta dalla (OMISSIS), ritenendo che le spese da questa sostenute per la manutenzione dei beni comodati “erano state effettuate prima della stipula del contratto”, e pertanto ad avviso della Corte non potevano essere rimborsate.
3. La societa’ (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la
suddetta sentenza d’appello, fondato su nove motivi ed illustrato da
memoria.
Ha resistito con controricorso (OMISSIS).
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo.
Col primo motivo la societa’ ricorrente lamenta la nullita’ della sentenza per violazione del litisconsorzio necessario.
In breve, la societa’ sostiene una tesi cosi’ riassumibile:
a) tutti e tre i comodanti avevano sottoscritto congiuntamente il contratto di comodato; essi pertanto costituivano un’unica parte contrattuale soggettivamente complessa;
b) lo scioglimento del contratto ha avuto effetti sulla sfera giuridica di tutte le parti;
c) dunque (OMISSIS) avrebbe dovuto proporre il ricorso anche nei confronti degli altri comodanti.
A sostegno dell’ammissibilita’ del motivo, la societa’ ricorrente ha dedotto di aver eccepito il difetto del contraddittorio gia’ con la comparsa di costituzione in appello e ne ha trascritto il contenuto.
1.1 Il motivo e’ inammissibile, perche’ non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte d’appello infatti (p. 3, primo capoverso) ha interpretato il contratto di comodato ritenendolo non gia’ un negozio in cui piu’ comproprietari hanno concesso in comodato beni comuni; ma un negozio in cui piu’ soggetti – tra cui (OMISSIS) – hanno concesso in comodato i beni di rispettiva proprieta’ esclusiva: dunque un negozio plurilaterale, e non un negozio bilaterale a parte complessa.
Questa interpretazione del contratto non e’ stata oggetto di censura.
2. Il secondo motivo.
Col secondo motivo, rubricato ex articolo 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli articoli 99, 112, 113 e 115 c.p.c., la societa’ ricorrente formula piu’ censure frammiste.
Secondo l’unica interpretazione che questa Corte ritiene possibile delle pp. 11-17 del ricorso, con questo motivo la ricorrente intende sostenere che:
a) la Corte d’appello ha errato nel qualificare la domanda proposta da (OMISSIS) come azione di restituzione ex commodato. Piuttosto, doveva essere qualificata come rivendica, oppure come azione di accertamento dei confini tra i beni di proprieta’ comune e di proprieta’ esclusiva;
b) la Corte d’appello non ha rilevato l’illegittima mutatio libelli compiuta dall’attore-appellante, il quale:
b’) in primo grado aveva richiesto la restituzione dell’intero compendio immobiliare aziendale, composto da uffici, capannone, deposito carburante, piazzale e discarica;
b”) in appello, col pretesto di un errore catastale, aveva mutato l’oggetto della domanda, chiedendo la restituzione di un bene con diverso numero di mappale.
La societa’ ricorrente deduce che, in tale modo, il thema decidendum nel giudizio di appello non era piu’ la restituzione ex commodato di alcuni beni, ma l’incertezza sull’appartenenza, esclusiva o comune, dei beni del compendio comodato;
c) la Corte d’appello ha accolto la domanda di restituzione nonostante l’attore non avesse validamente provato il diritto di proprieta’ esclusiva sui beni oggetto del contendere.
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2.1. Tutte le censure sono infondate.
L’attore ha allegato di essere proprietario esclusivo dei beni concessi in comodato, e la Corte d’appello l’ha ritenuto proprietario esclusivo dei beni concessi in comodato.
Di conseguenza:
-) non vi fu ultrapetizione;
-) non vi fu erronea qualificazione della domanda;
-) lo stabilire se l’attore avesse o non avesse provato di essere proprietario dei beni di cui chiedeva la restituzione e’ questione di fatto e concernente la valutazione delle prove, come tale insindacabile in questa sede;
-) non costitui’ inammissibile mutamento della domanda l’allegazione secondo cui la pubblica amministrazione aveva mutato i numeri identificativi dele particelle catastali. La domanda, infatti, rimase immutata: la riconsegna dei beni “oggetto del contratto”.
Se poi l’attore, indicando nuovi e diversi dati catastali, avesse inteso maliziosamente acquisire beni non di sua proprieta’, questa era questione di puro fatto che spettava al giudice di merito accertare, e che la Corte d’appello ha risolto in modo tranchant cosi’ ragionando:
-) il contratto di comodato indica gli estremi catastali dei beni che ne formano oggetto;
-) l’attore sostiene che i competenti uffici nelle more del giudizio avevano modificato il numero delle particelle;
-) nell’impossibilita’ di stabilire se cio’ sia vero, la comodataria va condannata a rilasciare i beni “oggetto del contratto”;
-) in caso di contrasti sulla individuazione di tali beni spettera’ al giudice dell’esecuzione dirimerli.
Dunque la Corte non ha affatto condannato la soccombente a restituire beni diversi da quelli indicati in citazione. Ha condannato la soccombente a restituire gli stessi beni indicati nella citazione, demandando al giudice dell’esecuzione il compito di accertare i nuovi identificativi catastali.
Lo stabilire, poi, se una simile (invero singolare) condanna per relationem possa essere consentita non e’ questione prospettata col motivo in esame, e che pertanto non puo’ essere esaminata da questa Corte.
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3. Il terzo motivo.
Il terzo motivo denuncia la nullita’ della sentenza impugnata per
violazione dell’articolo 437, comma 2, c.p.c..
Nella illustrazione del motivo la ricorrente sostiene una tesi cosi’
riassumibile:
a) la domanda proposta in primo grado si fondava sul contratto di comodato e aveva ad oggetto la restituzione di tutti gli immobili concessi in godimento;
b) con l’atto d’appello (OMISSIS) ha invocato presunti errori catastali e ha chiesto la restituzione di immobili diversi allegando la proprieta’ esclusiva di essi;
c) dunque l’attore ha inammissibilmente mutato la domanda per petitum e causa petendi, senza che la Corte d’appello lo abbia rilevato.
3.1 Il motivo e’ infondato, per le medesime ragioni esposte nei §§ 2 e ss. che precedono.
4. Il quarto motivo.
Col quarto motivo, rubricato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’articolo 112 c.p.c. e, in subordine, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 per violazione degli articoli 2697 c.c., 414, 115 e 116 c.p.c., la societa’ reitera le medesime doglianze dei motivi precedenti.
La ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia accolto la domanda di (OMISSIS), nonostante:
a) l’oggetto della sua domanda fosse pretestuosamente mutato dal primo al secondo grado;
b) neppure la Corte d’appello fosse riuscita a individuare correttamente i beni oggetto della domanda, rinviando tale attivita’ al giudice dell’esecuzione;
c) il contratto di comodato non facesse alcun riferimento a beni di proprieta’ esclusiva di (OMISSIS);
d) in subordine, l’attore non avesse mai provato la proprieta’ esclusiva su detti beni.
4.1. Il motivo e’ infondato, perche’ ripropone le stesse censure dei precedenti due motivi.
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5. Il quinto motivo.
Col quinto motivo la ricorrente deduce la violazione dell’articolo 1809 c.c..
Il motivo contiene tre censure cosi’ riassumibili:
a) la Corte d’appello ha errato nel ritenere dimostrata da parte di (OMISSIS) la sussistenza d’uno stato di bisogno imprevisto e urgente;
b) la Corte d’appello ha frainteso la nozione di urgente e impreveduto bisogno, che consiste esclusivamente in un’impellente esigenza personale, e non nel bisogno di procurarsi un utile con una diversa opportunita’ di impiego del bene concesso in comodato;
c) nel valutare la sussistenza del bisogno urgente ed imprevisto la Corte d’appello avrebbe dovuto anche considerare la destinazione industriale del bene dato in comodato, cosi’ da contemperare equamente i contrapposti interessi del comodante e della comodataria nel giudizio sulla legittimita’ del recesso.
5.1. La censura sub a) e’ inammissibile.
Con essa la ricorrente tenta di provocare un nuovo giudizio di fatto sull’esistenza delle circostanze invocate da (OMISSIS), giudizio non consentito in sede di legittimita’.
5.2. La censura sub b) e’ infondata.
L’esatta perimetrazione del presupposto di legittimita’ del recesso e’ una questione affrontata piu’ volte dalla giurisprudenza di legittimita’, soprattutto in relazione al peculiare caso del comodato della casa di abitazione coniugale. Gli esiti interpretativi cui e’ giunta la giurisprudenza hanno carattere generale, e sono validi per tutti i casi di comodato.
Nello specifico, con la sentenza Sez. U, Sentenza n. 20448 del 29/09/2014, le Sezioni Unite hanno affermato che la causa commodati, benche’ gratuita, garantisce la stabile tutela dell’interesse del comodatario al godimento del bene fino allo scadere del termine.
L’articolo 1809 c.c. infatti non da’ tutela a ogni esigenza del comodante di rientrare in possesso del bene dato in comodato. Cio’ perche’ l’assunzione negoziale dell’impegno di far godere la cosa al comodatario fino a un dato termine e’ vincolante e fa ritenere che il comodante non prevedesse di volere o dovere alienare il bene.
L’articolo 1809 c.c. contiene un criterio di equo contemperamento dei contrapposti interessi: l’interesse del comodante a rientrare in possesso del bene prevale su quello del comodatario solo di fronte al sopravvenire di un bisogno che sia urgente e impreveduto.
Le Sezioni Unite hanno affermato che il connotato essenziale del bisogno legittimante il recesso non e’ qualitativo, ma cronologico. Cio’ significa che il bisogno, sebbene non pretestuoso, voluttuario o artificiosamente indotto, non per forza deve essere grave.
Piuttosto, deve essere imprevisto, ossia sopravvenuto rispetto al contratto. Inoltre, deve essere urgente, ossia attuale e concreto al momento del recesso.
Da cio’ discende che il bisogno ben puo’ consistere nel deterioramento della situazione economica del comodante, che gli imponga urgentemente di rientrare in possesso del bene per disporne in modo piu’ redditizio. Dunque l’interesse del comodante protetto dall’articolo 1809 c.c. non necessariamente implica il bisogno di un uso diretto del bene comodato.
Per quanto sinteticamente, in motivazione la Corte d’appello ha dato conto della sussistenza di un bisogno conforme all’articolo 1809 c.c.
L’errore in cui incorre la societa’ ricorrente e’ di considerare legittime le sole istanze del comodante di uso personale del bene comodato. Cio’ non e’ esatto, perche’ anche la necessita’ di un impiego redditizio del bene e’ tutelata, se tale impiego serve a rimediare ad un deterioramento della situazione patrimoniale del comodante imprevisto e urgente.
5.3. La censura sub (c), per la affinita’ con quella prospettata col settimo motivo, sara’ esaminata unitamente a quest’ultimo.
6. Il sesto motivo
Il sesto motivo, rubricato ex articolo 360 c.p.c., n. 4, denuncia la violazione dell’articolo 132, comma 2, n. 4 c.p.c. per motivazione apparente.
La ricorrente lamenta l’omessa valutazione delle prove testimoniali, da cui emergeva che la nuova attivita’ lavorativa di (OMISSIS) presso l’azienda della moglie non era meramente occasionale.
6.1 Il motivo e’ manifestamente inammissibile, perche’ censura la valutazione delle prove.
7. Il settimo motivo
Col settimo motivo, rubricato ex articolo 360 c.p.c., n. 5, la societa’ lamenta l’omesso esame del fatto decisivo, costituito dalla destinazione aziendale dei beni comodati.
La ricorrente sostiene una tesi cosi’ riassumibile:
a) il contratto stipulato dalle parti non era un semplice precario, ma un comodato di lunga durata di beni con specifica destinazione aziendale;
b) l’articolo 1809 c.c. sottende un bilanciamento degli interessi di comodante e comodatario;
c) il giudice di seconde cure ha errato perche’ non ha affatto considerato, nel bilanciamento, il peso della specifica destinazione aziendale.
7.1 Il motivo, che va esaminato insieme alla terza censura del quinto motivo, e’ fondato.
Il contratto di comodato, secondo la dottrina che piu’ approfonditamente se ne e’ occupata, prevede obbligazioni non solo a carico del comodatario, ma anche a carico del comodante: tra queste, quella di “lasciar godere il comodatario” della cosa oggetto del contratto.
Tale obbligo non si risolve nel generico divieto del neminem laedere, perche’ il “lasciar godere” e’ condotta che comporta taluni obblighi di fare e di non fare che possono essere assolti solo dal comodante, e non da chiunque.
Ne sono esempi l’obbligo di restituire la cosa al comodatario, se questi la perda e il comodante la riacquisti; cosi’ come l’obbligo di non arrecare turbative di diritto al comodatario.
Corollario del divieto di arrecare turbative di diritto al comodatario e’ l’obbligo di astenersi dal recedere ante tempus, in mancanza di bisogni urgenti ed imprevisti.
Che questo sia un obbligo contrattuale si desume anche dall’interpretazione storica: l’articolo 1816 del c.c. del 1865 infatti stabiliva che, in presenza di bisogni urgenti ed imprevisti del comodante, il giudice “poteva” pronunciare la risoluzione del contratto.
Oggi il diritto di recesso e’ attribuito dalla legge, e non piu’ accordato dal giudice: ma, proprio per questo, a fronte del piu’ penetrante diritto del comodante di recedere, deve stare il diritto del comodatario di contrastare il recesso immotivato o compiuto per fini puramente emulativi.
7.2. Se quello di non recedere pretestuosamente e’ un obbligo contrattuale e non un generale dovere, anch’esso andra’ adempiuto – come tutte le obbligazioni contrattuali – con correttezza e buona fede.
Quest’obbligo di uberrima bona fides ha per corollario che il giudizio sulla esistenza del bisogno imprevisto ed urgente del comodante, quando il comodato sia soggetto a termine, debba essere compiuto comparando il bisogno che il comodante intende soddisfare attraverso la richiesta di restituzione, con il pregiudizio che il comodatario dovra’ sopportare per effetto di questa; comparando il rischio cui sarebbe esposto il comodante se non gli fosse restituita la cosa, col rischio cui sarebbe esposto il comodatario se di quella fosse privato ante tempus; ed infine comparando le alternative possibili per ciascuna delle parti.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha omesso di effettuare questa comparazione, non tenendo in alcun conto – ne’ per accoglierle, ne’ per rigettarle – le deduzioni svolte dalla societa’ ricorrente circa l’impatto del rilascio sullo svolgimento dell’attivita’ d’impresa, e di conseguenza omettendo di valutare, se, all’esito di tale giudizio comparativo, la restituzione richiesta da (OMISSIS) potesse ritenersi conforme a buona fede.
7.3. Reputa necessario la Corte aggiungere che il dovere di buona fede e’ ovviamente bilaterale.
Dunque da un lato esso puo’ ostare all’esercizio del diritto di recesso da parte del comodante, quando l’esercizio di tale diritto risulti soggettivamente compiuto per fini emulativi, e oggettivamente produttivo di un nocumento al comodatario ben maggiore di quello che patirebbe il comodante se il bene non gli fosse restituito.
Dall’altro lato, pero’, il dovere di buona fede grava anche sul comodatario ed informa l’adempimento dell’obbligo di restituzione. Tale obbligo, pertanto, non potrebbe essere ritardato sine die invocando la violazione dei principi della correttezza da parte del comodante. Anche il comodatario infatti e’ tenuto, ai sensi dell’articolo 1375 c.c., ad attivarsi affinche’ il ritardo nella restituzione, se pur giustificato alla luce dei principi appena esposti, sia contenuto nel minor tempo possibile.
E’ dunque compito del giudice di merito, per stabilire se sia legittima la domanda di restituzione formulata dal comodante ai sensi dell’articolo 1809, comma 2, c.c., valutare da un lato se restituzione sia stata richiesta in buona fede; ed in caso negativo, valutare altresi’ se il rifiuto del comodatario di restituire la cosa, pur legittimo al momento in cui il comodante ne chiese la restituzione, non sia per avventura divenuto illegittimo – per contrarieta’ al dovere di buona fede – col trascorrere del tempo.
8. L’ottavo motivo
Con l’ottavo motivo la societa’ ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda riconvenzionale di arricchimento senza causa.
Nell’illustrazione del motivo e’ sviluppata una censura cosi’ riassumibile:
-) tra (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) furono stipulati due contratti di comodato aventi ad oggetto i medesimi beni: uno dal 2004 al 2007, l’altro dal 2007 in poi;
-) la societa’ (OMISSIS) nel 2005 aveva eseguito lavori di
ristrutturazione sui beni concessi in comodato da (OMISSIS);
-) questa circostanza non era stata contestata da (OMISSIS); -) la Corte d’appello rigetto’ la domanda riconvenzionale della (OMISSIS) sul presupposto che le spese da questa sostenute per ristrutturare gli immobili di (OMISSIS) erano state sostenute prima della stipula del contratto di comodato;
-) cosi’ giudicando, pero’, la Corte era incorsa in un duplice errore:
a) avere adottato una motivazione incomprensibile;
b) avere trascurato di considerare che il contratto di comodato stipulato nel 2007 non era che la prosecuzione (novazione-) di un comodato preesistente, e che dunque le suddette spese si dovevano ritenere sostenute in pendenza del rapporto di comodato.
8.1. La censura non resta assorbita dall’accoglimento del quinto e del settimo motivo di ricorso. Infatti, anche se il giudice di merito dovesse tornare ad esaminare le legittimita’ del recesso del comodante, cio’ non farebbe venir meno il diritto del comodatario alla rifusione delle spese per le migliorie, si vera sunt exposita.
8.2. La censura di nullita’ della sentenza ex articolo 132 c.p.c. e’ fondata.
La Corte d’appello, investita da una domanda di ingiustificato arricchimento, doveva decidere se la (OMISSIS) aveva o non aveva sostenuto spese per migliorare gli immobili di (OMISSIS); se tali spese avevano impoverito la societa’ e arricchito (OMISSIS); se vi era nesso di causa tra l’impoverimento dell’una e l’arricchimento dell’altro.
La Corte d’appello ha rigettato tuttavia la domanda affermando che “le spese erano anteriori al comodato”.
Motivazione obiettivamente incomprensibile, dal momento che non v’e’ alcuna relazione tra l’esistenza d’un rapporto di comodato e il diritto dell’impoverito al pagamento dell’indennizzo previsto dall’articolo 2041 c.c.. Se infatti taluno si impoverisce con vantaggio altrui, avra’ diritto all’indennita’ a prescindere dal momento in cui sia avvenuto l’impoverimento.
8.3. La censura di omesso esame del fatto decisivo resta assorbita.
9. Il nono motivo.
Con l’ultimo motivo la societa’ denuncia la nullita’ della sentenza per vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’articolo 158 c.p.c..
Deduce che il collegio giudicante era costituito, oltre che da due magistrati togati, anche da un giudice onorario, l’avv. (OMISSIS), che fu estensore della sentenza.
Quest’ultimo pero’ non avrebbe potuto rivestire tale ruolo, perche’ le norme di legge (articoli 62-72, Decreto Legge 69/2013) che consentono la partecipazione di giudici ausiliari ai collegi d’appello sono incostituzionali, in quanto finalizzate non a fronteggiare una situazione emergenziale, ma a introdurre una riforma strutturale della giurisdizione in contrasto con gli articoli 106, comma 2, 111 e 25 Cost..
9.1 Il motivo e’ infondato, alla luce della sentenza della Corte costituzionale 17.3.2021 n. 41.
10. Le spese del presente giudizio di legittimita’ saranno liquidate dal giudice del rinvio.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) accoglie il quinto (nei limiti di cui in motivazione), il settimo e l’ottavo motivo di ricorso; rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
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