Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 18217.
La liquidazione equitativa del danno da diffamazione a mezzo stampa
L’impiego, per la liquidazione equitativa del danno da diffamazione a mezzo stampa, dei criteri della “tabella di Milano” impone al giudice di dar conto, nella motivazione, dell’effettivo riscontro degli elementi di fatto riferibili a detta tabella, ai fini della riconduzione della fattispecie concreta ad una delle fasce di gravità ivi contemplate. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva apoditticamente ricondotto la diffamazione alla categoria di quelle di tenue gravità, omettendo, da un lato, qualsivoglia riferimento ai relativi parametri tabellari e, dall’altro, la considerazione di alcune circostanze di fatto, acquisite al giudizio, che si ponevano palesemente in contrasto con i suddetti parametri).
Sentenza|| n. 18217. La liquidazione equitativa del danno da diffamazione a mezzo stampa
Data udienza 26 maggio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilità civile – Diffamazione – Risarcimento danni – Tabelle milanesi – Artt. 1226, 2043, 2056 e 2059 cc – Responsabilità colposa – Art. 57 cp
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20224/2020 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) Spa, in persona del Procuratore Speciale, (OMISSIS) Direttore Responsabile del quotidiano (OMISSIS), (OMISSIS) giornalista, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 497/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 27/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2023 dal Consigliere Pasquale Gianniti.
La liquidazione equitativa del danno da diffamazione a mezzo stampa
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza n. 598/2020 della Corte d’appello di Catania che, a conferma della sentenza n. 4070/2018 del Tribunale di quella stessa citta’, ha accertato la responsabilita’ civile dei convenuti (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione al contenuto diffamatorio dell’articolo pubblicato il 1 ottobre 2010 sulla edizione siciliana del quotidiano (OMISSIS), ma, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, in punto di quantum, ha ridotto ad Euro 10 mila la somma dovuta solidalmente dagli originari convenuti in suo favore a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, mentre ha escluso che sia dovuto alcunche’ a titolo di risarcimento del danno patrimoniale.
2. Questi in sintesi i fatti.
(OMISSIS) e’ un geologo specializzato in meccanica delle rocce, che dal 1982 lavora con imprese private ed enti pubblici.
In data 1 ottobre 2010 veniva pubblicato sulla edizione siciliana del quotidiano (OMISSIS) ( (OMISSIS) s.p.a. – (OMISSIS), gia’ (OMISSIS) s.p.a.) un articolo, reiterato il giorno successivo, a firma del giornalista (OMISSIS), dal titolo “Un colletto bianco nell’inchiesta su (OMISSIS)”, nel quale l’autore riferiva che il “geologo (OMISSIS)” era stato iscritto nel registro degli indagati in relazione ad una imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa.
(OMISSIS), appresa la notizia della pubblicazione dell’articolo di cui trattasi, veniva colto da un malore, per il quale riceveva cure presso l’Ospedale Garibaldi, Divisione di Cardiologia.
Tre giorni dopo l’evento dannoso (dunque, in data 04.10.2010), veniva comunicato a (OMISSIS) da parte della societa’ (OMISSIS) che: “a seguito dei noti articoli di stampa riportati sul quotidiano (OMISSIS), che la riguardano in prima persona, considerata la delicatezza dell’argomento, pur manifestando la nostra stima nei suoi confronti e sulle sue capacita professionali, si ritiene opportuno in questo periodo sospendere la nostra collaborazione professionale per i danni che tutto cio’ ci puo’ arrecare”.
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Nella mattina del 13.10.2010 (OMISSIS) si recava nel territorio di (OMISSIS) per effettuare, per conto della Protezione Civile, delle misurazioni, e, nell’occasione, apprendeva da un suo collaboratore che numerosi abitanti del luogo gli avevano riferito di aver letto la notizia che il (OMISSIS) era stato arrestato perche’ era un mafioso. Frustrato e confuso, saliva in auto per fare rientro a casa, ma in autostrada perdeva il controllo della propria auto, andando a collidere contro il guardrail, restando fortunosamente illeso, nonostante il veicolo fosse andato distrutto.
In data 18.10.2010, la societa’ (OMISSIS) s.r.l. (committente di lavori di importante valore economico) comunicava che “a seguito di sopraggiungere notizie poco rassicuranti sulla integrita’ morale e professionale nelle vicende in cui Lei e’ coinvolto, ci rincresce comunicarLe che e’ opportuno interrompere il rapporto di collaborazione professionale attualmente in corso”.
Pertanto, (OMISSIS) si rivolgeva, per il tramite di un legale, al quotidiano ” (OMISSIS)”, chiedendo una rettifica a mezzo stampa. Tuttavia, il quotidiano non dava alcun conto dell’errore commesso e non operava alcuna rettifica o precisazione, limitandosi a pubblicare, nella sezione “la parola ai lettori” uno stralcio della lettera inviata dal difensore.
In data 03.11.2010, il GIP di Catania pronunciava ordinanza cautelare nei confronti, tra gli altri, del geologo (OMISSIS), ossia della persona realmente coinvolta nell’inchiesta cui avrebbe dovuto fare riferimento l’articolo pubblicato dal giornale ” (OMISSIS)” del 01.10.2010.
Nei giorni successivi, contrariamente alle aspettative dell’odierno ricorrente (OMISSIS), a questi non veniva inviata alcuna lettera di scuse da parte del quotidiano, ne’ veniva mai pubblicata alcuna rettifica di quanto riportato in quello in precedenza pubblicato.
Pertanto, (OMISSIS) presentava atto di denuncia querela nei confronti del giornalista e dell’editore per sentirli condannare per il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Il conseguente giudizio si concludeva con la sentenza n. 118/2014, con la quale il Giudice dichiarava il non luogo a procedere nei confronti del giornalista (OMISSIS) in ordine al reato allo stesso ascritto, perche’ il fatto non costituiva reato (in mancanza del dolo, quale elemento soggettivo del reato contestato) e nei confronti del direttore responsabile (OMISSIS) in ordine al reato allo stesso ascritto, in quanto la responsabilita’ colposa del direttore del periodico ex articolo 57 c.p. presuppone la commissione di reati col mezzo di pubblicazione.
Tuttavia, il Giudice precisava che “l’evento era “fonte di risarcimento in sede civile per le gravi conseguenze apportate al professionista (OMISSIS)” e che “l’imputato possa e debba rispondere in sede civile per il danno causato da colpa. ex articolo 2043 c.c.”.
Pertanto, (OMISSIS), dopo aver esperito invano il tentativo di mediazione, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Catania il (OMISSIS) (OMISSIS), il direttore responsabile (OMISSIS) ed il giornalista (OMISSIS), chiedendo la condanna dei convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni, quantificati analiticamente in Euro 147,670,72 per i danni patiti (di cui Euro 139.874,99 per mancato guadagno nel periodo dal 2010 al 2014 ed Euro 7.795,73 per i danni all’autovettura riportati nel sinistro stradale su riferito, Euro 80.000,00 per i danni non patrimoniali), oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nei limiti della somma di Euro 260.000,00, nonche’ la condanna dei convenuti ad oscurare la pagina internet del sito ufficiale del quotidiano ” (OMISSIS)” o, in alternativa, ove cio’ non fosse possibile, ad aggiungere in quella stessa pagina una postilla esplicativa dell’errore di persona commesso dal giornalista.
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Si costituivano in giudizio i convenuti contestando le domande attoree in ragione del fatto che l’errore sarebbe stato involontario e che era stato concesso al (OMISSIS) di pubblicare sulla testata giornalistica uno stralcio della lettera del suo avvocato in cui si precisava l’estraneita’ dello stesso ai fatti.
La causa veniva istruita con acquisizione della documentazione prodotta dalle parti nonche’ mediante audizione di testimoni.
Il Tribunale di Catania con sentenza parziale n. 4070 del 2018 accoglieva la domanda del (OMISSIS) e condannava i convenuti, in solido, al risarcimento: del danno non patrimoniale, quantificato in Euro 50.000,00; ed al risarcimento del danno patrimoniale subito per gli anni 2011, 2012, 2013 e 2014, quantificato in Euro 139.874,99. Al contrario, il giudice di primo grado non riteneva provato il nesso causale tra la pubblicazione dell’articolo di cui sopra e l’incidente stradale del (OMISSIS) e, pertanto, nulla liquidava a titolo di risarcimento dei danni materiali riportati dal veicolo in quella occasione.
Le spese processuali venivano poste a carico dei convenuti e la causa veniva rimessa sul ruolo per la restante domanda del (OMISSIS), inerente all’oscuramento dell’articolo dannoso sul sito internet del quotidiano o, in alternativa, ove non piu’ possibile, l’aggiunta di una postilla che indicasse l’errore commesso dal giornale e la completa estraneita’ del Dott. (OMISSIS) all’intera vicenda di cui trattasi.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponevano appello gli originari convenuti, che, in via principale, chiedevano il rigetto di tutte le domande attoree e, in via subordinata, la riduzione degli importi liquidati a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
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Si costituiva nel giudizio di appello (OMISSIS), il quale:
– in via preliminare di rito, eccepiva la violazione del divieto dei “nova” in appello ex articolo 345 c.p.c., atteso che la difesa avversaria aveva prodotto nuovi documenti ed aveva formulato nuove eccezioni e, – nel merito, contestava l’erroneita’ della sentenza nella ricostruzione del fatto; al riguardo rilevava di aver assolto l’onere probatorio, che su di lui gravava, fornendo al Giudice adeguata dimostrazione non solo delle sofferenze morali e del grave pregiudizio alla propria onorabilita’, ma anche del pregiudizio economico subito (comprovato dalla produzione delle dichiarazioni dei redditi sia antecedenti all’articolo diffamatorio, per cui era causa, che di quelle coeve e successive).
La Corte d’appello di Catania con sentenza n. 497/2020, in parziale accoglimento del gravame, – riduceva da Euro 50 mila ad Euro 10 mila il risarcimento del danno non patrimoniale ed escludeva il risarcimento del danno patrimoniale, compensando per tre quarti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
3. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il (OMISSIS).
Hanno resistito con un unico controricorso il (OMISSIS) (OMISSIS), il direttore responsabile (OMISSIS) ed il giornalista (OMISSIS).
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato conclusioni con le quali ha chiesto l’accoglimento di tutti i motivi di ricorso.
Hanno depositato memoria i difensori sia di parte ricorrente che di parte resistente.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il ricorso e’ affidato a cinque motivi, dei quali i primi tre concernono l’avvenuta quantificazione del danno non patrimoniale e gli ultimi due l’avvenuta quantificazione del danno patrimoniale.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., oltre che delle Tabelle di Milano, nella parte in cui la corte territoriale, nel ridurre ad Euro 10 mila la somma a lui dovuta a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, ha dichiarato di voler fare applicazione delle tabelle milanesi, ma ha in concreto liquidato il danno senza fare applicazione dei criteri in dette tabelle previsti.
Osserva che il giudice di appello, nel liquidare il danno, ha riconosciuto rilevanza esclusivamente: a) al fatto che l’errore in questione era stato del tutto involontario ed episodico; b) al fatto che in data 22 ottobre 2010 il quotidiano (OMISSIS) aveva pubblicato la lettera inviata alla redazione dal suo legale in cui si precisava la sua estraneita’ rispetto alla vicenda oggetto dell’articolo; c) alla circostanza che lo stesso quotidiano, nei giorni immediatamente successivi, aveva pubblicato alcuni articoli relativi all’inchiesta della Procura di Catania, che contenevano l’esatto nominativo del geologo coinvolto, ovverosia (OMISSIS); d) al fatto che successivamente veniva data notizia dell’avvenuto arresto di (OMISSIS), il geologo realmente coinvolto nell’inchiesta”. E sulla base di tali parametri ha ritenuto il fatto illecito come “di tenue gravita’”.
Secondo il ricorrente, la Corte non ha fatto applicazione di nessuno dei criteri indicati nelle tabelle, in quanto, alla stregua di quest’ultime, la tenue gravita’ postula:
a) la limitata/assente notorieta’ del diffamante (mentre nel caso di specie, si trattava di uno dei quotidiani piu’ importanti e noti del panorama dell’informazione);
b) la tenuita’ dell’offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento (mentre nel caso di specie, non si poteva certo ritenere offesa tenue l’aver dato del mafioso ad un onesto cittadino);
c) una minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio (mentre nel caso di specie si trattava di un articolo pubblicato in un quotidiano di grande diffusione);
d) un minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria (mentre nel caso di specie l’articolo in esame aveva occupato quasi interamente la pagina VI dell’edizione siciliana del quotidiano);
e) un’assente risonanza mediatica (mentre nel caso di specie la risonanza era stata massima, anche perche’, secondo il quotidiano, anche il presidente della regione ed altri politici erano coinvolti nell’indagine);
f) una tenue intensita’ dell’elemento soggettivo (mentre nel caso di specie gli era stato attribuito lo status di mafioso con disarmante pubblicita’, senza alcun riscontro oggettivo e con riferimento ad una indagine in materia di mafia, peraltro coperta dal segreto investigativo);
g) un intervento riparatorio/rettifica del convenuto (mentre nel caso di specie non era intervenuta alcuna formale rettifica).
1.2. Con il secondo motivo denuncia la nullita’ della sentenza per motivazione inesistente o apparente nella parte in cui la corte territoriale ha liquidato il danno non patrimoniale senza precisare le ragioni per cui ha ritenuto di tenue gravita’ l’accertato fatto illecito.
1.3. Con il terzo motivo denuncia la nullita’ della sentenza per motivazione apparente alla luce dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, in concreto utilizzati.
Osserva che la circostanza per l’errore in questione sia stato involontario ed episodico non ha alcuna valenza ai fini della liquidazione del danno (che deve tenero conto soltanto del pregiudizio subito), mentre ancora piu’ evidente, se possibile, e’ l’irrilevanza, l’incongruita’ e la macroscopica contrarieta’ a dati di comune esperienza degli altri tre elementi presi in considerazione dalla corte.
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1.4. Con il quarto motivo denuncia violazione dell’articolo 2697 c.c. e dei principi in materia di onere della prova nella parte in cui la corte territoriale non ha ritenuto sussistente il nesso causale tra la pubblicazione dell’articolo di stampa e le perdite patrimoniali (da lui dedotte e quantificate).
Sostiene che, secondo la regola del “piu’ probabile che non”, ai fini del riconoscimento della configurabilita’ del nesso eziologico, non e’ necessario approdare ad un giudizio di certezza circa la conseguenzialita’ tra condotta illecita e danno, ma e’ sufficiente che il danno sia ascrivibile al fatto illecito con ragionevole probabilita’. E tanto, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto affermare la corte di merito sulla base della documentazione da lui prodotta: in particolare, dalle dichiarazioni dei redditi relative al periodo antecedente all’articolo diffamatorio di cui trattatasi, di quelle coeve e di quelle successive, dalle quali risultava il danno economico da lui subito; mentre dalle lettere con le quali due societa’ gli avevano comunicato di voler sospendere i rapporti professionali in corso risultava la sussistenza del danno patrimoniale che gli era stato riconosciuto in primo grado.
1.5. Con il quinto motivo denuncia la nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., dei principi in tema di valutazione del quadro probatorio, degli articoli 2727, 2729 e 2697 c.c., nonche’ dei principi in materia di prova nella parte in cui la corte territoriale, nell’escludere il suo diritto al risarcimento del danno patrimoniale, non ha valutato globalmente il compendio probatorio ed indiziario ex articoli 2727 e 2729 c.c., ma, scomponendo atomisticamente detto quadro, dapprima, ha valutato la documentazione fiscale e le dichiarazioni dei redditi, senza leggerle in relazione alle menzionate due missive; e, poi, ha escluso qualsiasi rilevanza probatoria di queste ultime, mentre nulla ha detto circa la sua mancata selezione da parte della pubblica amministrazione per lo svolgimento di collaborazioni occasionali.
Sostiene che il giudice di merito avrebbe dovuto accedere ad un giudizio di ragionevole probabilita’ circa la sussistenza di un rapporto di conseguenzialita’ tra fatto illecito e riduzione dei redditi.
2. Nella sentenza impugnata la corte territoriale – dopo aver confermato in punto di an debeatur che l’inesattezza nel riportare il nome del (OMISSIS) configurava un fatto illecito colposo, fonte di danno – in punto di quantum debeatur, ha liquidato in via equitativa il danno non patrimoniale facendo riferimento alle tabelle milanesi (sulle quali, tra le piu’ recenti, cfr. Cass. n. 8468 del 2020; 41933 del 2021; n. 7768 del 2016), mentre ha ritenuto non provato che il (OMISSIS), per effetto della portata diffamante dell’articolo, abbia subito un danno patrimoniale.
3. I primi tre motivi di ricorso – che, in quanto tutti relativi al danno non patrimoniale, sono qui trattati congiuntamente per la loro intima connessione – sono fondati.
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3.1. Allo scrutinio dei motivi, che concernono tutti la corretta individuazione dei criteri risarcitori del danno da lesione dei diritti fondamentali (e, quindi, la quantificazione del danno), appare opportuno premettere una breve ricognizione della morfologia e della funzione del danno non patrimoniale, come recentemente ed ormai concordemente ricostruite dalla giurisprudenza di questa Corte.
Secondo un recente, ma ormai consolidato, orientamento (cfr., tra le tante, Cass. n. 2788 del 2019; n. 901 e n. 7513 del 2018, n. 7766 del 2016, anche in relazione a Corte Cost. n. 325/2014), sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: articolo 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (articolo 2059 c.c.; articolo 185 c.p.); mentre ormai da anni e’ stata affermata la natura “unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale” sia dalla Corte costituzionale (n. 233 del 2003) che dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 26972 del 2008).
Sul piano delle categorie giuridiche, l’unitarieta’ del danno non patrimoniale va intesa come unitarieta’ rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica; mentre la onnicomprensivita’ del danno non patrimoniale va intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, con il concorrente limite di evitare duplicazioni (attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici), procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
Orbene, il giudice di merito – nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno non patrimoniale risarcibile – deve tenere conto, oltre che di quanto statuito dalla Corte costituzionale (n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.), anche di quanto disposto dal legislatore nazionale sugli articoli 138 e 139 c.d.a. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 17, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), e il cui contenuto consentono di distinguere, su di un piano generale ed al di la’ della specifica sedes materiae, il danno dinamico-relazionale dal danno morale.
Ne deriva che il giudice di merito deve valutare la fenomenologia della lesione non patrimoniale sia nell’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) che nell’aspetto dinamico-relazionale (c.d. danno relazionale, destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto). Tale regola di giudizio si pone in una linea con i principi diacronicamente (ma costantemente) affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (n. 235/2014, 233/2003 293/1996, 372/1994, 184/1986), della Corte di Giustizia Europea (sent. C-371/2012 del 23.1.2014) e di questa Corte (SU. n. 6276 del 2006; e, quanto alla giurisprudenza di legittimita’ a sezioni semplici, n. 8827/2003).
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Occorre qui ribadire che esiste una sussiste una ontologica differenza tra danno morale e danno dinamico-relazionale, in quanto il danno alla persona postula il riconoscimento: da un lato, della sofferenza interiore; e, dall’altro, delle mutate dinamiche relazionali di una vita che cambia a seguito dell’illecito (illuminante, in tal senso, e’ il disposto normativo di cui all’articolo 612 bis c.p., in tema di presupposti del reato cd. di stalking). Danni diversi e percio’ solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni).
3.2. Non e’ questa la sede per valutare se si possa o si debba fare applicazione, anche alla materia per cui e’ causa, degli specifici meccanismi di valutazione come elaborati, con tabelle che aspirano ad una valenza generale, dal Tribunale di Milano: alle quali solo ad altri fini e’ stata chiaramente riconosciuta da questa Corte (cosi’ Cass. n. 12408/2011) l’attitudine ad individuare coerenti parametri monetari di riferimento uniforme, che possano poi essere adattati al caso concreto ed a porsi come strumento di concreta realizzazione di “un’eguaglianza equitativa”.
3.3. E’ certo vero che quelle tabelle partono dalla classificazione del fatto concreto alla luce di una serie di elementi rilevanti, da valutare secondo una scala di apprezzamento che conduce all’attribuzione di un primo valore base approssimativo per ciascuno di essi; il valore complessivo cosi’ ottenuto dovra’ poi essere modulato in virtu’ dell’applicazione di necessari coefficienti correttivi (determinati in relazione ad ulteriori variabili rilevanti).
Ed e’ altrettanto vero che, in concreto, a ciascuno dei seguenti punti, la tabella attribuisce un valore compreso tra i 3.000,00 ed i 5.000,00 Euro, secondo i criteri che seguono:
– il tipo di condotta diffamatoria attribuita alla persona danneggiata con la notizia veicolata: a) tra le ipotesi che consigliano l’adozione di un valore massimo, sono annoverabili l’eventuale rilievo penale dei fatti pubblicati, l’uso di espressioni oggettivamente ingiuriose; b) tra le ipotesi che possono rientrare in un valore medio, sono annoverabili le notizie diffamatorie, che, benche’ prive dei suddetti caratteri, sono comunque circostanziate e, quindi, determinano, comunque, un significativo grado di incisivita’ dell’evento di danno; c) un valore minimo, infine, puo’ riconoscersi alle affermazioni di carattere diffamatorio del tutto generiche o solo dequalificanti;
– la condotta degli autori e, in particolare, l’intensita’ dell’elemento psicologico (si considerino, ad esempio, le fattispecie in cui vi e’ prova della consapevolezza, in capo all’autore convenuto, della falsita’ della notizia pubblicata);
– il mezzo di comunicazione utilizzato per commettere la diffamazione e la diffusivita’ dello stesso sul territorio nazionale (fermo restando che una minor tiratura non significa necessariamente un minor danno, specialmente nel caso di un mezzo di stampa che abbia un raggio di distribuzione limitato sul territorio nazionale, ma di elevata penetrazione nel ristretto territorio di vita e relazione del danneggiato);
– il rilievo attribuito dai responsabili al pezzo contenente le notizie diffamatorie all’interno della pubblicazione cui lo stesso e’ riportato (con attribuzione del valore massimo ad un articolo in prima pagina o al corsivo del direttore ed un valore minimo ad un piccolo trafiletto, privo di segni grafici evidenzianti);
– lo spazio che la notizia diffamatoria occupa all’interno dello scritto in questione (elemento che incide sulla portata lesiva della notizia diffamatoria, amplificata dal fatto che tale notizia occupi tutto o solo una minima parte dell’articolo o del libro);
– le conseguenze sull’attivita’ professionale e sulla vita personale della parte lesa;
– il ruolo istituzionale ricoperto dal danneggiato all’epoca dei fatti e la correlazione tra le notizie diffamatorie e l’esercizio delle pubbliche funzioni proprie della carica esercitata;
– la natura “sensazionale” della notizia diffamatoria e la capacita’ della stessa di incidere sulla formazione dell’opinione pubblica, suscitando e veicolando una vera e propria campagna di stampa denigratoria.
3.4. Ferma la premessa che della astratta doverosita’ o meno della loro applicazione non e’ dato in questa sede discutere per quanto si vedra’ di qui a tra un momento, e’ ancora vero che quelle tabelle prevedono:
– di applicare i criteri ed i valori sopra indicati (considerando che gli ultimi due non sono necessariamente presenti in tutte le fattispecie risarcitorie ipotizzabili) per giungere ad un risarcimento compreso tra un minimo di Euro 18.000,00 (3.000,00 8);
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– la possibilita’, al fine di adeguare la quantificazione del danno alle peculiarita’ del caso concreto, rendendo il risarcimento aderente alla profondita’ del danno non patrimoniale effettivamente subito, di adottare ulteriori coefficienti – di aumento o di diminuzione – per i casi di pubblicazione diffamatorie di significativa gravita’ o di modestissima entita’: cosi’ applicandosi un coefficiente variabile, da 1 a 5, da rapportarsi non alla somma finale ottenuta all’esito della prima valutazione, bensi’ ad una o piu’ voci della griglia (indicata ai punti da 1 a 8) ed eventualmente anche ad ognuna di esse. Tale seconda operazione puo’ portare ad un risarcimento compreso tra un minimo di Euro 3.600,00 (cosi’ ottenuto Euro 3.000,00, assegnati ad ogni singola voce, diviso per il coefficiente 5 = 600,00, sommato per ciascuna delle voci riconosciute per complessivi 3.600,00 Euro o 4.800,00 in caso siano riconosciuti i punti 6 e 7) sino ad un massimo di 200.000,00 Euro (nei casi in cui si dovessero riconoscere Euro 5.000,00 di base per ciascuna voce, ciascuna di esse moltiplicata per 5: 5 x 5.000,00 = 25.000,00, sommando tutte le voci 25.000,00 x 8 = 200.000,00);
– la possibilita’ di diminuire tali valori nel caso in cui parte attrice abbia ottenuto, medio tempore, la pubblicazione di una rettifica (da quantificarsi, secondo i parametri monetari sopra indicati, in un valore compreso tra 3.000,00 e 5.000,00 Euro, eventualmente da rivalutare o devalutare in ragione dei tempi e dei termini in cui tale rettifica e’ stata eseguita).
3.5. Cio’ posto, i motivi primo, secondo e terzo – che qui si trattano congiuntamente in quanto censurano tutti la liquidazione del danno non patrimoniale – sono fondati.
Infatti, nella fattispecie in esame le tabelle sopra descritte vengono in considerazione non gia’ perche’ debba essere loro riconosciuto un valore sostanzialmente obiettivo, come avvenuto per altri campi della materia risarcitoria (questione che il Collegio lascia quindi del tutto impregiudicata), ma esclusivamente perche’ la corte territoriale ha premesso e si e’ prefissa di adottarle quale criterio di valutazione, scegliendole tra le alternative possibili e quindi erigendole a parametro della concreta determinazione del danno non patrimoniale da liquidare.
Occorre premettere che, secondo consolidata giurisprudenza di questa corte, nella diffamazione a mezzo stampa, la liquidazione del danno non patrimoniale presuppone una valutazione necessariamente equitativa, la quale non e’ censurabile in Cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (Cass. n. 31358 del 2021; e n. 13153 del 2017).
Quest’ultima ipotesi ricorre nel caso di specie, nel quale la corte territoriale, dopo aver premesso di volersi conformare ai criteri di valutazione equitativa consacrati nelle tabelle milanesi, non ha poi applicato i suddetti criteri – liberamente adottati – nel procedere alla quantificazione del danno non patrimoniale. E, cosi’ facendo, e’ incorsa nel denunciato vizio motivazionale.
Invero, la corte ha sussunto il fatto nella fattispecie generale ed astratta descritta da quelle tabelle come relativa agli eventi di tenue gravita’, considerati suscettibili di liquidazione ridotta, argomentando sul fatto che: a) l’errore in questione era stato del tutto involontario ed episodico; b) in data 22 ottobre 2010 il quotidiano aveva pubblicato la lettera inviata alla redazione dal legale del (OMISSIS); c) lo stesso quotidiano aveva successivamente pubblicato articoli che contenevano l’esatto nominativo del geologo coinvolto nelle indagini e che davano la notizia dell’avvenuto arresto di quest’ultimo.
Nulla invece ha argomentato la corte di merito in relazione all’effettivo riscontro dei parametri delle tabelle milanesi, liberamente adottate come misura della liquidazione, secondo le quali il fatto illecito e’ di tenue gravita’ solo in presenza dei seguenti elementi: limitata/assente notorieta’ del diffamante, tenuita’ dell’offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento, minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio, minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria, assenza di risonanza mediatica tenue intensita’ elemento soggettivo, intervento riparatorio/rettifica del convenuto.
D’altra parte, la mancata applicazione dei criteri, previsti dalle tabelle milanesi per i fatti diffamatori di tenue entita’, ha contraddittoriamente portato la corte di merito a ricondurre la fattispecie concreta ad una astratta non pertinente secondo i parametri liberamente adottati a base della liquidazione, visto che non ha preso in considerazione le seguenti circostanze:
– la gravita’ del fatto ascritto al danneggiato (OMISSIS) (il concorso esterno in associazione mafiosa quale anello di collegamento fra i sodali e gli esponenti politici);
– la potenzialita’ dannosa della diffusione di una simile, inesatta informazione, per la reputazione di soggetto operante nell’ambito professionale, necessariamente improntato al permanere di un forte senso di fiducia personale;
– il tardivo e insufficiente ridimensionamento dell’errore di persona commesso mediante pubblicazione della lettera di smentita del difensore di (OMISSIS) (avente un risalto editoriale di gran lunga piu’ limitato rispetto alla pubblicazione della notizia diffamatoria, stante anche il disinteresse che il lettore medio di un quotidiano riserva alle rubriche dedicate alla posta dei lettori);
– la circostanza che, al momento del successivo coinvolgimento nelle indagini di (OMISSIS) e dell’arresto di quest’ultimo quale concorrente esterno al sodalizio criminale, l’organo di stampa diffamante ha mostrato disinteresse a rettificare l’originaria, errata, informazione (non producendo di per se’ la semplice divulgazione della notizia, riferita alla persona esattamente individuata, un effetto di correzione della precedente, errata, informazione resa: il lettore medio e’ portato a distinguere fra due persone recanti lo stesso cognome e, per di piu’, svolgenti la medesima professione di geologo, solo se tale circostanza sia specificamente enfatizzata dal mezzo di informazione).
Trattasi di elementi fattuali che si pongono in evidente contrasto con i criteri enunciati dalle tabelle per sussumere la violazione dell’onore e del decoro in un alveo di tenue gravita’.
In definitiva, la corte di merito, nel liquidare il danno non patrimoniale, e’ incorsa in motivazione apparente, non potendosi riscontrare conseguenzialita’ logica tra i criteri fissati nelle premesse e quelli seguiti in conclusione (Cass. 5 luglio 2017, n. 16502).
2.3. Inammissibili sono invece i motivi quarto e quinto, che, in quanto entrambi relativi alla mancata liquidazione del danno patrimoniale – sono qui trattati congiuntamente.
In via generale ed astratta, ai fini del riconoscimento della configurabilita’ del nesso eziologico, non e’ necessario approdare ad un giudizio di certezza circa la conseguenzialita’ tra condotta e danno, essendo sufficiente che, secondo la regola del “piu’ probabile che non”, il danno sia ascrivibile al fatto illecito con “ragionevole probabilita’” (Cass. n. 4024 del 2018). E, d’altra parte, la prova del danno ben puo’ essere fornita anche da un ragionamento di carattere presuntivo che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto.
Senonche’, nella sentenza impugnata, la corte di merito ha ritenuto non provato il nesso causale tra la pubblicazione dell’articolo di stampa, per cui e’ ricorso, e le perdite patrimoniali, lamentate e quantificate dal (OMISSIS), in quanto: da un lato, le pur documentate variazioni reddituali possono essere riconducibili alle normali oscillazioni della libera professione o alla crisi economica o ad altri fattori ancora e, quindi, sfuggono a quel rigoroso giudizio di probabilita’ che presiede all’assolvimento dell’onere probatorio;
dall’altro, la produzione della lettera di (OMISSIS) e della lettera di (OMISSIS) non era stata accompagnata dalla indicazione di riferimenti in relazione alla durata della interruzione del rapporto di collaborazione, nonche’ all’entita’ economica degli incarichi venuti meno.
L’inammissibilita’ dei motivi in esame consegue al fatto che il ricorrente, nell’illustrazione degli stessi, non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata: che, come rilevato, riguarda la ritenuta carenza di prova sulla durata dell’interruzione del rapporto di collaborazione professionale e sulla entita’ economica degli incarichi venuti meno.
Inoltre, la valutazione della corte territoriale sul punto sottende un giudizio di fatto e, quindi, ancorche’ rigorosa, sfugge al sindacato di legittimita’ riservato a questa Corte.
Al riguardo, occorre ricordare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: “In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli articoli 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimita’, sicche’ la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensi’ un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012” (cfr., tra le tante, n. 3572 del 2021 e n. 23940 del 2017).
Pertanto, da un lato, “in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorche’ si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (cosi’ Cass. n. 27000 del 2016; cfr., piu’ di recente, Cass. n. 6774 del 2022).
D’altra parte, “La violazione dell’articolo 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove”….” (cfr. Sez. U, n. 16598 del 2016, in motivazione paragr. § 14; in precedenza, Cass. n. 11949 del 02/12/1993; n. 2155 del 2001; n. 3642 del 2004; n. 2935 e n. 19064 del 2006; n. 15107 del 2013; n. 13960 del 19/06/2014; n. 11892 del 10/06/2016).
Poiche’ nel caso di specie non ricorre nessuna delle suddette situazioni, i motivi in esame, nei quali viene denunciata la violazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c., sono inammissibili.
3. Per le ragioni che precedono, dichiarati inammissibili i motivi quarto e quinto, s’impone la cassazione dell’impugnata sentenza in relazione ai motivi primo, secondo e terzo, con rinvio alla Corte d’appello di Catania, che in diversa composizione procedera’ a nuovo esame, facendo applicazione dei suindicati disattesi principi.
Il giudice del rinvio provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo e, dichiarati inammissibili il quarto ed il quinto motivo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione.
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