Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18225.
Incapacità a deporre prevista e l’interesse che lo coinvolga nel rapporto controverso
L’incapacità a deporre prevista dall’articolo 246 del Cpc si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’articolo 100 del Cpc, sì da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia che ivi è in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del giudizio stesso.
Ordinanza|| n. 18225. Incapacità a deporre prevista e l’interesse che lo coinvolga nel rapporto controverso
Data udienza 18 maggio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Associazione – Espulsione dell’associato – Impugnazione della deliberazione – Reintegra nel posto di lavoro – Risarcimento danni – Presupposti – Articolo 38 cc – Responsabilità solidale – Articolo 2697 cc – Onere della prova – Articoli 2727 e 2729 cc – Presunzioni – Valutazione del giudice di merito – Articoli 1362 e 1367 cc – Criteri
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere
Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20375/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
ASSOCIAZIONE (OMISSIS);
– intimato –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 937/2017 depositata il 10/04/2017;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2023 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE.
Incapacità a deporre prevista e l’interesse che lo coinvolga nel rapporto controverso
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna con sentenza del 10 aprile 2017, n. 937, ha respinto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale di Modena del 1 aprile 2014, che aveva a sua volta rigettato le domande proposte da (OMISSIS) contro l’Associazione (OMISSIS), miranti alla declaratoria di inesistenza o di nullita’ o all’annullamento della deliberazione di espulsione dell’associata, alla reintegrazione nel posto di lavoro con riguardo al parallelo rapporto, al risarcimento del danno e alla restituzione della somma di dollari USA 25.000,00, nonche’ la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, proposta dall’associazione.
La corte del merito, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) sussistono i gravi motivi per l’esclusione, adeguatamente indicati nella deliberazione relativa, dal momento che i documenti un atti dimostrano l’esistenza delle ipotesi previste nell’articolo 6 dello statuto associativo, come contestate all’associata sia nella contestazione del 24.2.2007 sia in quella disciplinare del 17.4.2007, per avere la stessa reperito e visionato la corrispondenza bancaria dell’associazione senza alcuna autorizzazione in tal senso, ne’ avendo la stessa titolo per provvedervi, in quanto si tratta di documenti riservati alla visione del presidente e degli impiegati addetti, nonche’ per avere prelevato documenti con dati personali degli iscritti; b) i fatti sono provati anche della deposizione di una testimone, che, come ritenuto gia’ dal tribunale, pur essendo associata non aveva un interesse giuridicamente rilevante nel giudizio, non trattandosi neppure di uno dei soggetti responsabili solidali ex articolo 38 c.c.; c) la domanda di restituzione di dollari USA 25.000,00 e’ stata respinta dal tribunale per non essere stato assolto dall’attrice l’onere della prova con riguardo alla dazione della somma a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo restitutorio, a fronte della deduzione dell’associazione che si tratti, invece, di un “conferimento gratuito per il raggiungimento degli scopi statutari”; d) la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro e’ inammissibile, in quanto sottratta alla competenza della corte ed, in ogni caso, gia’ definita con verbale di conciliazione in atti; e) ogni altra domanda rimane assorbita.
Avverso la sentenza viene proposto ricorso dalla soccombente, affidato a quindici motivi ed illustrato anche da memoria.
Non ha svolto difese l’intimata.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I motivi deducono:
1) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa motivazione, avendo la corte territoriale semplicemente riproposto la motivazione del primo giudice, con riguardo alla circostanza della mancata assunzione, da parte dell’associazione, di sanzioni disciplinari contro l’esponente, dal momento che e’ fatto irriducibilmente contraddittorio che l’associazione abbia escluso l’associata, pur non avendo applicato ad essa tali sanzioni;
2) violazione o falsa applicazione dell’articolo 24 c.c., comma 3, articoli 2697, 2727, 2729 c.c., articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, nonche’ articolo 13 dello statuto, per avere la corte del merito reso una motivazione omessa, apparente o contraddittoria circa l’esistenza dei gravi motivi per l’esclusione, che lo statuto individua nell’essere il socio rimasto gravemente inadempiente allo statuto, danneggiato l’immagine dell’associazione o commesso reati, mentre nella lettera di contestazione del 24.2.2007 non si parlava di sottrazione di documenti, come ritenuto dalla corte territoriale, ma solo della loro presa visione, mancando inoltre in atti la prova che la ricorrente li avesse anche sottratti, e non essendo stata comunque comminata nessuna sanzione disciplinare al riguardo;
3) violazione o falsa applicazione dell’articolo 24 c.c., comma 3, articoli 2697, 2727, 2729 c.c., articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, nonche’ articolo 13 dello statuto, per avere la corte del merito reso una motivazione omessa, apparente o contraddittoria circa l’esistenza dei gravi motivi per l’esclusione previsti dallo statuto, mentre gli addebiti contenuti nella lettera di contestazione del 17.4.2007, in cui in effetti si parlava di sottrazione di documenti, non sono quelli posti a fondamento della deliberazione di esclusione, e non avendo tenuto conto che la ricorrente comunque non aveva sottratto, ma solo fotocopiato i documenti, e non essendo stata del resto comminata nessuna sanzione disciplinare al riguardo;
4) violazione o falsa applicazione dell’articolo 24 c.c., comma 3, articoli 2697, 2727, 2729 c.c., articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, nonche’ articolo 13 dello statuto, per avere la corte del merito reso una motivazione omessa, apparente o contraddittoria circa il valore da attribuire alla deposizione testimoniale assunta dal primo giudice, avendo la teste riferito circa fatti successivi all’esclusione ed essendo comunque essa, in quanto una associata, incapace a deporre, potendo intervenire in giudizio ad adiuvandum;
5) violazione o falsa applicazione dell’articolo 24 c.c., comma 3, articoli 2697, 2727, 2729 c.c., articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, nonche’ articolo 13 dello statuto, per avere la corte del merito reso una motivazione omessa, apparente o contraddittoria, con riguardo al fatto che il licenziamento dell’associata era avvenuto per giustificato motivo oggettivo e non per gravi inadempienze, in tal modo avendo l’associazione dimostrato di non ritenere sussistente nessun inadempimento;
6) violazione o falsa applicazione degli articoli 1362-1367 c.c., nonche’ articolo 13 dello statuto, per avere la sentenza di primo grado ritenuto riconducibile alla clausola statutaria anche la sua decadenza dal comitato esecutivo, dichiarata in data 12.1.2004: la ricorrente deduce tale violazione “in via cautelativa” anche contro la sentenza di appello, che pure a tale ragione di esclusione non opera riferimento alcuno;
7) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa motivazione circa l’addebito di avere la ricorrente provocato insanabile turbativa nei rapporti tra gli associati, imputazione rimasta generica ed indeterminata, tanto che comunque la corte territoriale non vi opera riferimento e non tiene conto di questa imputazione;
8) violazione o falsa applicazione dell’articolo 246 c.p.c., avendo la corte ritenuto la testimone capace di deporre, e comunque mancata motivazione al riguardo;
9) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione, avendo la corte territoriale semplicemente riproposto la motivazione del primo giudice, con riguardo alla circostanza della mancata assunzione di sanzioni disciplinari contro l’esponente e del suo licenziamento solo per giustificato motivo oggettivo;
10) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione, avendo la corte territoriale semplicemente riproposto la motivazione del primo giudice, con riguardo alla circostanza che l’esponente non aveva sottratto documenti finanziari dell’associazione e che questa si era limitata a contestare la presa visione, peraltro senza applicare sanzioni disciplinari al riguardo, mentre la corte territoriale discorre di sottrazione di documenti;
11) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione, avendo la corte territoriale semplicemente riproposto la motivazione del primo giudice, con riguardo alla lettera di contestazione del 17.4.2007, che non ha avuto rilievo per la deliberazione di esclusione del 27.5.2007;
12) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione, avendo la corte territoriale semplicemente riproposto la motivazione del primo giudice, con riguardo al rilievo da attribuire alla deposizione testimoniale assunta dal tribunale, del tutto priva di rilevanza nella specie;
13) violazione degli articoli 21, 23 c.c., L. 3 aprile 2001, n. 142, articolo 1, per avere la corte d’appello ritenuto che l’accordo di conciliazione, concluso tra le parti innanzi al giudice del lavoro, integri anche rinuncia a continuare ogni rapporto subordinato od autonomo con l’associazione da parte della ricorrente, mentre la conciliazione non riguardava la delibera di esclusione, che, se annullata, comunque determinera’ anche la reviviscenza del rapporto di lavoro, e comunque potrebbe concludersi tra le parti un nuovo contratto di lavoro;
14) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione, avendo la corte territoriale deciso senza considerare alcuni fatti storici, quali la mancata contestazione di sottrazione di documenti, la mancata applicazione di una sanzione disciplinare, la mera fotocopia dei documenti dei soci contenenti dati personali e comunque la mancanza di sanzione disciplinare anche a questo riguardo, l’avere la contestazione del (OMISSIS) riguardato un addebito che non ha fondato l’esclusione, l’irrilevanza della deposizione testimoniale e l’incapacita’ della teste a deporre, l’irrilevanza della decadenza dal comitato direttivo, la genericita’ dell’addebito della turbativa agli associati e la mancanza di sanzioni disciplinari sul punto;
15) violazione degli articoli 112, 116 c.c., 2727, 2729 c.c., per omessa pronuncia, oppure omessa motivazione, sulla propria eccezione di avere concesso la somma di dollari USA 25.000,00 all’associazione a titolo di mutuo, con obbligo di restituzione, come era palesato da una corretta interpretazione dell’articolo 13 dello statuto e dagli indizi gravi, precisi e concordanti in atti, fra cui il comportamento delle parti.
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2. – I motivi sono tutti inammissibili, per plurime ragioni, che ne impongono la definizione unitaria.
Ed invero:
a) i motivi difettano di specificita’, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, atteso che, per soddisfare il requisito imposto dalla norma, il ricorso per cassazione deve indicare, in modo chiaro ed esauriente, sia pure non analitico e particolareggiato, i fatti di causa, da cui devono risultare le reciproche pretese delle parti con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, in modo da consentire al giudice di legittimita’ di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza dover ricorrere ad altre fonti e atti del processo, dovendosi escludere, peraltro, che i motivi, essendo deputati ad esporre gli argomenti difensivi possano ritenersi funzionalmente idonei ad una precisa enucleazione dei fatti di causa (tra le altre, Cass., sez. III, 19.10.2022, n. 30720; sez. 1, 1.3.2022, n. 6611; sez. I, 3.11.2020, n. 24432; sez. V, 30.4.2020, n. 8425; sez. III, 24.9.2019, n. 23623; sez. un., 22.5.2014, n. 11308);
b) i motivi che deducono il vizio di motivazione assente sono radicalmente infondati, in quanto la motivazione della sentenza impugnata ha chiaramente esposto il convincimento raggiunto, operando una conferma ed una condivisione dell’opinamento del primo giudice, che ha fatto adeguatamente proprio: ed invero, la motivazione per relationem e’ ammessa, allorche’ il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identita’ delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle gia’ esaminate in primo grado, sicche’ dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (e multis, Cass., sez. I, 5.8.2019, n. 20883);
c) i motivi, altresi’, vorrebbero confutare i convincimenti in fatto della corte del merito – secondo cui: sono provati i gravi inadempimenti agli obblighi dell’associata, che hanno reso legittima la sua esclusione dalla compagine e che sono contenuti in ben due distinte lettere di contestazione (avere la stessa reperito e visionato la corrispondenza bancaria dell’associazione e sottratto documenti di natura riservata con i dati degli iscritti ai corsi); la testimone ha reso una dichiarazione attendibile; non e’ provato che la somma sia stata data dalla ricorrente a mutuo, onde non esiste il titolo della domanda di restituzione – circa la vicenda concreta occorsa: ma si tratta di puro accertamento in fatto insindacabile in questa sede, noto essendo che e’ inammissibile il motivo che, nonostante l’apparente deduzione del mezzo come violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mira, in realta’, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34476), sollecitando la Corte di legittimita’ alla rivalutazione dell’accertamento del fatto compiuto dal giudice del merito e la chiama cosi’ indebitamente al riesame delle risultanze istruttorie, mentre il giudice di merito e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga piu’ attendibili e idonee alla sua formazione, ne’ gli e’ richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass., sez. V, 29 dicembre 2020, n. 29730; sez. V, 9 febbraio 2021, n. 3104);
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d) laddove si deduce la violazione dell’articolo 116 c.p.c., il motivo trascura che il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denunciabile per cassazione, sussiste solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcuna piuttosto che a altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., appunto rubricato “della valutazione delle prove” (Sez. 3, 28.2.2017, n. 5009; Sez. 2, 14.3.2018, n. 6231);
e) laddove si deduce la violazione dell’articolo 2697 c.c., si trascura che tale vizio si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Cass. 20 aprile 2020, n. 7919; 19 agosto 2020, n. 17313; 24 gennaio 2020, n. 1634; 19 agosto 2020, n. 17313; 23 ottobre 2018 n. 26769; 29 maggio 2018, n. 13395; 7 novembre 2017, n. 26366);
f) laddove si prospetta genericamente la violazione dei canoni ermeneutici, in modo svincolato da specifici passaggi della sentenza impugnata in cui l’uno o altro criterio interpretativo sarebbe stato violato o mal applicato, finendo per proporre inevitabilmente in una censura di merito, con la quale si rimprovera alla Corte territoriale di aver adottato una interpretazione degli atti diversa da quella sostenuta dalla parte ricorrente: ma l’accertamento della volonta’ delle parti costituisce fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimita’ per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli articoli 1362-1371 c.c.: percio’, per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilita’ del motivo di ricorso, non e’ idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non e’ consentito in sede di legittimita’ (e multis, Cass. Sez. L, 21.3.2022, n. 9160; Sez. 1, 23.2.2022, n. 5966; Sez. 1, 5.1.2022, n. 192; Sez. 3, 12.5.2020, n. 8810; Sez. 3, 21.5.2019, n. 13603; Sez. 3, 10.5.2018, n. 11254; Sez. 1, 5.12.2017, n. 29111; Sez. 3, 28.11.2017, n. 28319; Sez. 1, 15.11.2017, n. 27136; Sez. 2, 29.10.2012, n. 18587; Sez. 6-3, 7.2.2013, n. 2988);
g) il primo motivo e’ altresi’ inammissibile, in quanto riconduce la motivazione intrinsecamente contraddittoria non alla sentenza impugnata, ma alla condotta dell’associazione stessa, che non ha comminato sanzioni disciplinari quanto al rapporto di lavoro ma avrebbe tuttavia escluso l’associata: non, dunque, un vizio del provvedimento impugnato;
h) la violazione di una clausola statutaria, rispetto a tutti i motivi che la denunziano, non costituisce deduzione inquadrabile nel vizio di violazione di legge;
i) sono inammissibili tutte le censure proposte contro la sentenza di primo grado;
j) il motivo tredicesimo e’ altresi’ inammissibile, per rivolgere una critica ad una affermazione priva di rilievo sul punto, senza cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale riguardava l’incompetenza a provvedere al riguardo;
k) i motivi, laddove denunziano il mancato rilievo della incapacita’ a deporre della teste, sono inammissibili, ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 1, per il principio consolidato che non e’ incapace il socio o l’associato, solo per questa sua posizione, nelle controversie in cui sia coinvolta la societa’ o l’associazione (cfr. Cass., sez. II, 16.4.2013, n. 9188. Il socio di societa’ di capitali non e’ incapace a testimoniare, ai sensi dell’articolo 246 c.p.c., nel giudizio promosso dalla medesima societa’ nei confronti del proprio amministratore e di un terzo per l’annullamento di un contratto che si assume stipulato dall’amministratore in conflitto di interessi con la societa’ da lui rappresentata, vantando lo stesso socio un interesse di mero fatto in relazione all’attivita’ negoziale imputabile alla societa’, tale da escluderne la legittimazione a partecipare a detto giudizio, ed essendo diversa l’intrapresa azione di annullamento dall’azione risarcitoria individuale, a norma dell’articolo 2395 c.c., spettante al singolo socio direttamente danneggiato dalla condotta dell’amministratore), essendosi addirittura negata tale incapacita’ nel caso del collega di lavoro del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare per fatto addebitato ad entrambi in concorso, il quale invero non e’ titolare di interesse, neppure ad adiuvandum, che possa legittimare la sua partecipazione al giudizio (Cass., sez. lav., 3.10.2007, n. 2073), restando dunque attribuita al prudente apprezzamento del giudice di merito, la cui valutazione e’ incensurabile in cassazione se correttamente motivata, di verificare in concreto l’attendibilita’ della deposizione testimoniale; cio’, per il principio costante, secondo cui l’incapacita’ a deporre prevista dall’articolo 246 c.p.c., si verifica solo quando il teste e’ titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’articolo 100 c.p.c., si’ da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui e’ richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia che ivi e’ in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del giudizio stesso;
l) quanto ai denunciati vizi di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le S.U. hanno ormai chiarito come “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisivita’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053); in sostanza, dunque, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ne’ in quello del precedente n. 4 (Cass. 10 agosto 2016, n. 11892, fra le altre) e risolvendosi cosi’ la censura in esame in una riproposizione del giudizio di fatto;
m) con riguardo al quindicesimo motivo, si osserva ancora che esso neppure propone ammissibilmente un vizio di errata applicazione di uno specifico canone d’interpretazione del negozio, ma pretende una rivalutazione di fatti storici, non ammessa in sede di legittimita’ ed avendo il giudice del merito correttamente reputato che, dedotta la dazione di un importo a titolo di mutuo, la sussistenza del titolo e dell’obbligo restitutorio e’ carico dell’attore.
3. – Non occorre provvedere sulle spese di lite, non svolgendo difese l’intimata.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, ove dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
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