In tema di comunione legale ed i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 16993.

In tema di comunione legale ed i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi

In tema di comunione legale, i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi cadono nella comunione differita o “de residuo”, ai sensi dell’art. 177 lett. c), c.c., quando non siano stati consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione, sicché vi rientrano, in difetto di previsione in tal senso, anche quelli che non siano stati ancora percepiti o non siano esigibili al momento dello scioglimento della comunione, purché costituiscano il corrispettivo di prestazioni o del godimento di beni relativi al periodo di vigenza della comunione legale, ivi compresi, dunque, i crediti vantati dal professionista nei confronti del cliente per prestazioni già eseguite e non ancora pagate.

 

Ordinanza|| n. 16993. In tema di comunione legale ed i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi

Integrale

TAG/PAROLE CHIAVE: Divorzio – TFR maturato dal coniuge – Somme ricadenti nella comunione – Prescrizione del credito

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco – Presidente

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23074-2021 R.G. proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS));

– ricorrente –

contro

(OMISSIS);

– intimato –

Nonche’ sul ricorso iscritto al n. 23136 DEL 2021 R.G. proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS));

– ricorrente –

contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 734-2021 depositata il 17/06/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/05/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA.

In tema di comunione legale ed i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 734-2021, pubblicata il 17/6/21, in giudizio promosso, nell’agosto 2011, da (OMISSIS), nei confronti dell’ex coniuge (OMISSIS), al fine di sentire accertare il proprio diritto a percepire il 50% (a) di quanto liquidato, a titoli di compensi professionali per attivita’ svolta nei confronti di terza societa’, al convenuto con sentenza n. 689/2009 del Tribunale di Ascoli Piceno e (b) del TFR dallo stesso maturato e percepito, nel 1992, in costanza di matrimonio, in quanto somme tutte ricadenti nella comunione ex articolo 177 comma 1 lett.c) c.c. (comunione sciolta nel 1996 a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione tra i coniugi), nonche’ (c) di sentire condannare il convenuto al rimborso della meta’ degli importi indebitamente prelevati, tra il 1990 e il 1992, nel corso dell’unione matrimoniale dai conti correnti comuni e non impiegati ai fini di cui all’articolo 186 c.c., ha confermato la sentenza del giudice di primo grado, con la quale erano state respinte tutte le domande attoree.

In particolare, i giudici di appello hanno ritenuto prescritto il credito relativo agli importi prelevati dai conti correnti comuni, tra il 1990 ed il 1992, in difetto di validi atti interruttivi (non avendo valenza di atto di costituzione in mora e di richiesta di adempimento rivolta direttamente al debitore gli atti giudiziali, memorie e comparse e atti introduttivi, prodotti, soprattutto in difetto di notificazione degli stessi al debitore personalmente) e di ammissione dei suddetti prelievi da parte del debitore (presenti negli atti difensivi sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem e quindi non aventi valenza confessoria), e il credito relativo al 50% del TFR liquidato al (OMISSIS) (dovendosi ritenere tempestivamente sollevata la relativa eccezione da parte del (OMISSIS), in sede di conclusioni di primo grado e nell’atto di appello, con riferimento a “tutti i diritti e le pretese vantate dalla (OMISSIS)”); era infondata poi la doglianza circa il rigetto della pretesa creditoria, a titolo di comunione de residuo, sulla meta’ dei compensi professionali percepiti dal (OMISSIS) per attivita’ lavorativa svolta durante il matrimonio, in dipendenza del rapporto professionale con la (OMISSIS) srl, e non consumati per il soddisfacimento di bisogni della famiglia fino al momento dello scioglimento della comunione, in quanto essa non coglieva la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale si era evidenziato che, al momento dello scioglimento della comunione tra i coniugi (nel 1996, secondo quanto accertato in primo grado, a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale dei coniugi), il (OMISSIS) non aveva ne’ la disponibilita’ ne’ l’aspettativa di percezione di tali somme durante il matrimonio, avendo iniziato il giudizio per vedersi riconosciuta la pretesa creditoria nei confronti del terzo (OMISSIS) srl solo successivamente, ottenendo la sentenza nel 2009, cosicche’ non poteva averle ne’ consumate ne’ tantomeno sottratte in quanto il credito non era neppure ancora esigibile.

Avverso la suddetta pronuncia notificata il 18/6/21, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, notificato il 7/9/21 (due ricorsi uguali depositati da riunire), affidato a nove motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che non svolge difese). La ricorrente ha depositato identiche memorie nei due ricorsi.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 2943 c.c., in punto di ritenuta prescrizione dei diritti; b) con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 2943 c.c. e 1219 e 1241 c.c.; c) con il terzo motivo, la motivazione perplessa o apparente, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, in punto di ritenuta inidoneita’ ad interrompere la prescrizione dell’eccezione di compensazione sollevata in sede di appello della sentenza di divorzio; d) con il quarto motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, dell’articolo 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul terzo motivo di appello, in punto di tardivita’ dell’eccezione di prescrizione del credito vantato in relazione al TFR percepito dal (OMISSIS); e) con il quinto motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, dell’articolo 132, comma 2, n. 4, c.p.c., e la nullita’ della sentenza per motivazione inesistente, in punto di omessa motivazione sull’eccepita tardivita’ dell’eccezione di prescrizione, ovvero ex articolo 360 c.p.c., n. 5; f) con il sesto motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, dell’articolo 112 c.p.c., per ultrapetizione, in relazione agli articoli 166 e 167, comma 2, c.p.c. e 2938 c.c. e sempre alla decadenza del convenuto dal potere di sollevare eccezioni di merito con la comparsa di risposta; g) con il settimo motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 115 c.p.c. e del principio di non contestazione, in relazione al fatto della percezione da parte del (OMISSIS) di L. 30.000.000 nel 1992 a titolo di TFR; h) con l’ottavo motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 177 comma 1 lett.c) c.c., in ordine al diritto vantato di percepire il 50% degli introiti derivati dall’attivita’ professionale del marito e maturati durante il matrimonio e non consumati al momento dello scioglimento della comunione; i) con il nono motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 177 comma 1 lett.c) c.c., per avere la Corte d’appello posto un requisito (l’esigibilita’) non contemplato dalla norma.

2. Preliminarmente, il ricorso n. 23136/2021 (depositato il 21/9/21) va riunito a quello n. 23074/2021 (depositato il 20/9/21), ai sensi dell’articolo 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni separate della stessa sentenza (proposte peraltro dalla stessa parte). Peraltro, il secondo ricorso risulta identico per contenuto al primo (e la ricorrente ammette, in memoria, di avere proceduto al secondo deposito telematico dello stesso ricorso “nell’incertezza dell’esito del deposito telematico”) si’ che si puo’ parlare di un unico ricorso proposto dalla stessa parte, che come tale va esaminato.

3.Le prime tre censure di tale ricorso, attinenti all’idoneita’ ad interrompere la prescrizione dei crediti vantati (con la citazione del 2011) in relazione agli asseriti prelievi da parte del (OMISSIS) dai conti correnti comuni, di alcuni atti interruttivi (si indicano in ricorso la memoria di costituzione del 5/12/1997, depositata, nell’ambito di procedimento per sequestro in corso di causa, in relazione “alla richiesta di mantenimento formulata dal (OMISSIS) ai sensi dell’articoli 156 c.c.” nell’agosto 1997 e il ricorso in appello del 27/12/2002, proposto avverso le statuizioni di natura patrimoniale contenute nella sentenza di divorzio n. 611/2002 del Tribunale di Macerata, con il quale si era eccepito il credito derivante dagli indebiti prelievi dai conti comuni in compensazione dell’assegno divorzile chiesto dal marito), sono inammissibili.

Assume la ricorrente di avere con tali atti giudiziali avanzato domanda di restituzione delle somme prelevate dai fondi comuni nei confronti del (OMISSIS) e che essi, in quanto diretti al difensore del (OMISSIS), erano di per se’ idonei ad interrompere la prescrizione anche nei confronti del debitore.

Orbene, l’atto introduttivo della prescrizione del diritto di credito, richiesto dall’articolo 2943 cit., comma 3, quale atto idoneo a costituire in mora il debitore ossia consistente in un’intimazione scritta e recettizia, deve comunque esprimere una volonta’ di essere soddisfatto e la valutazione dell’idoneita’ di un atto ad interrompere la prescrizione – quando non si tratti degli atti previsti espressamente e specificamente dalla legge come idonei all’effetto interruttivo, come nei casi indicati nei primi due commi dell’articolo 2943 c.c. – costituisce apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimita’, se immune da vizi logici o da errori giuridici (Cass. 29609/2018; Cass. 6336/2009; Cass.19359 /2007; Cass. 22571/2004; Cass. 4789/1999; Cass.723/1981).

Nella parte riguardante l’efficacia interruttiva degli atti giudiziali allegati, le censure sollevate dalla ricorrente investono la ricostruzione del contenuto dei suddetti atti, la cui interpretazione, in quanto volta ad individuare l’intento concretamente dalla creditrice, si risolve un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimita’` esclusivamente per violazione delle regole ermeneutiche legali o per vizio di motivazione.

Sempre questa Corte (Cass. 14517/2007) ha chiarito che ” L’atto interruttivo della prescrizione richiesto dall’articolo 2943 c.c. comma 3 non deve essere necessariamente identificato con le costituzioni in mora e con i criteri che individuano quest’ultima, sicche’ ha efficacia interruttiva della prescrizione la dichiarazione del creditore resa in giudizio di voler insistere nella propria pretesa creditoria, anche se tale dichiarazione e’ resa nei confronti del difensore del debitore e non verso questo personalmente, ed anche se la dichiarazione -che risulti dalla verbalizzazione ufficiale del processo – non abbia forma scritta” (conf. a Cass.5104 /2006). In conformita’ (Cass. 25984/2011), si e’ affermato che “in tema di interruzione della prescrizione, posto che l’efficacia interruttiva va riconosciuta all’atto di costituzione in mora anche quando sia indirizzato al rappresentante del debitore, non puo’ essere negata tale efficacia all’atto di costituzione in mora inviato dal creditore al difensore del debitore senza aver prima accertato se il difensore possa considerarsi rappresentante, effettivo o apparente, del debitore medesimo, dovendo ascriversi siffatta qualita’ di rappresentante all’avvocato il quale, in nome e per conto del debitore, risponda alla richiesta di pagamento del creditore, facendo valere in via stragiudiziale le ragioni del cliente. Infatti, al fine anzidetto, l’effettivita’ dei poteri rappresentativi e’ data dal conferimento del mandato difensivo, senza che sia necessaria la procura scritta ex articolo 83 c.p.c., prevista solo per lo svolgimento dell’attivita’ giudiziale; l’apparenza di detti poteri, invece, scaturisce da un comportamento colposo dell’apparente rappresentato, tale da ingenerare il ragionevole affidamento del creditore circa il loro valido conferimento”.

La Corte d’appello, con riferimento agli atti giudiziali allegati dalla (OMISSIS) (inclusa la memoria difensiva del 1997, di cui si parla nel presente ricorso), nell’escludere che essi, per il loro specifico contenuto, costituissero richieste scritte di adempimento rivolte espressamente al debitore, ha richiamato anche una serie di pronunce intervenute nel rito del lavoro, ove si e’ affermato, in relazione a domanda introduttiva proposta con ricorso depositato e poi notificato, che “l’effetto interruttivo della prescrizione esige, per la propria produzione, che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell’atto giudiziale o stragiudiziale del creditore; esso, pertanto, in ipotesi di domanda proposta nelle forme del processo del lavoro, non si produce con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito, ma con la notificazione dell’atto al convenuto” (Cass. 3373/2003; Cass. 14862/2009; Cass. 4034/2017).

Inoltre, con riferimento all’eccezione di compensazione sollevata con l’atto di appello della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel 2002, la Corte d’appello ha rilevato che non si trattava di un valido atto interruttivo della prescrizione, in mancanza di una richiesta di adempimento avanzata direttamente nei confronti del preteso debitore, ma di una difesa proposta, nell’ambito dell’impugnazione della decisione di primo grado volta a contestare la quantificazione dell’assegno di divorzio chiesto dal marito, “al solo fine di ottenere dall’adita autorita’ giudiziaria un provvedimento meno oneroso in ordine alla determinazione” del contributo-assegno divorzile.

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Ne deriva che la Corte d’appello ha ritenuto gli atti giudiziali inidonei ad interrompere la prescrizione sia per il loro contenuto sia perche’ non rivolti direttamente al debitore.

Ora, la ricorrente, nelle pagg. da 11 a 13 riproduce, ai fini dell’autosufficienza del ricorso, solo il contenuto della memoria difensiva del dicembre 1997 nel procedimento per sequestro nel giudizio di separazione personale tra i coniugi, nella quale la (OMISSIS) affermava che l’importo di “Lire 185.752.000”, prelevato dal marito dai conti comuni, “deve” essere restituito dal (OMISSIS) “maggiorato degli interessi e rivalutate, riservandosi all’uopo di agire in separata sede”. In nota a pag. 12, la ricorrente deduce che si tratterebbe di una riserva ben precisa, volta ad ottenere la ripetizione di una somma quantificata.

Tuttavia non si ravvisano vizi di violazione di legge (non essendo invocate violazioni dei criteri ermeneutici di interpretazione delle scritture), con riguardo all’articolo 2943 c.c. in particolare, considerato che, in tema di interruzione della prescrizione, ai sensi dell’articolo 2943 c.c., perche’ un atto abbia efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, “l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volonta’ del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora”, essendo stata ritenuta ” priva di efficacia interruttiva la riserva, contenuta in un atto di citazione, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati, trattandosi di espressione che, per genericita’ ed ipoteticita’, non puo’ in alcun modo equipararsi ad una intimazione o ad una richiesta di pagamento” (Cass. 25500/2006; Cass. 3371/2010; Cass. 28518/2022).

In ordine poi all’atto di appello, nel giudizio di divorzio, notificato nel dicembre 2002 al difensore del (OMISSIS), contenente l’eccezione di compensazione del credito relativo all’assegno divorzile chiesto da quest’ultimo con il credito di essa (OMISSIS) verso il primo per i prelievi “sui conti correnti muliebri” di complessivi “E 185.924,48” (L. 360.000.000) operati dal marito, la ricorrente, alle pagg. 13 e 14 del ricorso, contesta l’interpretazione offerta dalla Corte di merito e ne afferma la valenza interruttiva della prescrizione, in quanto si trattava comunque di un atto giudiziale contenente una eccezione riconvenzionale volta a paralizzare la pretesa avversaria (in punto di riconoscimento di un assegno divorzile) ma pur sempre implicante la volonta’ di avvalersi del controcredito derivante dal diritto di restituzione dei prelievi illegittimi, al fine di estinguere il proprio debito.

La deduzione risulta pero’ priva di specificita’, in quanto, ai fini della prova della erronea valutazione da parte della Corte d’appello della controeccezione di interruzione della prescrizione, sarebbe stato necessario riprodurre il contenuto dell’atto di appello non solo i pochi estratti di pag. 13.

In ogni caso, il vizio di motivazione apparente o del tutto carente ed illogica non ricorre (Cass. Sez. Un. 22231/2016).

4. Il quarto, quinto e sesto motivo, tutti attinenti alla questione della tardivita’ dell’eccezione di prescrizione del credito per quota del TFR percepito dal (OMISSIS), sono inammissibili.

La Corte d’appello ha ritenuto che il motivo di gravame proposto non coglieva nel segno l’eccezione specifica era stata tempestivamente sollevata da parte del (OMISSIS) “in sede di conclusioni” di primo grado e nell’atto di appello con riferimento a “tutti i diritti e le pretese vantate dalla (OMISSIS)”, anche quindi con riferimento al credito da TFR (per circa Euro 30.000,00) percepito dal coniuge divorziato.

La ricorrente deduce, oltre a vizio di motivazione, che la Corte d’appello avrebbe violato anche gli articoli 166 e 167, comma 2, c.p.c., in quanto il (OMISSIS) non aveva, in primo grado, “argomentato” tempestiva (in comparsa di costituzione e risposta) eccezione (in senso stretto) di prescrizione con riguardo allo specifico credito ex adverso vantato sul TFR, riproducendo un estratto di tale atto difensivo, riguardante il solo credito da prelievi nei conti correnti comuni.

In tema di comunione legale ed i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi

Ma la Corte d’appello afferma che “nelle conclusioni di primo grado” il (OMISSIS) aveva chiesto dichiararsi prescritti tutti i diritti vantati dalla (OMISSIS).

E questa Corte, esaminati gli atti (Fascicoletto “A”, non “B”, come erroneamente indicato in ricorso, file depositato in via telematica dalla ricorrente), essendo dedotto un vizio di error in procedendo, rileva che, in sede di comparsa di costituzione e risposta del (OMISSIS) del 19-21-11-2011, nel giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, lo stesso eccepiva (a pagg. 9 e ss) “intervenuta prescrizione di tutti i diritti vantati dalla sign. ra (OMISSIS)”, con riguardo sia alla prescrizione decennale sia a quella quinquennale, rilevando che, pur nell’ipotesi che egli avesse “eseguito prelevamenti non autorizzati dai conti correnti intestati alla moglie” o “illegittimamente sottratto somme alla comunione”, il termine di prescrizione del diritto alla restituzione vantato dalla moglie avrebbe comunque iniziato a decorrere, quantomeno, dal 1996, con loro conseguente prescrizione. Al punto 3 delle conclusioni, in tale comparsa, il (OMISSIS) chiedeva accertare e dichiarare che “tutti” i diritti e le pretese della (OMISSIS) sono prescritte.

Risulta pertanto del tutto corretta la statuizione, non efficacemente attinta dalle censure.

5. Il settimo motivo, attinente al merito della pretesa creditoria relativa al TFR, e’ di conseguenza assorbito.

6.L’ottavo ed il nono motivo, riguardanti il credito vantato sui compensi professionali riscossi dal (OMISSIS) dalla societa’ (OMISSIS) srl (a seguito di giudizio, definito in primo grado nel 2009, di accertamento del credito, avviato dalla societa’ (OMISSIS) nel 1993, allorche’ i coniugi (OMISSIS)/ (OMISSIS) erano ancora sposati, essendosi poi separati con sentenza definitiva del 1996) sono, invece, fondati.

La Corte d’appello ha affermato che la pretesa, a titolo di comunione de residuo, ex articolo 177, comma 1, lett.c), c.c., sulla meta’ dei compensi professionali percepiti dal (OMISSIS) per attivita’ lavorativa svolta durante il matrimonio, in dipendenza del rapporto professionale con la (OMISSIS) srl, e non consumati per il soddisfacimento di bisogni della famiglia fino al momento dello scioglimento della comunione, era inammissibile in quanto la censura non coglieva la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale si era evidenziato che, al momento dello scioglimento della comunione tra i coniugi (nel 1996, secondo quanto accertato in primo grado, a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale dei coniugi), il (OMISSIS) non aveva ne’ la disponibilita’ ne’ l’aspettativa di percezione di tali somme durante il matrimonio, avendo iniziato il giudizio per vedersi riconosciuta la pretesa creditoria nei confronti del terzo (OMISSIS) srl solo successivamente, ottenendo la sentenza nel 2009, cosicche’ non poteva averle ne’ consumate ne’ tantomeno sottratte, in quanto il credito non era “neppure ancora esigibile”.

Assume la ricorrente che ai fini della propria domanda rilevava, invece, solo che il credito fosse maturato in costanza di matrimonio (il che si poteva evincere dalla domanda riconvenzionale azionata dal (OMISSIS), nel giudizio promosso nel 1993 dalla (OMISSIS) srl, per oltre L. 400.000.000) e che non fosse stato consumato al momento dello scioglimento della comunione nel 1996 (dato questo pacifico poiche’, a quella data, non era stato neppure riscosso).

In tema di comunione legale ed i proventi dell’attività separata svolta da ciascuno dei coniugi

Questa Corte (Cass. 14897/2000) ha ribadito che “costituiscono oggetto della comunione cosiddetta “de residuo”, ai sensi dell’articolo 177 lett c) c.c., non solo quei redditi per i quali si riesca a dimostrare che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunione ma anche quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il coniuge titolare non riesca a dimostrare che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti gia’ caduti in comunione”. Secondo tale orientamento, i proventi dell’attivita’ separata dei coniugi, contemplati all’articolo 177 c.c., lettera c), percepiti o che debbono esserlo, per i quali manchi la prova, ad opera del coniuge titolare, del loro utilizzo per le esigenze della famiglia o per investimenti gia’ compresi nella comunione, entrano immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione e (con inversione dell’onere della relativa prova, ricadente sul coniuge titolare) solo i proventi per i quali sia raggiunta questa prova (vale a dire la dimostrazione che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti gia’ caduti in comunione) resterebbero esclusi dalla caduta in comunione de residuo.

Successivamente, rispondendo alle obiezioni mosse da parte della dottrina su tale interpretazione, secondo cui i proventi dell’attivita’ separata di ciascuno dei coniugi “entrano di pieno diritto a far parte della comunione immediata”, essendo destinati indistintamente al “consumo” della famiglia, si e’ poi precisato che “l’articolo 177 lettera c) del codice civile esclude dalla comunione legale i proventi dell’attivita’ separata svolta da ciascuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione” (Cass. 13441/2003; Cass. n. 2597/2006).

Alla luce di tale indirizzo, i redditi individuali dei coniugi – tanto che si tratti di redditi di capitali (articolo 177 c.c., lettera b), quanto che si tratti di proventi della loro attivita’ separata (articolo 177 c.c., lettera c) – non cadono automaticamente in comunione, secondo il meccanismo di comunione differita coniato dal legislatore del 1975, ma rimangono di pertinenza del rispettivo titolare, salvo a diventare comuni, nella misura in cui non siano stati gia’ consumati, al verificarsi di una causa di scioglimento della comunione; la comunione immediata riguarda solo gli “acquisti” (articolo 177 c.c., lettera a), le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio (articolo 177 c.c., lettera d), nonche’ gli utili e incrementi delle aziende appartenenti a uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi (articolo 177 c.c., comma 2).

In motivazione nella sentenza n. 2597 del 2006 si e’ aggiunto che ” la comunione de residuo non fa nascere un vero e proprio diritto di credito in favore della comunione ed a carico del singolo coniuge, ma di luogo ad una semplice aspettativa di fatto, in quanto solo al momento dello scioglimento della comunione viene ad operarsi un vero e proprio ritrasferimento, nel senso di una comproprieta’ differita”. In sostanza, l’acquisizione differita dei redditi personali implica che il percettore dei redditi, dopo aver assolto l’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia, ha la piu’ ampia disponibilita’ dei redditi stessi, potendo, a sua discrezione, consumarli sia a favore della comunione, operando degli acquisti che, a norma dell’articolo 177 lettera a), entrano in comunione, sia a favore di se stesso, operando acquisti che, per l’uso cui vengono destinati, vanno considerati quali beni personali ex articolo 179, lettera c) ed e) c.c. Il principio e’ stato successivamente ribadito (Cass.21648 /2010; Cass. 5652/2017).

Tanto premesso, in base alla lettera dell’articolo 177 lett.c) i proventi delle attivita’ separate cadono nella comunione differita o de residuo anche se non ancora percepiti al momento dello scioglimento della comunione (come prescritto espressamente, invece, dalla lett.b) per i frutti dei beni personali, cfr. Cass. 1429/2018) ed anche se ancora non esigibili, in difetto di previsione in tal senso, purche’ costituiscano il corrispettivo di prestazioni o del godimento di beni relativi al periodo di vigenza della comunione legale.

Tra essi sono compresi proprio i crediti che il professionista vanta verso clienti per prestazioni gia’ eseguite e non ancora pagate.

Non e’ poi esatto quanto affermato dalla Corte d’appello in ordine al fatto che, al momento dello scioglimento della comunione (nel 1996, secondo quanto accertato in giudizio), il (OMISSIS) non aveva ancora la disponibilita’ delle somme di cui l’attrice ha chiesto l’attribuzione della meta’, “avendo il predetto iniziato il giudizio al fine di vedersi riconosciuta la propria pretesa creditoria nei confronti della srl (OMISSIS) soltanto dopo lo scioglimento della comunione”, cosicche’ egli non aveva non solo la disponibilita’ ma “neppure l’aspettativa di percezione di tali somme durante il matrimonio” e certamente non poteva averle consumate ne’ tantomeno sottratte.

Invero, il giudizio per l’accertamento del credito era pacificamente iniziato nel 1993, come allegato dalla ricorrente.

Ne consegue che i proventi in oggetto rientravano nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 177, comma 1, lett.c), c.c..

Va dunque affermato il seguente principio di diritto: ” Ai sensi dell’articolo 177 lett.c), i proventi dell’attivita’ separata svolta da ciascuno dei coniugi cadono nella comunione differita o de residuo ove non consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione e quindi anche se non ancora percepiti al momento dello scioglimento della comunione e ancora non esigibili, in difetto di previsione in tal senso, purche’ costituiscano il corrispettivo di prestazioni o del godimento di beni relativi al periodo di vigenza della comunione legale; tra essi sono compresi i crediti che il professionista vanta verso clienti per prestazioni gia’ eseguite e non ancora pagate”.

7. Per tutto quanto sopra esposto, vanno accolti l’ottavo e il nono motivo del ricorso, respinti i restanti, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvedera’ alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte, riunito il ricorso n. 23136/2021 a quello n. 23074/2021, accoglie l’ottavo e il nono motivo del ricorso cosi’ unificato, cassa l’ordinanza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52 siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

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