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Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 19 giugno 2014, n. 3115. Al fine di valutare un'ipotesi di lottizzazione abusiva c.d. materiale, appare necessaria una visione d'insieme dei lavori, ossia una verifica nel suo complesso dell'attività edilizia realizzata, atteso che potrebbero anche ricorrere modifiche rispetto all'attività assentita idonee a conferire un diverso assetto al territorio comunale oggetto di trasformazione. Proprio in quanto sussiste lottizzazione abusiva in tutti i casi in cui si realizza un'abusiva interferenza con la programmazione del territorio, la verifica dell'attività edilizia realizzata nel suo complesso può condurre a riscontrare un illegittimo mutamento della destinazione all'uso del territorio autoritativamente impressa anche nei casi in cui le variazioni apportate incidano esclusivamente sulla destinazione d'uso dei manufatti realizzati. Ciò perché è proprio la formulazione dell'art. 30 del D.P.R. n. 380/01 che impone di affermare che integra un'ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l'assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita adeguamento degli standards. Come già affermato dalla giurisprudenza di merito il concetto di "opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia" dei terreni deve essere, dunque, interpretato in maniera "funzionale" alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all'Amministrazione nonché l'effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè il Comune), al fine di garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standards compatibile con le esigenze di finanza pubblica.

Consiglio di Stato sezione IV sentenza 19 giugno 2014, n. 3115 LOTTIZZAZIONE ABUSIVA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE QUARTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3733 del 2010, proposto da: Du.Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 luglio 2014, n. 16690. La responsabilità professionale dell'avvocato, configura un'obbligazione di mezzi e non di risultato e quindi presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell’attiivtà esercitata. Ne discende che la responsabilità del legale non potrebbe affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, ma è necessaria “la verifica se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla sua condotta professionale, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone. Nella fattispecie ci è stata solo l'allegazione di un ipotetico danno (vendita di un'immobile che – al contrario – potrebbe essere stata anche vantaggiosa per il venditore, come adombrato dal controricorrente) ma non la dimostrazione che tale evento (ove qualificabile come danno) sia derivato direttamente dall'attività professionale

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza  22 luglio 2014, n. 16690 Svolgimento del processo Nel 1985 l’ing. N.W. incaricava con mandato l’avv. S.I. a procedere al recupero del proprio credito per prestazioni professionali da lui rese in favore della Consedil e della Cooperativa edilizia Alba srl per la progettazione di una palazzina edilizia convenzionata....

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 16 giugno 2014, n. 25809. L'articolo 45 cod. proc. pen. fa riferimento alla "sicurezza o l'incolumita' pubblica". Ma l'ordine pubblico in tale ipotesi non e' certo l'ordine pubblico generale: si tratta comunque di situazioni che involgono l'ufficio giudiziario ed il dato processo "non e' sufficiente la mera possibilita' di tensioni e turbamenti dell'ordine pubblico (cui, di regola, devono far fronte le forze di polizia, nell'ambito dei compiti di prevenzione loro assegnati), ma e' necessario che la situazione paventata e addotta a sostegno della richiesta di rimessione emerga in modo ragionevolmente certo e non costituisca invece la proiezione di preoccupazioni e timori che, pur se ancorati a dati di fatto, non consentano tuttavia di prevedere reali ostacoli al corretto svolgimento del giudizi. Il concetto di ordine pubblico processuale, ricava bile dall'articolo 55 cod. proc. pen., trascende le esigenze della sicurezza pubblica e della pubblica tranquillita' e risale alle condizioni essenziali estrinseche agli organi giurisdizionali, concernenti quei normali ed armonici rapporti tra l'ambiente e la causa, a cui e' subordinato il sereno ed obiettivo svolgimento del processo.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 16 giugno 2014, n. 25809 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AGRO’ Antonio – Presidente Dott. PAOLONI Giacomo – Consigliere Dott. DI STEFANO Pierluig – rel. Consigliere Dott. VILLONI Orlando – Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 16 giugno 2014, n. 25734. Anche per le cose che costituiscono corpo del reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullita', da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalita' perseguita in concreto per l'accertamento dei fatti.

  Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 16 giugno 2014, n. 25734   REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea – Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 23 luglio 2014, n. 16745. L'art. 345, terzo comma, cod.proc.civ. va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova nuovi -la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo): requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione. la valutazione di non indispensabilità della nuova produzione documentale, che ne provoca la mancata ammissione, deve essere espressamente motivata dal giudice del gravame, quanto alla ritenuta mancanza di attitudine dei nuovi documenti a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, così da consentire, in sede di legittimità, il necessario controllo sulla congruità e sulla logicità del percorso motivazionale seguito e sull'esattezza del ragionamento adottato nella decisione impugnata

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 23 luglio 2014, n. 16745 Svolgimento del processo 1.- La Corte di appello di Brescia, con sentenza depositata in data 24.8.2006 e notificata in data 10.1.2007, ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia che aveva respinto la domanda di ammissione allo stato passivo del fallimento della s.r.l....

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 giugno 2014, n. 13687. In tema di sanzioni amministrative per violazioni delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l'obbligatorieta' dell'azione di regresso prevista dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 195, comma 9 nei confronti del responsabile comporta, anche in ragione dell'efficacia che nel relativo giudizio e' destinata a spiegare la sentenza emessa nei confronti della societa' o dell'ente cui appartiene, che, anche qualora l'ingiunzione di pagamento sia emessa soltanto nei confronti della persona giuridica, alla persona fisica autrice della violazione deve essere riconosciuta un'autonoma legittimazione "ad opponendum", che le consenta tanto di proporre separatamente opposizione quanto di spiegare intervento adesivo autonomo nel giudizio di opposizione instaurato dalla societa' o dall'ente, configurandosi in quest'ultimo un caso di litisconsorzio facoltativo, e potendosi nel primo caso evitare un contrasto di giudicati mediante l'applicazione delle ordinarie regole in tema di connessione e riunione di procedimenti.

  Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 16 giugno 2014, n. 13687 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere Dott....